Sanremo 2022, intervista a Le Vibrazioni: 18 domande su Tantissimo

Musica

Camilla Sernagiotto

Foto di Roberto Patella

Abbiamo chiesto a Francesco Sarcina e soci di raccontarci tutto quello che c’è da sapere sulla canzone che porteranno a Sanremo, sulla cover di Paul McCartney che suoneranno con Sophie and The Giants, sull'emozione all’idea di risalire sul palco dell’Ariston, sui Måneskin, su come la pandemia ha inciso sulla loro vita e arte e su tanto altro ancora. Ecco la chiacchierata con una delle band rock più amate delle sette note nostrane

Le Vibrazioni stanno per tornare per la quarta volta al Festival di Sanremo, in gara nella sezione Campioni con il brano “Tantissimo”.


Parliamo di una band che non ha certo bisogno di presentazioni, con vent’anni (suonati!) di rosea carriera, cinque album all'attivo e oltre 1 milione di dischi venduti.

Quindi bando alle presentazioni di sorta: in medias res, gli abbiamo chiesto di raccontarci tutto sul brano che ci faranno ascoltare sul palco dell’Ariston, sulla cover di Paul McCartney che suoneranno con Sophie and The Giants, sulle emozioni all’idea di risalire sul palco dell’Ariston, sui Måneskin, su come la pandemia ha inciso sulla loro vita e arte. E su tanto, tantissimo altro ancora.

Ecco cosa ci hanno raccontato Francesco Sarcina, Stefano Verderi, Marco Castellani (meglio conosciuto come Garrincha) e Alessandro Deidda.

Intervista a Le Vibrazioni: 18 domande su Tantissimo

Quale consiglio dareste a chi mette piede per la prima volta sul palco dell'Ariston?
Lasciarsi trasportare dalle emozioni. Quello è un palco carico di emozioni. L'anno scorso a teatro vuoto deve essere stato meno intenso, comunque vedere le telecamere e pensare che dall'altra parte ci sono milioni di spettatori non può non emozionare. Vedere un cantante emozionato dà maggiore umanità. A volte si vedono giovani troppo sicuri di sé ma siamo dell’idea che si dovrebbe portare rispetto per l'istituzione che è Sanremo. Essere un po' più emozionati non guasterebbe.

Essere considerati dei veterani del Festival vi trasmette un senso di rilassatezza oppure di maggiore responsabilità per le attese sempre più alte?
Eddai, veterani?! Se noi siamo veterani, Massimo Ranieri che cos’è, scusa? Effettivamente però noi siamo forse la band con più presenze al Festival. Un bel primato.

Veterani nel senso di habitué in quanto mostri sacri del rock nostrano! Così va meglio?
Mostri di sicuro (ridono). Sacri, chissà... Scherzi a parte, la responsabilità di cui parlavi la sentiamo davvero ma non soltanto sul palco dell’Ariston. Ci sentiamo investiti di una certa responsabilità ogni volta, nel senso che ci teniamo ad approcciarci in modo serio e professionale a questo lavoro. Anche per quanto riguarda il discorso tecnico. Ecco, l'unica ansia che resta sono i problemi tecnici, magari gli intoppi di regia. Comunque il consiglio che abbiamo dato ai giovani artisti, ossia quello di continuare a essere e a dimostrarsi emozionati su un palco, è lo stesso che diamo a noi stessi. Noi siamo sempre molto emozionati tutte le volte che possiamo suonare. Anche perché ci chiamiamo Le Vibrazioni, sarebbe un paradosso se non lo fossimo…

Progetti futuri?
Abbiamo in programma l'uscita di un EP, che arriverà ad aprile. In questi ultimi anni in cui c'è stato un enorme cambiamento in tutto e per tutto anche fare album ha subito non poche conseguenze. La pandemia ha cambiato tutto e tutti. Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di scrivere tante canzoni. Ogni canzone per noi è come un figlio. Dentro ogni brano ci mettiamo passione, anche parecchia sofferenza. Abbiamo tanta roba, speriamo quindi di fare più EP. Quello che uscirà ad aprile sarà in vinile, oltre ai formati liquidi. Optiamo per il vinile perché è fisico, analogico, un disco che suona davvero. Tra i progetti futuri più a stretto giro, c’è Sanremo: non vediamo l'ora di suonare sul palco dell’Ariston perché abbiamo davvero tanta voglia di suonare!

