Una figlia, le interviste al cast del film con Stefano Accorsi. VIDEO
Cinema 01 Distribution
Il rapporto tra un padre e una figlia devastato da un gesto estremo. Può l'amore riavvicinarli? E' una delle domande che si pone Ivano De Matteo nel nuovo film con Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi ora in sala e che si intitola appunto "Una figlia"
Un film girato con delicatezza e attenzione. Lo dice il regista e si percepisce dal lavoro degli attori. Non era facile raccontare una storia così drammatica, come quella di “Una figlia” pellicola diretta da Ivano De Matteo e interpretata da Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi. Pietro e Sofia sono padre e figlia: la malattia e poi la morte della moglie li ha uniti ancora di più, in un rapporto esclusivo e profondo.
L’arrivo nella vita di Pietro di una nuova compagna farà prima vacillare e poi esplodere il loro rapporto verso un'estrema e drammatica conseguenza.
Ne abbiamo parlato con i protagonisti.
IVANO DE MATTEO
“Non credo proprio, lo dico sinceramente, che i miei film possano cambiare qualche cosa. Però noi cerchiamo di accendere invece delle luci su qualche aspetto. L'abbiamo fatto con l’altro film “Mia” dove abbiamo acceso una luce su un dramma che, ahimè, purtroppo la cronaca ci racconta quanto sia attuale.
Cerco sempre di affrontare dei temi delicati. Chiaramente sappiamo a cosa andiamo incontro, sappiamo che un tema così scomodo possa dare fastidio al pubblico, mentre sarebbe più “comodo” raccontare una storia in cui siamo tutti felici e mostriamo solo cose belle.
Nel film “Una figlia” raccontiamo le bruttezze della nostra società, partendo in realtà, come sempre, da famiglie “normali”, famiglie tranquille che vengono sconvolte da una causa scatenante che va a distruggere un po' tutto”.
“Con la mia compagna, Valentina Ferlan, abbiamo scelto proprio di affrontare tematiche difficili e credo che sarebbe davvero importante far vedere questo film ai ragazzi, a un pubblico giovane, perché possano riflettere sul fatto che da una “stupidaggine” o anche da una cosa fatta in maniera accidentale, si possono ritrovare in carcere. Nel film, infatti, abbiamo lavorato molto e in parallelo sia sul percorso carcerario minorile che fa la protagonista interpretata da Ginevra Francesconi che chiaramente sulle conseguenze emotive che il suo gesto lascia nel padre.
Entrambi questi aspetti camminano insieme su due binari, vediamo come la figlia vive quel momento e come lo vive il padre”.
“Sono molto contento di come Stefano (Accorsi) abbia affrontato questo ruolo perché ha creato un personaggio che affronta un dolore così grande in maniera composta, troviamo un uomo che è massacrato dentro, internamente.
Prende delle decisioni e poi le cambia in continuazione, perché nella vita le cose cambiano sempre. All’inizio ovviamente non accetta nulla, non accetta la realtà che gli si para davanti, non la può accettare, perché nessuno razionalmente potrebbe accettare una cosa del genere. E poi piano piano pensa: “Ma lei è mia figlia, come faccio? che cosa faccio? Io credo che siano domande che ti tolgono il sonno la notte, ti rimbalzano dentro la testa e tu una risposta non te la puoi dare.
Per questo appunto mi piaceva l’idea di un padre comunque calibrato, senza troppe urla, cioè senza troppi drammi. Il suo tormento è proprio l'impotenza di non sapere come affrontare il dramma che ha travolto lui e sua figlia”.
STEFANO ACCORSI
“Credo che Ivano De Matteo chiuda con questo film una trilogia sulla famiglia e su delle problematicità che possono essere complesse e dolorose e che ci fanno riflettere sul “cosa avrei fatto io” al posto di questi personaggi.
Ivano ha una dimestichezza con questi argomenti e deriva da questo l’aver scritto il mio personaggio come un uomo pacato, per il quale il dolore è anche una questione di pudore. Penso che alle volte, quando tratti delle emozioni così profonde, non devi necessariamente affrontarle di petto, in maniera frontale, ma puoi farlo anche in maniera laterale.
Il cinema è un mezzo molto potente perché ti permette di entrare, di esplorare, di avere uno sguardo più intimo, di arrivare più vicino alle emozioni nascoste.
Quindi, secondo me, questa pacatezza nasce proprio da un approccio autentico e approfondito”.
“Il mio personaggio ad un certo punto dice: “Puoi smettere di essere figlio ma non puoi smettere di essere genitore”. Io credo che in qualunque momento, anche il più difficile fra un genitore e un figlio, un genitore si pone sempre delle domande, si chiede se e in che modo sia stata colpa sua, in cosa ha sbagliato, quali errori ha fatto. In verità siamo legati ai nostri figli da un filo che non si spezza mai, o almeno io la penso così. L’essenza di questo film non è dare risposte ma porre delle domande: in ogni caso, è l'amore ciò che ad un certo punto ti fa smettere di pensare e ti fa comunque capire che non possiamo controllare tutto e che non possiamo essere fautori del destino dei nostri figli, come non possiamo esserlo del nostro destino. Nel film ci sono anche i temi del perdono e dell’ascolto e il mio personaggio, che all’inizio appunto è così chiuso in sé stesso, lentamente si apre all’ascolto.
Se inizialmente rifiuta totalmente la figlia, poi lentamente dentro di lui si apre la strada dell’accettazione. Non lo so se c'è un effettivo perdono da parte sua, forse perché il perdono richiede veramente tanto tempo, però credo che sia un lavoro emotivo che ti lavora dentro, credo ci voglia molto tempo e alla fine impari quanto meno a convivere con questo dolore.
La vita è complessa e le famiglie ideali non credo che esistano.
Io almeno non le ho mai viste.”