Bono ha parlato del disco fatto uscire nel 1997, definendolo il peggior passo falso della sua carriera. Come evidenzia il frontman della band irlandese, POP è stato un disco ambizioso ma incapace di prendere una strada precisa. L’album è rimasto a metà del guado, configurandosi come quello che il cantante definisce un “quasi”, un lavoro insipido da disconoscere in fretta
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Che gli U2 non abbiano mai amato POP era ormai chiaro a tutti. Scorrendo le scalette dei vari tour della band irlandese si fa fatica a ritrovare un brano dello sfortunato album del 1997. Qualche tempo fa The Edge aveva bollato quell’esperimento coraggioso su cui lui in primis aveva scommesso molto come “un compromesso”. Un’idea potenzialmente geniale che era naufragata di fronte alla necessità di trovare una quadra durante un momento difficile per la band, in cui forse le ambizioni erano davvero troppo grandi anche per un gruppo come gli U2. Il loro amico produttore Jimmy Iovine definì non a caso quel lavoro “la demo più costoso nella storia della musica”. Un parere probabilmente condiviso dal frontman della band Bono Vox che, nella sua biografia Surrender, ha bollato POP come un lavoro semplicemente “non è all’altezza del suo titolo”.
un album dedicato a andy warhol
Oggi su internet si trovano persone che paragonano il nono disco degli U2 (decimo se si include anche la sortita a nome The Passangers) con Lodger di David Bowie. Entrambi gli album chiusero un periodo molto fortunato per i loro autori ma vennero alla fine quasi fagocitati dal resto del repertorio. Eppure POP non era nato per essere un lavoro minore, anzi: c’era all’interno tutta la magniloquenza degli U2, decisi a operare la loro ennesima trasformazione artistica. Il titolo era una dichiarazione d’intenti già di per sé, come ha ricordato Bono evidenziando come POP fosse un omaggio a Andy Warhol: “Gli U2 intitolarono POP in suo onore. Ed essendo Andy sinonimo di Pop Art, arrivammo a chiamare PopMart il nostro tour - spiega Bono nella sua biografia -. Per riconoscere il ruolo del consumismo nella sua arte”. Anche musicalmente la strada scelta era quella di costruire brani più ritmati, quasi ballabili, che risentissero della passione soprattutto di Bono e The Edge per l’elettronica e la musica dance. Una svolta che aveva tuttavia contribuito a dividere la band, con il batterista Larry Mullen che (complice un intervento alla schiena) si ritrovò ad avere un ruolo marginale all’interno di questo cambiamento. In generale tutta quest’opera nacque in un clima di tensione, che coinvolgeva anche i produttori dell’album. Alla fine POP venne fuori molto meno spensierato di quanto era nelle intenzioni e, se davvero doveva rappresentare come scrive Bono “il nostro lato New Order”, lo si può tranquillamente considerare un buco nell’acqua. Alla fine venne fuori un disco molto più simile a quello dei “classici” U2, che inserivano suggestioni elettroniche senza sembrare crederci troppo: era appunto un compromesso tra le varie anime del gruppo e si sentiva. A contribuire all’insuccesso, nonostante l’ottima partenza in termini di vendite, fu poi la necessità di immettere sul mercato l’ultimo lavoro il prima possibile: gli U2 avevano infatti già organizzato e annunciato uno spettacolare tour che non poteva esistere slegato da POP.
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Cronaca di un insuccesso annunciato
Alla fine, pur non rappresentando un fiasco commerciale, POP divenne in fretta un episodio poco felice all’interno della discografia del gruppo irlandese. Lo sbandierato PopMart Tour finì per essere un pomposo tentativo di salvare un Titanic che gli stessi U2 volevano forse a quel punto vedere affondato. “Il PopMart potrebbe riscrivere il finale. Vero? Se sul palco ci dimostriamo all’altezza, possiamo cambiare le cose. E l’idea del tour è coraggiosa: rendere omaggio alla Pop Art”, ricorda oggi di aver pensato ai tempi Bono. Ma è difficile capire quanto ci credesse davvero. Quell’album non era semplicemente fatto per essere presentato in eventi di quella portata. Aveva finito per essere il contrario di quello che doveva essere nelle intenzioni: buio, spirituale, intimista e politico. Bono non aveva fiducia in nulla e i suoi testi non sembravano quelli di qualcuno pronto a fare festa. Il PopMart Tour registrò il tutto esaurito ma, come la prova discografica che lo aveva ispirato, non riscosse il successo che i freddi numeri suggerivano. Portò il gruppo in Sud America per la prima volta ed era ancora una volta uno spettacolo avveniristico, con i quattro che scendevano da un’astronave e un gigantesco limone che vegliava sul pubblico, ma sembrava mancargli un cuore: gli U2 forse l’avevano dimenticato nella fretta. Gianni Sibilla, che era presente al concerto di Reggio Emilia, scrive su Rockol: “Me lo ricordo come uno dei peggiori concerti che ho visto in vita mia: la band a un chilometro di distanza, grandi scenografie ma poca anima”. Tutto apparve alla fine raffazzonato anche agli stessi ideatori del progetto, che infatti fecero fatica anche a scegliere la versione migliore dei singoli da mandare alle radio. Presto canzoni come Gone, Discothèque e Staring At The Sun smisero di essere suonate dal vivo, tanto che ad oggi l’ultima apparizione di un pezzo di POP in un concerto risale addirittura a metà degli anni Zero. La verità è che POP non è neanche un disco così brutto da poter fare il giro e diventare un piacere proibito: è davvero solo un insipido e costoso demo buttato fuori troppo presto, un quadro venduto prima ancora che il pittore potesse metterci i colori. Oggi, quando ci ripensa, Bono Vox fotografa quell’esperimento come il più grande flop della carriera proprio perché non è né carne e né pesce: “È tutto un quasi. Non gliene frega a nessuno del quasi. Una volta finito – pur non essendo finito – POP non fu la festa che volevamo. Sono i postumi della sbronza dopo la festa”. E nessuno, neanche gli U2, vogliono ricordarsi di un hangover da cui è stato tanto complicato riprendersi.