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Pink Floyd, Nick Mason racconta a Sky Tg24 i 50 anni di "The Dark Side Of The Moon". VIDEO

Musica

Federica Pirchio

Il 1° marzo del 1973 veniva pubblicato lo storico album. Per festeggiare l’anniversario il 24 marzo esce un cofanetto speciale, con contenuti deluxe, rimasterizzati. Per l'occasione, abbiamo incontrato a Londra Nick Mason, cofondatore e batterista della leggendaria band che ha ricordato la genesi dell’album.  L’INTERVISTA 

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Se dico “The Dark Side Of The Moon”, quali sono le sue emozioni?

Ovviamente sono orgoglioso, è straordinario per noi come per chiunque altro pensare che sono 50 anni che il disco sia in giro, probabilmente perché vengo da una generazione durante la quale si pensava che la musica rock sarebbe stata totalmente effimera, che sarebbe durata forse un anno o due. Quando io, quando la band ha iniziato, pensavo che sarei tornato al college l’anno dopo. Comunque ormai parliamo di 55 anni fa.
Se "The Dark Side Of The Moon" uscisse oggi non sono sicuro che sarebbe facile lanciare il disco perché ha questa storia che lo attraversa . Adesso ascoltiamo la musica in modo diverso, prendiamo qua e là, ci creiamo le playlist. Non sono certo neanche che oggi saremmo riusciti ad arrivare a nuovi ascoltatori.

Prima siete andati in tour e poi avete registrato l’album in studio. Ci racconta la genesi del disco?
Penso che l’atmosfera, quando prima eravamo in tour suonando parte delle canzoni e sperimentando, sia stata una cosa molto utile. Era un qualcosa che sfortunatamente però a un certo punto si è concluso perché eravamo andati tutti in paranoia per la pirateria e di conseguenza avevamo paura che le persone registrassero i nostri show per poi renderli pubblici. In qualche modo eravamo convinti che questo ci avrebbe danneggiato quando avremmo poi pubblicato il disco. A pensarci adesso so che sembra senza senso. Le persone che hanno gestito meglio tutto ciò sono stati i Grateful Dead che incoraggiavano tutti a registrare tutto quello che volevano e così facendo hanno fatto sì che le pubblicazioni non risultassero eventi speciali. Per cui quello che davvero abbiamo fatto è stato registrare in studio, che non è così intelligente, come svilupparlo durante un concerto live.

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Ci spiega meglio cosa intende dire?

Quando sei in studio di registrazione la tendenza è continuare fino a quando non pensi di averlo fatto veramente bene mentre se lo suoni live, ovviamente, ogni volta proponi una versione che pensi sia giusta ma poi puoi continuare a svilupparlo e a migliorarlo continuando a suonarlo nei vari live. Ci sono però dei vantaggi nel lavorare in studio. Per esempio noi eravamo nello studio 3 di Abbey Road e cose come i primi rotatones, per settare le batterie, potevano essere usati solo ad Abbey Road perché non li avevamo proprio e neanche li avevamo mai visti ma ce ne erano nello studio lasciati lì da chi aveva registrato prima. Ecco, una cosa del genere non sarebbe potuta capitare lavorando sul live. E’ successa perché eravamo in studio

 

Cos’è “The dark side of the moon”, la parte oscura della luna?
Non ne ho idea.

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