Sanremo, da Vasco Rossi a Lucio Dalla le censure più famose della storia del Festival

Musica

Giuseppe Pastore

Da Loredana Bertè a Enzo Jannacci, da Domenico Modugno a Vasco Rossi, da Lucio Dalla a Giorgio Faletti, nei primi quarant'anni di Sanremo i testi di grandi cantanti ma anche di interpreti insospettabili sono stati passati al vaglio di severe commissioni selezionatrici. Con episodi anche surreali...

Lo stress e la serietà – quasi sempre ridicole – che circondano da sempre l'affascinante carrozzone festivaliero hanno spesso trovato sfogo in piccole e grandi storie di censura, verso artisti a lungo banditi (da Umberto Bindi in giù) ma anche verso alcune canzoni, o addirittura verso singoli versi di esse. Anche in questo secolo, le polemiche non sono mancate (basti pensare a Luca era gay, la discutibile canzone di Povia che nel 2009 raccontava la storia di un ragazzo omosessuale che “diventava” etero...), ma la Commissione Selezionatrice di Sanremo ha dato il meglio (o il peggio di sé) nei primi quarant'anni di Festival.

1959. Il primo scandalo sanremese in ordine cronologico riguarda Tua: non tanto per la canzone in sé, dal testo piuttosto innocuo (anche se i versi “tua sulla bocca tua/dolcemente mia” diventarono “tua ogni istante tua/dolcemente tua”), ma per l'interpretazione molto audace della milanese Jula De Palma, al secolo Iolanda Maria Palma, che lasciava intendere un rapporto fisico tra un uomo e una donna. Nelle settimane successive alla sua esibizione, la poverina ricevette migliaia di lettere di insulti e fu persino vittima di un'aggressione in strada. Il disco fu censurato e, a causa anche delle pressioni del Vaticano, fu imposto il divieto di radiotrasmissione: ma come spesso succede, questo aumentò il successo di Jula De Palma, che peraltro parteciperà tranquillamente alle edizioni 1960 e 1961 senza destare scandalo alcuno.

 

1964. Non è censura, ma un episodio significativo dei tempi quello che accadde per Tu piangi per niente, che in base al regolamento dell'epoca veniva eseguita da due artisti diversi, Richard Moser e Lilly Bonato. Nella versione al maschile, Moser cantava: “"..a che serve questa luna / se poi piangi e non mi baci / non far la stupida, non far la stupida / io voglio bene a te…". Versi che, nella versione al femminile, diventavano: "..ma non vedi questa luna / perdoniamoci coi baci / sarò una stupida, sarò una stupida / ma voglio bene a te": insomma, in entrambi i casi, la stupida piagnucolosa era sempre la donna...

 

1971. Donna Felicità dei Nuovi Angeli, scritta da Roberto Vecchioni, non supera nemmeno il “taglio” della severissima Commissione Selezionatrice, inquietata da un paio di passaggi: “scommettiamo che lo so/a chi darà la rosa” e ancor più l'esplicita coppia di versi “la divertiremo noi/col gioco delle noci intorno al fuoco”. Poco male: la canzone sarà uno dei grandi successi del 1971, arrivando seconda al Festivalbar e vendendo oltre un milione e mezzo di copie in tutto il mondo.

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1971: Viene invece ammessa in gara 4/3/1943, scritta da Lucio Dalla insieme a Paola Pallottino, storia di una ragazza madre che ha un figlio da un soldato alleato, rimasto ucciso in guerra di lì a poco. Ma la scure della censura cala almeno tre volte, a cominciare dal titolo che da Gesubambino cambia nella data di nascita del cantautore bolognese, per continuare con “giocava alla Madonna/con il bimbo da fasciare” che diventano “giocava a far la donna”, per concludersi con i celebri versi finali: “e ancora adesso che bestemmio e bevo vino/per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino” , trasformati nei meno “scandalosi” “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino/per la gente del porto sono Gesù Bambino”.

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1972. Nicola di Bari non è certo passato alla storia come un poeta maledetto, eppure fu lui a scandalizzare le giurie con le parole de I giorni dell'arcobaleno, che parlava della scoperta del sesso da parte di una ragazzina di tredici anni (nel testo gli anni diventano sedici). Il micidiale distico "giacesti bambina / ti alzasti già donna" fu modificato in “tu eri bambina”, salvando quantomeno le apparenze (la canzone comunque vincerà il Festival). Molto diversa – ma ancora più esilarante – la grana che colpì un monumento di Domenico Modugno, accusato nientemeno che di “istigazione all'assenteismo” per i versi di apertura di Un calcio alla città: "da anni sono qui, incatenato a questa scrivania / Ogni giorno / sempre li ...ma perché? Ma per chi?".

