Fabrizio De André tra il Concerto Ritrovato e i 40 anni de "L'Indiano"

Musica

Il 21 luglio 1981 usciva uno degli album più intimisti del cantautore genovese, profondamente segnato dall'esperienza del rapimento in Sardegna negli ultimi mesi del 1979: contiene alcuni dei grandi capolavori del suo repertorio

Il 21 luglio 1981 usciva il dodicesimo album di Fabrizio De André, uno dei più intimi e personali della sua lunga discografia, tanto da portare semplicemente il suo nome e cognome: Fabrizio De André. Anche se nella memoria dei fan è ricordato come L'indiano, per il dipinto di Frederic Remington (The Outlier, la sentinella) che campeggia in copertina e per la curiosa e suggestiva dicotomia dei temi cantati e raccontati: la causa degli indiani d'America e i 118 giorni di prigionia in Sardegna insieme a sua moglie Dori Ghezzi, tra agosto e dicembre, rinchiusi in una villa fattoria a Tempio Pausania, che segnarono profondamente la vita della coppia e dello stesso De André. 

Due temi collegati, dal momento che De André ebbe un punto di vista sempre molto originale sul proprio rapimento: i suoi carcerieri l'avevano rapito non per soldi, ma per una specie di dimostrazione di valore, allo stesso modo dei guerrieri Cheyenne che rischiano la morte per rubare i cavalli di una tribù nemica. Ecco dunque il parallelismo che percorre l'intero album, che alterna tracce di ambientazione squisitamente sarda a storie di “pellerossa” che sembrano tratte da Soldato Blu, il western di Ralph Nelson che suggestionò molto De André e Massimo Bubola, insieme a tanti altri libri sull'argomento. La canzone in cui questi temi e queste atmosfere esplodono in un racconto di grande drammaticità è la celebre Fiume Sand Creek.

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Quello che non ho

 

Quello che non ho

è quel che non mi manca

 

Quello che non ho è la prima vera traccia dell'album e viene dopo La caccia al cinghiale, un documento sonoro senza musica, con urla e spari che introducono l'opening track del disco. De André canta in prima persona il rifiuto di ogni consumismo e ricchezza superflua, elencando una serie di beni materiali (l'orologio, un segreto in banca, la camicia bianca) di cui semplicemente non curarsi, preferendo concentrarsi sul rispetto, sull'amore verso se stessi, sugli equilibri naturali che ancora sopravvivono in culture come quella sarda. Un tempismo non comune, all'inizio del decennio più materialista del secolo. Lo spunto venne a Massimo Bubola dopo un colloquio con il priore dell'Eremo delle Carceri, vicino ad Assisi: “Nella vita bisogna guardare a quello che hai, mi disse, non a quello che ti manca. È la prima regola per essere felice. Appuntai la sua frase sul mio bloc-notes appena uscii dal convento”. 

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Fiume Sand Creek

 

Sognai talmente forte

che mi uscì il sangue dal naso

 

La canzone muove da un massacro realmente avvenuto, quello all'alba del 29 novembre 1864 quando le milizie statali del Colorado trucidarono un accampamento di circa seicento Cheyenne sulle sponde del fiume Sand Creek, a circa 250 km a sud-est dell'attuale Denver, a dispetto di numerosi trattati di pace firmati dai capi tribù locali con il governo statunitense. De André si prende qualche licenza poetica (“il generale di vent'anni” era in realtà lo spietato colonnello John Milton Chivington, comandante delle milizie) e compone un testo lirico e crudo, con passaggi memorabili come il punto di vista del bambino che non capisce cosa stia succedendo, rassicurato dal nonno (“chiesi a mio nonno è solo un sogno/mio nonno disse sì”), “il lampo in un orecchio, nell'altro il paradiso”. Alla fine tutto è silenzio e desolazione: sopravvissuto ma rimasto solo, il bambino scaglia tre frecce, una in cielo (“per farlo respirare”), una al vento (“per farlo sanguinare”) e la terza sul letto del fiume.

 

Italian singer-songwriter Fabrizio De Andrè performing his last concert at Teatro Brancaccio di Rome, Italy, 1998. (Photo by Luciano Viti/Getty Images)

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Hotel Supramonte

 

Perché domani sarà un giorno lungo senza parole

Perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole

 

È la traccia più intima e dolente dell'album, introdotta dalla voce di De André ancora prima che parta la musica, subito a fissare il luogo e il contesto dello spazio e dell'anima in cui si svolge la canzone: l'unica traccia d'ironia la si trova nel titolo, “Hotel Supramonte”, ovvero la prigione di due metri per uno e mezzo “in cui io e Dori siamo stati conservati per quattro mesi in maniera decente, addirittura brillante, perché non abbiamo sofferto molto la fame e la sete, abbiamo sofferto un po' il freddo. Sono due metri e mezzo per uno e mezzo quadrati e triangolari di bosco dalle parti della Gallura occidentale”.

Sostanzialmente a lieto fine, l'esperienza del rapimento ha comunque aperto delle ferite soprattutto nel rapporto tra due compagni di vita, l'uomo e la donna per cui una convivenza forzata così estrema non poteva trascorrere inosservata. Canzone aspra, di contrasti, il sole e le nuvole, il riso e il pianto, il viaggio e il treno da perdere, scuse e accuse, una lettera vera di notte e falsa di giorno... Ma è fondamentalmente una canzone d'amore, a lieto fine anch'essa, la presa di coscienza che la parte più solida e resistente della coppia è sempre stata Dori.  

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Se ti tagliassero a pezzetti

 

Se ti tagliassero a pezzetti

il vento li raccoglierebbe

il regno dei ragni cucirebbe la pelle

 

È la canzone in cui De André, durante i live, si divertiva a cambiare il testo: da “signorina fantasia” a “signorina anarchia”. Così Se ti tagliassero a pezzetti, nelle sembianze di una delicata canzone d'amore, diventa anche un canto politico. L'uomo è libertà e fantasia, ogni tentativo di distoglierlo da questa strada maestra è destinato a fallire: così, anche se ti tagliassero a pezzetti, il vento, i ragni, la luna e il polline di Dio ricomporrebbero quel bellissimo mosaico. Il passaggio più controverso riguarda “l'assassino” alla stazione che compare nell'ultima strofa, riferimento (troppo?) evidente alla strage di Bologna dell'estate 1980, oppure – in senso lato – un messaggero di qualcosa che deve morire. Ma tanto non ce la farà: il vento, la luna, il regno dei ragni rimetteranno a posto le cose.

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Pochi mesi prima di quell'esperienza così traumatica, il 3 gennaio 1979, De André si era esibito in un celebre concerto con la Premiata Forneria Marconi alla Fiera di Genova. Questo concerto è stato restaurato e riportato alla luce in un documentario da Walter Veltroni e andrà in onda la sera di mercoledì 20 luglio su Raitre. Conterrà tutti i grandi successi di De André (da La canzone di Marinella a La guerra di Piero) e anche numerosi filmati amatoriali, restaurati e digitalizzati, girati all'epoca dal videomaker Pino Frattari, che ebbe anche il merito di salvare le videocassette dal macero a cui erano state destinate.

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