Ensi & Nerone: "Le rime, l'amore e la rabbia sono il nostro collante"

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

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É un progetto che racconta l’italianità tra stile e contraddizioni, il cui richiamo esplicito è al celebre film “The Good Fellas” di Martin Scorsese. L'INTERVISTA

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Ensi & Nerone
creano una vera opera rap con l'album "Brava Gente", anticipato dal brano "King Kong VS. Godzilla". L'album si compone di 12 tracce e include diversi feat. É un progetto che racconta l’italianità tra stile e contraddizioni, il cui richiamo esplicito è al celebre film “The Good Fellas” di Martin Scorsese ma in chiave contemporanea e hip hop, al di fuori dei cliché e degli stereotipi. 

Partiamo dalla nascita del progetto e dalla vostra concezione di “Brava Gente”.
Sono gangster ma che hanno fatto tutto per la loro comunità ed è quello che noi abbiamo fatto per i nostri fan. Questo album è per il popolo rap e non solo. E’ un prodotto sincero, fatto bene, attuale, noi siamo amici da tanto, ci siamo trovati in studio per fare un pezzo con un collega e lì visto l’amalgamarsi delle voci, gli amici che ci hanno stimolato e ci hanno convinti a mettere qualche canzone da parte: da 6 sono diventate 12 e altre ce ne sono nel cassetto.
Il primo singolo è stato “King Kong vs Godzilla”: in cosa anticipa il progetto e visto che entrambi sono stati protagonisti molti film ce ne è uno che per voi è un film cult?
E’ un meta-linguaggio e comunque c’è l’ultimo che è pacchiano ma con grandi effetti speciali. E’ immediato pensare a noi due che abbiamo un passato di killer delle battle di freestyle. Non ha un ritornello, è un singolo atipico, se hai un bagaglio traduci tutto se no ti colpisce l’esplosività. E’ il nostro cavallo di Troia, ti annuncia che c’è qualcosa che troverai nella pancia del cavallo: come estetica e immaginario si prestava. Potevamo giocare i feat singolarmente mentre in un brano ne abbiamo messi addirittura quattro. E poi abbiamo creato interazione su instagram.
“Se hai spaccato ieri fallo oggi o non è cosa”: non è il solo messaggio verso una scena musicale fatta di fuochi fatui e improvvisazione. E’ una sfida alla politica dei like?
Fallo anche domani nel senso che bisogna confermarsi. Il like è fittizio. Non è sinonimo di concerti. Il discorso dei numeri è ampio e lo rispettiamo ma possono anche essere dopati. Una critica con chi non si è rinnovato anche a livello motivazionale perché la competizione fuori è altissima. Tanti ambiscono al vertice ma c’è tanta confusione.
“Non seguo un leader da quando so cosa è un leader”: eppure nel vuoto politico e sociale di oggi ci vorrebbero. Dove è il problema? E se vi ritrovaste a un chiosco con Gesù a mangiare la salamella che gli direste?
Ce ne sono stati in passato ma stavolta può anche essere riflessa verso chi ha potere decisionale nella musica. E’ anche essere capo di se stesso. Gli diremmo che il venerdì non era pesce? E se non è venerdì…becchiamoci venerdì.

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Le rime l’amore la rabbia restano le colonne dei vostri testi?
Sì ma più della nostra vita. Sono le cose che ci tengono lontano dai guai. E’ un bel riassunto di quello che abbiamo in comune.
“Il dolore che ti segna è quello che ti cambia”: è un invito a liberare le fragilità, a non avere paura a chiedere aiuto?
La generazione odierna non ha paura di esprimere il disagio quanto la nostra. Il triste è che ora non se ne accorge nessuno, il comune denominatore è che in generale non ci aiuta nessuno, però loro lo hanno chiesto e sanno esprimere il disagio. La frase prima di quella che hai citato è “ricordati di essere forte mi diceva mamma”: è una scrittura terapeutica, quasi come esorcizzare un dolore. Se hai un figlio la visione del futuro è meno distruttiva e cerchi il lato positivo delle cose. Si è passati da un rap che parlava della collettività a uno odierno che parla di problemi personali.
Perché avete affidato a Shari i sensi di colpa?
E’ un pezzo fatto prima che lavorassimo insieme e che tratta molto bene di introspezione, racconta l’amore in una maniera che incanta. Groove energia e dolore in un pezzo aggressivo, Shari era perfetta.
Quado la vita ti rema contro è più facile trovare un’altra scusa o trovare una via d’uscita?
E’ il dogma della vita, poi c’è il colpo in canna: il problema lo uccidi o ti uccide. E’ soggettivo, è come si affronta la vita. Però cercando la soluzione qualche minchiata ci sta per tamponare, ci sta una sfumatura, ma conta lo state of mind di partenza.
“Six Pack” è un po’ come aprire una enciclopedia del rap, ci sono Nitro, Fabri Fibra, Jake La Furia e Gemitaiz: come è stata costruita?
E’ stato difficile fermarsi perché quando le strofe si mettono in fila vorresti chiamarne altri. Le posse nel rap esistono da sempre, anche se ora se ne fanno un po’ meno. Da un po’ una così massiccia non usciva.
“Siamo davvero chi siamo quando nessuno guarda”: è il manifesto di una generazione che non sa più parlarsi? Penso alla generazione di hikikomori.
E’ terapeutico, è una verità globale, la società è performante ma poi a casa sei quello che sei. Tutti abbiamo una vita parallela nei social che crea effettivamente una versione dove non mostri i fallimenti ma mostri il meglio che puoi. Anche noi brava gente cerchiamo di esporci nella maniera più reale.
Alla fine possiamo dire che grazie a progetti come il vostro andiamo incontro a una scena e a una esistenza meno rattrappita?
Abbiamo spronato tutti a dire la verità. E’ una chiave moderna dire le cose come stanno, le canzoni hanno macro-concetti che cambiano il modo di esprimerle, è un disco che va consumato. Consideriamo che oggi il popolo del rap è più generalista. E’ un merito portare la gente ad ascoltare più volte un disco, è come un video che ti porta nei dettagli. Voglio combattere lo skippare.
Che accadrà in estate?
Debutto a Nerviano, poi saremo al Nameless e abbiamo già altre due date ma il calendario è aperto e in inverno avremo più assi nelle nostre maniche.

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