Daniele Silvestri: “Con l'album Disco X mi è tornata la voglia di fare il cantastorie”

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Nel suo nuovo lavoro, l’artista romano si riprende un po’ di leggerezza e torna a raccontare piccole grandi storie di vita quotidiana. È anche il decimo album della sua carriera ma quella X ha molti significati. L’INTERVISTA

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Quattro anni dopo La Terra sotto i Piedi, Daniele Silvestri torna con un nuovo album, Disco X, dove quella x identifica sì il decimo album dell'artista romano, ma si amplia poi in una mitologia autoriale che apre tante finestre sull'umanità. Insomma il mistero è un fantastico compagno di viaggio in questo nostos ricco di marinai che con Daniele ha condiviso dei passaggio nei porti dell'esistenza.

 

Daniele partiamo dalla scelta del titolo: perché si chiama Disco X?
C’è stato un momento recente in cui ho capito che avevo un disco in mano. Con gli anni che passano è una consapevolezza sempre più imponderabile. Non do mai per scontato di farlo uscire quando ha un senso. La X non è lì a caso, ho iniziato a raccogliere nella cartella sul pc degli spunti e la ho nominata X perché la sola certezza era che si trattava del decimo disco.
Poi hai cambiato direzione.
Andando avanti ho capito che quella X rappresentava anche qualcosa d’altro: un po’ è una incognita avendoci lavorato senza un obiettivo da raggiungere; il precedente La Terra sotto i Piedi era vicino al concept, qui trovi più leggerezza, c’è una ricerca più istintiva delle parole e comunque lo vivo come un bene che sia un disco più semplice del precedente. Ho fatto un tour durante il quale il disco è stato costruito in scena e quella che è nata è una idea indipendente dal momento, un racconto che può essere infinito.
Come avete proceduto?
Abbiamo costruito una sala di registrazione viaggiante e abbiamo registrato realmente e ho poi chiesto a chi mi seguiva di mandarmi storie, motivo per cui mi piace leggere, viaggiare e incontrare persone, che con luoghi e cibo trasmettono storie. Alcune intime, altre dolorose, altre non raccontabili. Ma alcune avevano un germe perfetto per diventare canzone. Il terzo significato della X è qualsiasi: il manifesto è che in un mare tranquillo possano esserci zone di profondità dove hai voglia di immergerti. È un modo nuovo di parlare del tempo, portare le persone a teatro è riappropriarsi del tempo.
Tantissimi i featuring ma nessuno forzato.
Negli anni 90 i featuring erano una rarità, penso a quell’apice che fu il trio mio con Max Gazzè e Niccolò Fabi. Oggi c’è una corsa estrema ai like ma sono convinto che riconoscere i feat sinceri sia facile; altra cosa è il rap perché le collaborazioni fanno parte della sua cultura.
I brani sono spontanei, quasi novellistici.
Crescendo mi sono tolto un po’ di senso di responsabilità e affidandomi a storie mie e di altri mi sono sentito tornare alle origini. A 14 anni avevo scritto dieci canzoni tutte sulla serie televisiva Radici: mi è tornata la voglia di fare il cantastorie, è una cosa nella quale mi riconosco e qui torno a esserlo felicemente.
Il cd si apre con Intro X che non è invece sul vinile.
Il cd continua a essere un oggetto cui facciamo riferimento. C’è anche la ripresa del vinile che però ha X tracce, dieci tracce, mancano la intro e la ghost track. Per altro Intro X contiene tutte le voci presenti nell’album. Tutti quelli che ci hanno lavorato ci hanno messo un pezzetto di cuore.
Si apre con Scrupoli.
È anche la prima canzone dello spettacolo teatrale perché racconta il progetto creativo che c’è dietro una canzone. È il racconto di una separazione dal punto di vista femminile che tende a essere più concreta dei maschi: non dimostra il dolore, taglia i ponti e mette il sorriso anche quando si dovrebbe piangere.
Procediamo con Il talento dei Gabbiani col feat dei Selton.
È una storia osservata da tre punti di vista: il padre sprona il figlio a costruirsi il futuro attraverso i talent, poi c’è il direttore di produzione che accompagna i candidati al successo o all’insuccesso. Infine c’è il ragazzo che spiazza tutti e nel finale comunica ai genitori che non sarà quello che loro vogliono bensì sarà come un gabbiano in mezzo al mare libero di urlare per la sua gioia di volare.
Tutta ha una genesi unica e il feat straordinario di Emanuela Fanelli.
È una storia anomala, sono immagini mandate da un libraio di Forlì, Paolo Poni: disegni un po’ naif con dentro delle parole quasi in forma di canzone; è stata titolata da lui Appunti per una Piccola Canzone d’Amore. Vorrei ricevere io una lettera così.

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In Bella come stai hai coinvolto Franco 126.
Quando l'ho ascoltata, l'ho chiamato e lui ci si è trovato. È una canzoncina ambientata tra Roma e Milano, chi parla è di Roma ma si rivolge a una persona che ha scelto di vivere a Milano. C’è il ritratto di una Roma distopica.
Eccoci a Colpa del Fonico.
Nella sua delicatezza è una delle canzoni cui tengo di più. Non avrei potuto scriverla se non fosse esistito Lucio Dalla.
L’Uomo nello Specchio ti ha visto lavorare con Filippo Uttinacci ovvero Fulminacci.
È forse la canzone che ci porteremo più appresso. Fulminacci è per me una specie di figlio, ha un talento particolare e a me piace tantissimo. La canzone nasce in un giorno e mezzo, tra palleggiamenti di parole e chitarre. Dobbiamo ricordarci come abbiamo iniziato e deve essere un obiettivo ricongiungersi con le origini. C’è sempre la speranza di trovare quel Daniele iniziale, peraltro avrei io qualcosa da chiedergli.
Cinema d’Essai ospita Giorgia.
Per la mia generazione era un posto con una sua magia, chi ha vissuto il cinema Azzurro Scipioni di Silvano Agosti può capire cosa intendo. Il pezzo nasce un po’ di tempo fa a casa mia. La voce doveva essere quella di Giorgia e l'ho chiamata in un momento per lei complesso ma alla fine ci siamo riusciti.
Anche While The Childdren Play, con Frankie hi-nrg-mc e Wrongonyou, non è roprio recentissima.
È vero, è una canzone pensata un po’ di anni fa e non mi soffermo sul perché è uscita solo ora. È dedicata a Every Child is my Child Onlus. Quando abbiamo registrato la base musicale era il 2015, Gianluca Vaccaro era l’ingegnere del suono e purtroppo è mancato poco dopo.
Siamo quasi alla fine: Mar Ciai l'hai costruita con Eva Pevarello.
È la storia di una zingara o di un'esponente del popolo Sinti. Musica e parole raccontano una storia dolce e spensierata che è esacerbata per contrastare il finale che è drammatico. A Eva ho chiesto di dare voce a questa lingua non scritta come fosse quella di sua nonna, che esiste davvero. Il titolo tradotto significa bambina adorata. Il tema qui non è l’immigrazione, che tratto altrove e ne parlo ne Le Navi, qui il tema è l’integrazione.
Chiudiamo con Up in the Sky e Davide Shorty.
È una storia inventata e cinematografica, c’è fantasia, è figlia di una vecchia canzone. Dentro c’è quasi una storia di spionaggio, di identità, è un po’ fiction ma a modo suo racconta un po’ il nostro momento. E mi sono affidato a Davide, una persona che l’inglese lo conosce bene vivendo da anni a Londra.

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