Galoni: “Dal lavoro dobbiamo guadagnare non denaro ma tempo libero”

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Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Credit Sofia Bucci
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“Cronache di un tempo storto” raccoglie undici tracce che raccontano alcuni eventi significativi degli ultimi anni, partendo dai grandi avvenimenti che hanno influenzato la società fino ad arrivare a riflessioni personali. L'INTERVISTA

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“Cronache di un tempo storto” è il nuovo album di Galoni. Undici tracce che raccontano, dal punto di vista dell’autore, alcuni eventi significativi degli ultimi anni, partendo dai grandi avvenimenti che hanno influenzato la società fino ad arrivare a intime riflessioni personali. L'album arriva cinque anni dopo l’ultimo lavoro “Incontinenti alla deriva”. Fortemente influenzato dalle letture di Raymond Carver, Michail Bulgakov e Cormac McCarthy, Galoni pubblica un disco maturo che con un approccio diaristico e giornalistico ripercorre un tempo complesso e “storto”, come quello della storia più recente, alternandolo a piccoli racconti autobiografici per tracciare una vera e propria mappa delle relazioni umane. Eventi come il crollo del ponte Morandi, la tragedia nel canale di Sicilia, il lockdown e il negazionismo dilagante si sovrappongono alle storie di vita di un uomo qualunque, alle sue paure e ai suoi sentimenti, diventando l’occasione per raccontare, raccontandosi, il mondo da una prospettiva differente.

Emanuele quando nascono le “Cronache di un Tempo Storto” e quando hai capito che siamo tutti figli e vittime di un tempo storto?
Nasce in un momento particolare e il titolo nasce per primo poi sono arrivate le canzoni che fanno riferimento alle tragedie nel Canale di Sicilia e al Ponte Morandi e in seguito le mie storie; mi sono aperto molto in questo concept che gira intorno a una cronaca collettiva e piccole cronache mie personali.
“Sono meglio di un affresco le storie dei passanti”: Eduardo diceva che due persone su una panchina sono già una sceneggiatura. Come ti approcci alla scrittura e come medi tra la narrazione e il tuo personale?
Amo molto scrivere e narrare. Sono un insegnante che ama il racconto in prosa e quando scrivo una canzone ci sono tutte le mi esperienze da insegnante. Il verso che hai citato pensando al mio periodo romano ed è ambientato su un tram che ho preso spesso, incontrando e osservando personaggi grotteschi che mi sono tornati in mente. E’ una piccola cronaca quotidiana.
Sei tu l’uomo del tram?
Potrei esserlo. Anche se la canzone racconta di un uomo che vive sul tram aspettando una donna per vent’anni.
Ammesso che nel lockdown siamo riusciti a preservare mente, nervi e muscoli siamo tornati alla fretta o pensiamo ancora alla casa sopra gli alberi? Perché anche in “In mezzo alla fretta” parli di persone che non cercano quello che conta…il quadro non è positivo?
Ho un atteggiamento quasi nichilista. Non cambierà nulla. Siamo inghiottiti in un mondo abbastanza veloce fagocitato dalla tecnologia e dal digitale. Quella è una speranza ma il problema è che non diamo più valore alla memoria storica. Il tempo della pandemia andrebbe studiato e ricordato ma abbiamo poca memoria e solo parlarne diventa un fastidio. Siamo tornati al prima e il timore è che ci ricorderemo poco.
Teniamo a una storia solo se sappiamo invecchiarla: che rapporti hai con i ricordi? Sei selettivo o archivi tutto?
Ho imparato a essere selettivo. Tendiamo più a pensare al ricordo che a vivere una esperienza. La memoria storica è anche personale.
Il Mare Magnum è comunque un mare chiuso: dici è possibile ritrovare qualcuna delle possibilità che abbiamo lasciato andare alla deriva?
Credo di sì anche se qui parlo di una storia personale che è archiviata e senza possibilità. Ma ampliando il tema la possibilità col lavoro e la determinazione si può creare.
Il concetto di ritorno di “Non devi avere paura di niente” è quello del nostos? Inoltre hai riflettuto sul “devi” del titolo? Eliminarlo non sarebbe sembrato più dolce il ritorno visto che sarebbe stata una scelta? Inoltre “Sui piani alti di un palazzo” ci sono ponti che non concedono il ritorno a una partenza.
Mi sono ispirato al romanzo “The Road” di Corman McCarthy: il “devi” è di un papà che si rivolge al figlio, sono in uno scenario post apocalittico e girano cercando tracce di un palazzo. Questo disco ruota intorno al concetto di casa, inteso anche come spazio interiore. In tutte le canzoni c’è una casa.
Il tempo che non condividiamo ma ci raccontiamo è quello di questa epoca tanto social e poco reale?
Soprattutto. “In Mezzo alla Fretta” e “Le rovine di Pompei” sono canzoni sorelle. Prendiamo un viaggio non condiviso, a volte non è una scelta ma la vita che non ce lo consente. La società non va incontro alle relazioni sociali. Dal lavoro bisogna guadagnare non il denaro ma il tempo libero.
Cosa è il negazionismo da bar di Gino? Tra bar, Gino e barbera mi ricorda molto alcune ballate gaberiane.
E’ un amico, quando bevevamo finiva la serata dentro la fontana del paese. E’ la contrapposizione tra una figura solida e una discussione sul complottismo e il bar è centrale perché è testimone di cose realmente successe. Quello che mi accade cerco di metterlo subito per iscritto.
C’è un luogo dove ci si riconcilia con la vita?
Per me lo è stato ma non è fisico, è dove ho fatto pace con mio padre, che non ho mai conosciuto. Il luogo è dove ti riappacifichi con storie personale, è un percorso lungo fatto di accettazione della propria esistenza. A volte devono passare anche gli anni.
Alla fine possiamo dire che ora la vedi la primavera che è arrivata?
E’ arrivata già l’estate, senti che caldo! Lavoro con ragazzi che hanno tra gli 11 e i 14 anni e lasciano un po’ di speranza. Gli adulti trovano sempre il modo di raccontare le generazioni di oggi in chiave peggiorativa. Io dico che la primavera sarà la loro e sono molto positivo.
Che accadrà nelle prossime settimane?
A luglio parto col tour promozionale con un set acustico, chitarra e violino, poi ci sarà qualche live con la band. Abbiamo chiuso un po’ di date. Per l’autunno penso ai club.

isotta

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