Come farete con Beppe Vessicchio positivo?
Purtroppo il Maestro è positivo. Fortunatamente sta bene, l’abbiamo appena sentito a telefono. Confidiamo e ci auguriamo che si negativizzi in questi giorni. Se dovesse rimanere positivo, ci sarà un sostituto. Navighiamo a vista. Dovrà fare il tampone, aspettiamo il tampone e vediamo cosa accade. Magari la farà in differita, chi lo sa…

Visti i vincitori della scorsa edizione, vi sentite investiti da una certa responsabilità dato che siete gli unici che fanno rock? Tantissimo è l’unico pezzo rock di questo Sanremo.
Se ne parla come di un fenomeno strano, quello di una band che ha vinto Sanremo facendo rock… Noi siamo fan dei Måneskin e siamo contentissimi per la loro vittoria. Hanno aperto una finestra, una strada di cui siamo felicissimi. Noi però andiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Anni fa siamo saliti su quel palco con Skin, una delle voci più celebri del rock internazionale. Adesso sembra che non ci sia mai stata una band rock a Sanremo! Scherzi a parte, noi questa responsabilità non ce la sentiamo e non ce la vogliamo neanche prendere. Non è che ci stiamo vestendo di qualcosa di diverso perché l’anno scorso hanno vinto i Måneskin. In Italia di solito succede questo: se funziona una cosa, la fanno tutti. Strano che non ci siano altre band emule dopo il loro successo...

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Cos’è che vi fa male oggi Tantissimo, per citare il vostro pezzo?
Riuscire a staccarsi dalle abitudini. A volte le abitudini ci fanno sentire nella cosiddetta comfort zone. Fa male uscirne ma bisogna farlo.

Il “palco vuoto” di cui cantate in Tantissimo è chiaramente una citazione della pandemia. Come vi ha cambiato tutto questo?
Uno scrive canzoni per comunicare qualcosa, scrive con il cuore e scrive di se stesso. Usiamo questa forma d’arte per salvarci, per aiutarci, per guarirci. Due anni chiusi in casa hanno lasciato il segno, hanno creato tante lacune. Tantissimo parla della pandemia in maniera velata ma racconta la sofferenza.

Come affrontate questa vostra sofferenza?

Siamo dell’idea che si debbano sempre prendere di petto debolezze e sofferenze. Mai far finta di niente: se si fa finta di niente, poi sofferenza e debolezze torneranno in maniera più pesante. La soluzione è sempre quella di accettarsi: il segreto è l’accettazione per come si è. Insomma, dietro a Tantissimo c’è un profilo psicologico, sembra quasi un trattato psicologico…

A Sanremo ci farete qualche sorpresa a livello scenografico, come vostro solito?
Sì, sorprese come l’interprete della lingua dei segni di qualche anno fa ci saranno. Allora, quando abbiamo fatto ascoltare la nostra canzone anche attraverso la lingua dei segni, era importante per noi fare arrivare a 360 gradi il brano. Farlo arrivare a tutti, anche a chi non sente. Mauro era la persona più adatta perché interpretava anche fisicamente il pezzo, si muoveva come se stesse cantando con le mani. L’avevamo trovato su YouTube e abbiamo subito deciso di contattarlo. Anche quest’anno ci saranno sorprese ma non ve le diremo. Altrimenti che sorprese sono? Comunque prima della nostra esibizione arriverà la comunicazione del messaggio che vogliamo far passare, tranquilli.

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Cosa ci dite di Sophie and the Giants?
Sophie and the Giants sono i nostri ospiti. Fanno parte della new generation, sono molto importanti per noi le voci della nuova generazione musicale. Dato che abbiamo scelto di fare una cover di Paul McCartney, Live and Let Die, volevamo coinvolgere una cantante inglese. Sophie Scott, la voce dei Sophie and the Giants, ci è sembrata perfetta. Lei è giovanissima, ha 20 anni. Abbiamo scherzato tanto, riso… Ci siamo divertiti un sacco. Noi vogliamo suonare e divertirci, facciamo musica per questo. Il divertimento è una parte essenziale.

