Meg:"Vesuvia è paura e sollievo e io non ho più paura degli attimi felicità"
Musica Credit Mattia GuoloDodici canzoni che raccontano di crescita e di perdite, di gratitudine e di sorellanza. L'artista napoletana con questo album mette il punto esclamativo (un altro) su un viaggio artistico e umano unico
Iscriviti alla nostra newsletter per restare aggiornato sulle notizie di spettacolo
Vesuvia è una poesia lunga dodici canzoni. Il nuovo album di Meg nasce dalla costante minaccia che tutto ció a cui tieni possa svanire all'improvviso. Questo è il destino di chi vive vicino a un vulcano e qui si apre il ricordo di Meg bambina quando si chiamava ancora Maria, Maria Di Donna. Ma Vesuvia (Asian Fake/Sony Music) quando esplode non porta devastazione, non sputa lapilli e cenere. La sua lava è composta da pentagrammi. La sua lingua di fuoco non devasta villaggi, ma fa danzare chiunque la sfiori. L'album ospita le collaborazioni di Frenetik, Orang3, Fugazza, Suorcristona, Tommaso Colliva e David Chalmin; mixato e masterizzato da Andrea Suriani. I featuring sono di Elisa ed Emma, di Altea, Alice, SANO e specchiopaura del collettivo napoletano Thru Collected, di NZIRIA e della pianista francese Katia Labèque.
Meg partiamo dalla storia di Vesuvia: quando hai iniziato a pensarlo e come lo hai costruito?
Quando mi sono resa conto di avere un po’ di materiale da parte e ho realizzato che tutto portava alle mie radici e che l’elemento più totemico è il Vesuvio che ha accompagnato minaccioso e gioioso la mia adolescenza mi è venuto in mente di declinare il Vesuvio al femminile. Mi piaceva l’idea di questo personaggio e che fosse l’autrice di ciò che componevo.
La cover è ricca di suggestioni: i colori ricordano la pittura dei macchiaioli, tu con lo sguardo fiero e rivoluzionario che sembri uscita dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, il drappo rosso, il cielo cupo che rosseggia in lontananza: come è nata?
Vesuvia richiedeva qualcosa di molto iconico, richiedeva un immaginario forte. Mi sono avvalsa di collaboratori che avevano dunque un forte immaginario. Bianca Peruzzi è fotografa e regista che lavora con occhio molto pittorico. Se guardi il video di Fortefragile si pensa a Caravaggio per le figure illuminate che escono dal buio. Michele Nannini è più fantasy, più gaming. Le due cose si sono fuse, si tratta di un lato un po’ romantico e rivoluzionario e uno dark e digitale che si sono uniti.
Curiose anche le tue foto per questo progetto: ci sono la Meg rinascimentale, quella con la gorgiera, quella in nero austera e ammiccante infine quella in bianco in una purezza quasi lolitesca. Nei tuoi social ne ho vista una che sembri una mistica che ha una apparizione e poi la tua mano con i coralli che sembrano stigmate. In Fragile dici che “viviamo molte vite”: chi è oggi Meg?
Sono il frutto di tutte le Marie e le Meg del passato. Il corallo è fondamentale per me, vengo da Torre del Grego nasco, da parte di padre, da navigatori e di mamma da corallari. Il corallo sembra sangue…sono ossessionata dal corallo. Fa pensare anche all’apparato venoso. Bianca mi ha fatto tenere in mano la freccia come una penna a significare che le parole sono preziose per difenderci e combattere per ciò in cui crediamo. Sono forte e fragile e ho imparato a essere umana anche attraverso le fragilità, sono imperfetta e dunque onesta.
Quando è l’ultima volta che hai ascoltato le stelle e cosa ti hanno detto? La notte stellata è anche in Arco e Frecce. Ami la luna?
Assolutamente sì. In questo disco ci sono a mia insaputa riferimenti naturali. La notte stellata è Maria che studiava Dante all’università, innamorata di Dante e poi ho incontrato i 99 Posse e la mia vita è cambiata. Arco e Frecce è la selva oscura che ti porta a rivedere le stelle. La scrittura è uno stream of consciousness: mi faccio trascinare per dipanare una matassa e alla fine sono questo mentre ieri ero altro. La vita è una continua evoluzione, bisogna sentirsi liberi.