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1973. Un anno prima del grande successo di Un corpo e un'anima, Wess e Dori Ghezzi ottennero un buon riscontro di vendite con Tu nella mia vita, canzone francamente inoffensiva che però a qualche censore della commissione suscitò pensieri pruriginosi a causa del titolo contenente un fantomatico doppio senso. Come si suol dire, la malizia è nell'occhio di chi guarda (e nell'orecchio di chi ascolta).

 

1979. Una delle edizioni più sfortunate della storia del Festival passa suo malgrado alla storia per la demenziale e stralunata A me mi piace vivere alla grande di Franco Fanigliulo, la cui versione originale contiene addirittura i versi "foglie di cocaina, voglio sentirmi male" del tutto inaccettabili per la morale dell'epoca (ma forse anche di quella attuale), prontamente trasformati in "bagni di candeggina, voglio sentirmi uguale", che aggiungevano un'ulteriore dimensione nonsense a un testo che era già nonsense di suo. Graziati invece i versi "adesso che anche Gesù ha un clan di menestrelli / che parte dai blue jeans e arriva a Zeffirelli", che alludevano a una famosa marca di jeans che si chiamava proprio come Nostro Signore.

1980. A Sanremo arriva il primo riferimento all'eroina. Succede quasi per sbaglio (?), nella canzone Voglio l'erba voglio del brianzolo Francesco Magni, il cui testo originale con accenti alla Rino Gaetano recita: "chi si tira una pera solamente il dì di festa". La censura ovviamente dice di no, e Magni acconsente a modificare il verso in “chi fa il gallo solamente il dì di festa” (mah). Durante la serata finale, però, forse per dimenticanza o per spirito iconoclasta, canta il verso censurato, andando incontro a severe strigliate nel dietro le quinte.

1982 L'esordio a Sanremo di Vasco Rossi, con la memorabile Vado al massimo, non poteva non contenere un piccolo guaio con la censura. Il testo originale dice: "vado in Messico, voglio andare a vedere se come dice il droghiere, laggiù masticano tutti foglie intere", parole che non hanno bisogno di interpretazioni. Il signor Rossi viene caldamente invitato a modificare il verso in “laggiù vanno tutti a gonfie vele”, ma troverà ugualmente il modo di épater le bourgeois sul palco del Festival.

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1994. In pieni anni Novanta, all'alba della Seconda Repubblica, doppio caso di scuola nell'era Baudo. All'accorata e teatrale canzone di Giorgio Faletti che parla di stragi mafiose e del duro lavoro del carabiniere, Pippo consiglia di togliere la parola iniziale, peraltro abbondantemente ripetuta nel testo, quel “minchia signor tenente” che ne farà uno dei pezzi più efficaci della storia del Festival.

1994. A un mese dalle elezioni Politiche che vedranno trionfare Silvio Berlusconi, Enzo Jannacci e Paolo Rossi presentano un pezzo delizioso e sgangherato in bilico sulle allusioni, con un titolo (I soliti accordi) che si riferisce contemporaneamente alla banalità della musica sanremese e alla spartizione del potere politico post-Tangentopoli. Tutto bene, tutto ok, se non fosse per questo passaggio del testo: "in fondo alla strada / ci son tre ladroni / sembravano onesti sembravano buoni / eran solo furboni. Il primo gridava / Forza Italia!". Il periodo non consiglia di sbilanciarsi così tanto: così in diretta Jannacci si inventerà delle spassose variazioni sul tema, urlando una volta “Forza Thailandia!” e un'altra ancora addirittura “viva Baudo!”.

1996. Il comico napoletano Federico Salvatore tenta l'operazione Faletti, presentandosi con Sulla porta, un brano serio e drammatico (anche troppo) sul tema dell'omosessualità. Ma a tutto c'è un limite, per il bacchettonismo di chi sceglie i brani da ammettere e da scartare: quindi dai versi "Sono un diverso, mamma, un omosessuale" viene espunta quella parola impronunciabile in prima serata su Rai1, e diventano "Sono un diverso, mamma, e questo ti fa male" .

1997. Chiudiamo in bellezza con uno dei pezzi più dolorosi e sofferti degli ultimi decenni sanremesi, Luna di Loredana Berté, apice di un momento personale difficilissimo per la cantante calabrese, coinciso con la morte della sorella Mia Martini. Del tutto comprensibile, perciò, quel “vaffa” rivolto in apertura al noto satellite terrestre. Troppo scandaloso, però: ignote le motivazioni artistiche che portarono a trasformare il verso in “occhiali neri, Luna”.

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