Raiz racconta Sergio Bruni nell'album Si ll’ammore è ‘occuntrario d'a morte
Musica Credit Riccardo PiccirilloLa musica di quello che Raiz ha definito il Maradona della musica napoletana ha attraversato la sua infanzia, accompagnando gioie e dolori della sua famiglia. Le sue canzoni appartengono alla collettività dei napoletani. L'INTERVISTA
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Ricordato spesso come A voce ‘e Napule per aver saputo rappresentare con le sue canzoni tutti gli abitanti della città, dai ceti più agiati a quelli più popolari, Sergio Bruni è stato reinterpretato da Raiz, che lo celebra nell'intenso album Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’’a morte. Fondamentale fu l’incontro con il poeta Salvatore Palomba, dal cui sodalizio nacquero alcune delle canzoni più famose della sua discografia tra cui Carmela del 1976 e l’album Una voce una città del 1980 in cui Sergio Bruni musicò il testo di Eduardo De Filippo È asciuto pazzo 'o patrone.
Gennaro, partiamo dalla storia dell’album: cosa ti ha portato verso Sergio Bruni e perché hai voluto la complicità dei Radicanto?
Mi ha indirizzato la mia storia famigliare, lo ho ascoltato tantissimo da bambino. Da piccolo lo ho subito nel senso etimologico del termine, ne sono stato sottoposto mio malgrado. Le sue note mi hanno nutrito e se mi avessero detto quando avevo vent’anni che avrei fatto un album su di lui sarei inorridito: mai dire mai nella vita. Col tempo mi ci sono avvicinato in modo attivo e ho capito quanto ha forgiato la lingua napoletana e il respiro delle note. I Radicanto sono stati una scelta obbligata, nel senso positivo del termine, ci lavoro da vent’anni, sono la mia band dell’acustico. Con loro condivido il progetto Musica Immaginaria Mediterranea. Ci siamo diverti ad arrangiarla, nel rispetto di Sergio Bruni ma con qualche spintarella.
Lavorando al progetto e facendo le tue scelte sei rimasto stupito dell’attualità dei testi? Penso a Napule Doceamara e Napule è Mille Ferite che racconta le contraddizioni della città e a Carmela che ritrae una donna che necessita di protezione.
I testi sono di Salvatore Palumbo, l’ultimo grande poeta napoletano vivente che ha 90 anni ed era presente venerdì scorso al mio concerto di esordio a Napoli. Mi ha consigliato i pezzi da usare; pensa che nel 1975 quando è stata scritta Carmela Pino Daniele ha scritto Napule è. La musica napoletana è contaminata dal Dopoguerra. Napoli è una spugna, disse Walter Benjamin che la chiamava la città porosa. È sempre una città aperta e oggi il nostro calciatore di punta, Victor Osimhen, è nigeriano.
Dal punto di vista vocale come ti sei approcciato al progetto? Hai ascoltato Sergio Bruni oppure identificata la tracklist hai seguito la tua idea?
Ho ascoltato lui in diverse versioni. Bruni ha scritto e inciso più versioni dello stesso brano, tra quelle in studio e dal vivo e le trovi su Youtube. Arrangiava a seconda dell’occorrenza e questo mi ha dato libertà: se lo faceva lui, un minimo di licenza c’era anche per me. In alcune occasioni ho fatto a memoria e a volte lo ho tradito, mi è mancata qualche parola. Poi la ho aggiustata perché lui ha un pubblico di filologi.
Comincio con quello che manca, almeno secondo me, Il Mare portata al Festival di Sanremo nel 1960.
Ho scelto pezzi suoi, Nino D’Angelo fece un album su di lui dove scelse anche il Bruni interprete.
L’incipit di Napule Doceamara racconta che questo Golfo non lo hanno inventato i poeti poi dopo la bellezza che ti leva il respiro arrivano una nota melanconica e la voglia di pregare: sei credente? Credi che la Fede oggi sia salvifica più che in passato?
Sono spirituale, non so se credente. Però la religione non deve diventare divisiva. Che Miracolo Stammatina è un brano mistico e panteistico. In ‘Na Bruna c’è il gesto del segno della croce toccando la mano nell’acqua di mare, è gesto comune tra i marinai, esprime una fede profonda. Quali dei due gesti è più evocativo? Credo che l’acqua di mare accomuni di più, almeno nel Mediterraneo.
Amaro è o bene è una canzone di disincanto: oggi molto spesso i giovani artisti cantano più di amori che finiscono che di amori che nascono. Secondo te i social come hanno cambiato le modalità di cantare l’amore?
Mi fai riflettere con questa domanda. È un’epoca di grande disillusione. L’amore che finisce nella canzoni mi riporta a un incontro col poeta israeliano di origini yemenite Avihu Medina: mi disse che prima si esce con gli amici e poi se finisce subentra l’anima melanconica.
Che Lle Conto per le sonorità e la simbologia sembra la mamma della world music: oggi Napoli è ancora centrale nell’essere raccordo della cultura mediterranea?
È il centro geografico, basta guardare la cartina. La nostra ricchezza è l’apertura. E la lingua fa tanto, ha meno vincoli dell’italiano, ci si muove agilmente su melodia e ritmo. Nel brano che citi c’è dentro il tango di Astor Piazzolla che è un italiano che è andato in Argentina e scrive come un napoletano pur essendo di origini pugliese. La domanda è: Piazzolla ha preso da Bruni o viceversa?
Come descriveresti Sergio Bruni a un adolescente?
Ti piace Geolier? Sergio è suo nonno.
Il libro di racconti Il Bacio di Brianna resterà figlio unico oppure la scrittura letteraria va avanti?
Sto scrivendo ma molto a rilento. Non ultimo sono impegnato in un lavoro di attore che mi appassiona molto.
Questo album lo porterai in tour? A giugno sono vent’anni che Bruni è morto e sarebbe una ottima occasione per raccontarlo.
Un tour c’è, ho debuttato a Napoli ieri, poi il 15 aprile sarò a Roma e spero di venire presto al Nord. Il bello di questo progetto è che non si esaurisce in poco tempo, può andare avanti per anni. Nel concerto ci sono anche due o tre pezzi miei di derivazione bruniana e altre due o tre che lo hanno visto interprete. Sergio Bruni è come Charles Aznavour. Se avesse voluto fare avrebbe fatto di più, in America avrebbe avuto una grande carriera. Negli Stati Uniti è più noto Aurelio Fierro ma a Napoli Maradona sta al calcio come Bruni alla musica!