Il cantautore torna all'Ariston dieci anni dopo avere vinto con L’essenziale. Nella serata delle cover canterà Let it Be dei Beatles insieme a The Kingdom Choir. L'INTERVISTA
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Marco Mengoni partecipa alla 73esima edizione del Festival di Sanremo (LA SCALETTA DELLA PRIMA SERATA) con il brano Due vite. La partecipazione arriva a 10 anni da L’essenziale. Il brano racconta molto di Marco in questo momento della sua vita, è un viaggio intimo ma anche un invito a tutti noi ad accettare tutto quello che la vita ci offre, senza pensare a cosa dovrebbe o potrebbe essere. Tutto quello che viviamo ci serve per crescere, anche i momenti di noia ci insegnano molto e ci fanno evolvere. In questo 2023 uscirà anche l’ultimo capitolo della trilogia musicale Materia. Inoltre riparte il tour #MARCONEGLISTADI che oltre alla data di San Siro dell'8 luglio lo porterà anche negli stadi di Bibione, Padova, Salerno, Bari, Bologna e Torino. Intanto, secondo Sisal, è il favorito.
Marco chi te lo ha fatto fare di tornare all’Ariston?
La verità è che me lo ha fatto fare Marco Mengoni, è lui che decide di mettersi in competizione con se stesso. Dopo dieci anni mettersi alla prova, considerato quello che c’è stato in mezzo, è una emozione. Poi un po’ hanno contribuito il mio team, Amadeus e la canzone stessa.
Che c’entra Due Vite?
Mi ha detto: so che mi state scrivendo per la terza parte del progetto Materia ma se vuoi portarmi su quel palco sono contenta. E’, questo Sanremo, un arcobaleno di colori differenti. Sono contento perché sono in gara con amici, con colleghi con cui ho collaborato, con persone con cui ogni tanto bevo un gin tonic e ci facciamo due chiacchiere.
Nella serata dei duetti hai scelto invece Let it Be.
Era già, a suo modo, presente in Materia (Terra) è istintivamente mi sono sentito di tirare fuori un pezzo che nessuno conosce, mi viene da dire che lo ho scritto io per questo Sanremo. Battute a parte, non è una canzone, è un inno, è qualcosa di grande e che mette insieme. Mi fa pensare a tante mani unite senza limiti né tempo, chiunque fa il musicista avrebbe voluto scriverla. Porta il messaggio universale dell’andare avanti e dello scrollarsi il ieri e riportarlo al domani. E’ un qualcosa di corale e dunque ho scelto il coro internazionale The Kingdom Choir. Abbiamo provato a metterlo nelle mie corde, è coerente con loro e col mio percorso.
Nel 2022 all’Ariston sei comunque stato come ospite: tutta un’altra storia, vero?
Quando finisce un tour e vai a vedere altri concerti ti viene voglia di risalire sul palco. Andare a Sanremo come ospite significa essere di passaggio nella serata e non protagonista di quella cosa lì. Ci ho pensato nel 2022 di venire in gara e mi sono anche detto che non accadrà mai e invece eccomi qui: mai dire mai nella vita. Dunque se c’è l’occasione perché no? Poi Sanremo lo sento lontano dalla competizione anche se formalmente lo è. Mi danno del primo della classe ma faccio finta di non sentire. Poi a fare bella figura ci tengo ma sento più l’atmosfera dove ognuno vuole fare bene il suo portando un pezzo di sé. Sono contento del Leoncino e della Palma di dieci anni fa. Stavolta pretendo da me di divertirmi.
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Di che parla Due Vite?
Di quello che sto facendo da anni, del mio percorso emotivo e psicologico. Poi c’è una piccola componente di ansia ma mi dico che lo ho già fatto, i dischi sono andati bene, ho fatto gli stadi, sono un fortunato e ora ci posso andare consapevole che il nuovo disco e gli stadi ci saranno comunque. E’ un anno propizio per me.
Per stare bene ti sei inventato Lido Mengoni.
Per vincere l’ansia devi trovare un luogo famigliare e noi abbiamo creato Lido Mengoni, uno spazio dove nasceranno jam session, gli strumenti saranno sempre pronti, troverete i tavoli per un caffè con gli amici, passeranno degli ospiti. Ogni mattina poi con Fabio De Luigi farò una chiacchierata di cinque minuti parlando di qualcosa che non so. Sarà un limone nel caffè, forse neanche un caffè.
Si parla già del disco nuovo.
Stiamo pre-producendo. C’è ancora una fase di scrittura su alcune cose. Sono felice di questo disco. Deve racchiudere un sacco di cose, siamo alla fine di una trilogia. Due Vite chiama il terzo capitolo e c’è anche già il sottotitolo. Che però non ti dico!
Due Vite dunque è un inizio?
E’ la mia storia infinita. Racconta un rapporto tra la ratio e l’inconscio. Sto dedicando molto tempo ai miei pensieri con un professionista nella stessa stanza ma dall’altra parte della poltrona. Il mio inconscio mi trasmette input più realistici della mia mente nel mondo fenomenico e nella vita quotidiana. Ho raccontato questa doppia vita: la notte, i sogni alternati a fotografie di quello che indosso e vivo ogni giorno. Sono peccatore, esistono gli schiaffi ma bisogna andare avanti, i momenti di down servono. Per me Due Vite è questo, gli altri è giusto che ci vedano quello che vogliono: il mio professore di Storia dell’Arte mi diceva di non leggere mai le didascalie dei quadri perché chi le ha scritte seguiva una sua suggestione; il messaggio è vedeteci quello che volete.
A un primo ascolto in effetti trasmette sensazioni particolari, è poetico.
All’apparenza è semplice, pieno di parole, quasi rappato. Invece è l’iperuranio dei miei sogni. Ha avuto tanti vestiti differenti ma questo è quello più giusto. E’ addolcito dagli archi e ci saranno anche nel disco. Tutto è costruito sul concetto di due. Dopo dieci anni doveva tornare l’essenzialità. Abbiamo ascoltato molto Lucio Dalla e ci siamo lasciati un po’ ispirare, lui era un genio noi abbiamo provato a ricordarlo.
Temi la noia?
E’ quel limbo dove sai che qualcosa si sta muovendo sotto, si parla con l’inconscio e viene fuori e lo ritrovi in un attimo di creatività. Si accende quella parte di cervello che ti fa vivere tante cose. Senza la noia non apprezzeresti altri momenti.
Dieci anni dopo cosa è per te oggi essenziale?
Divertirsi nel fare le cose. E pensare il giusto.