Solare avvia, secondo me, uno dei temi portanti dell’album, l’autodeterminazione: parti con lui a parlare in riva al mare e tra una vecchia foto e un fischio ti ritrovi a camminare da sola. In Aquila dici che sei molto più bella e forte di quello che credi. Più che il senso dell’assenza io ci leggo, collegandomi a Non ti Nascondere, che devi vivere cose più grandi te. E’ qui l’essenza dell’essere umano?
Secondo me sì, è attraversare la paura sapendo che ne esci cresciuto e questo non è vincere o perdere bensì vivere. Solare è un omaggio alla mia zia preferita, morta in un incidente automobilistico. Sant’Agostino canta e cammina ma non per vincere la noia ma per sentirsi più forte: la frase è della zia scritta in un vecchio biglietto di auguri. Aquila è un inno alla sorellanza, le mie amiche sono fonte di ispirazione nei momenti di fragilità. Nel film The Boy, the Mole, the Fox and the Horse c’è una scena nel trailer in cui dice che chiedere aiuto non è resa ma è forza. L’ostinazione a non mollare fa coraggio.
Artisticamente sei rinata mille volte, sempre con coraggio: c’è una volta che è stato particolarmente difficile rimettersi in piedi?
Tante volte e anche più volte nella stessa giornata. Viviamo un momento precario per tutti e ancora di più per noi musicisti costretti a lavorare sempre con meno mezzi. Non è facile, è sempre tutto più tosto. Personalmente vivo un bel periodo col mio staff e ho collaboratori che dimostrano entusiasmo a lavorare con me.
Chi è il Principe delle Tenebre del metafisico amore carnale?
Il mio gatto nero. Ne ho due e sono due fratelli abbandonati, uno nero e uno grigio. Quest’ultimo è un eterno cucciolo, l’altro è l’Alain Delon dei gatti e lo amo come un compagno. I gatti sono creature formidabili, sono esseri superiori.
Scusami è la canzone più fragile dell’album, dal punto di vista emotivo: oggi sai come proteggerti e hai meno paura di certi demoni?
Un po’ di esperienza ha fatto sì che abbia un bagaglio che mi protegge, quando ero ragazzina mi sentivo invulnerabile e invece ero fragilissima. Ogni giorno ho un senso di colpa costante che è quello di sentirmi più fortunata di altri: penso ai popoli ucraino, iraniano, siriano ma anche ai disastri ambientali. E’ un chiedere scusa per gli attimi di felicità: sono briciole e vanno colte diceva Alda Merini. Ed io me li prendo, è un diritto e dovere degli umani godersi i momenti di felicità.
Formiche è liberazione, con le formiche che portano via i pensieri, e identità con te che non sai chi sei: oggi quel fantasma ha trovato pace e nome?
Quel nome è Maria. A volte penso che la bambina Maria nata tra il Vesuvio e il mare avesse capito più cose della Meg ventenne. E ora torna a ricordare che molte cose erano state già elaborate. La vita è viaggio ed esplorazione per poi tornare bambini. Formiche lo ho scritto quando Donald Trump alzò il muro col Messico separando i genitori dai figli e poi gli stessi genitori. In inglese i migranti messicani sono chiamati ant, formica in senso dispregiativo. Mi sono fatta un film mio di una madre separata dal figlio. C’è la disperazione nella prima strofa e la salvezza nella seconda quando tutto è finito va a prendere il figlio a scuola. Mi sono voluta creare un lieto fine.
Si può dire a chi è dedicata Grazie? Sembra una ninna nanna…e forse per la prima volta in Vesuvia c’è la voglia di non uscire dal tempo.
Mi sono formata con le ninna nanne ed è La Palummella la mia preferita. Il grazie è per il mio pubblico, per chi ha oggi ancora ha voglia di ascoltarmi. Immagino di fermare il tempo dopo un concerto, è uno stupore sempre vedere chi canta le mie canzoni e merita gratitudine. Poi da sola in albergo…gli dico ancora grazie.
Infine parlami del tour: si aggiungeranno altre date? E come integri Vesuvia con la tua storia?
Per ora sono le date annunciate ma spero in estate di farne altre. Vesuvia avrà una parte preponderante e il concerto sarà un flusso musicale quasi senza interruzione. Poi io la mania dei remix già dagli anni Novanta dove dimostri che un pezzo non è mai chiuso. Non siamo in un recinto, voglio essere libera di fare quello che voglio e questo è divertente soprattutto se canti lo stesso pezzo da anni.