Tantissimo parla di una ricerca di equilibrio. Come siete messi? L’avete trovato?
Più o meno. Il bello di una band affiatata è che, se anche qualcuno per un attimo dovessero perdere l’equilibrio, gli altri componenti lo aiuterebbero a ritrovarlo. Già il testo di Dedicato a Te parlava di equilibri. È un continuo cercare e sperare di trovare un equilibrio. La vita è come stare su una tavola da surf. Non è che se trovi un equilibrio poi sei a posto per sempre e basta: la vita è un continuo tentare di stare in equilibrio, un perenne capire come moderarsi e come trovare quel modo per surfare.

Tra le canzoni degli artisti in gara, qual è quella che vi incuriosisce di più?
Non abbiamo avuto modo di sentire nulla, tranne quella di Gianni Morandi (che ce l’ha cantata dal vivo quando l’abbiamo incrociato). Ci interessa molto Giovanni Truppi. Siamo curiosi, scrive molto bene ed è un ottimo musicista. Arriva da un contesto più indie, poco radiofonico. Anche La Rappresentante di Lista. Hanno già spaccato l'anno scorso. È un progetto interessante.

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Vi riconoscete sempre e solo nel rock?

La cosa bella è quando musicalmente puoi passare dalla ballad al pezzo rock. Un tempo avevamo tanto un’etichetta. Noi siamo sempre stati etichettati tantissimo, fin dagli albori. Siamo in una fase dove non ce ne frega niente dell’etichetta. Due anni fa abbiamo partecipato con un pezzo lento, una ballad super poetica. Anche quest’anno portiamo comunque una canzone molto intimista, ma quest’anno è rock.

Ma esattamente quanto rock c’è in Tantissimo?
Il rock è un’attitudine. Le più belle ballad della storia della musica sono state fatte da chitarristi rock. Quello che ci viene bene è la dedizione, buttarci un po’ in mezzo alla decadenza. Fare della sofferenza una virtù, trasformarla in un’opera. Questo brano è rock ma è ritmato e ballabile. Oggi abbiamo una veste un po’ più anni Ottanta, quindi è uscito un pezzo bello ritmato, ballabile. Comunque il nostro tipico sound è il trait d’union. Non starebbe neanche a noi dirlo, ma è un qualcosa di riconoscibile. “Vibrazioni Style”, insomma.

Perché avete scelto Live and Let Die di Paul McCarney come cover?
È un pezzo che fa parte della nostra infanzia e giovinezza. I nostri genitori l’ascoltavano, poi è stata rifatta dai Guns N' Roses. Comunque è stato Garrincha (bassista, al secolo Marco Castellani, ndr) ad aver avuto la lungimiranza di esclamare, mentre eravamo orientati su tantissime cover: “Live and Let Die”!

E come mai era proprio quella giusta?
Se vogliamo leggerla in una certa chiave, usiamo la chiave dell’attualità. Siamo in un’epoca in cui non possiamo più dire “vivi e lascia vivere”. E nemmeno “vivi e lascia morire”: c’è stata una strage che ci ha lasciati attoniti, a tutti noi sono morti vicini di casa, persone care. Magari “Live and Let Die” era anche un dissing per sfan***are i Beatles da parte di McCartney dopo lo scioglimento, ma per noi ha un senso profondo in questo periodo storico.

Anni fa i giovani evitavano Sanremo e i big non ci andavano per timore del giudizio. Poi cos’è successo? Come mai ora è così importante?
Sanremo è rimasta l’unica cosa importante a livello musicale in Italia, l’unico palco per suonare in diretta in prima serata. Un tempo c’erano diverse situazioni ed eventi in cui si poteva suonare dal vivo, come gli MTV Days che raccoglievano migliaia di persone. Era molto emozionante. C’erano tante cose live e televisive un tempo. Oggi c’è solo Sanremo. A noi piace suonare dal vivo e uno dei pregi di Sanremo è quello di portare la musica live, cosa che comporta tanti sbattimenti perché il live in diretta è molto difficile.

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