50 anni fa i Rolling Stones a Milano: iniziano gli “anni di piombo” della musica italiana

Musica

Giuseppe Pastore

Il 1° ottobre 1970 l'esibizione della rock band di Mick Jagger fu segnata da gravi incidenti scoppiati all'esterno del Palalido: cominciava un'epoca buia per gli spettacoli dal vivo nel nostro Paese

In una notte di inizio autunno, il 1° ottobre 1970, a Milano arrivarono i Rolling Stones. Venivano da Roma, dove avevano suonato la sera prima al PalaEur, con l'abituale contorno di turbolenze: Mick Jagger si era preso una denuncia per lesioni per aver preso a calci il celebre paparazzo Umberto Pizzi e avergli distrutto la macchina fotografica alla fine della conferenza stampa. Soprattutto, venivano da mesi molto difficili, soprattutto a causa della morte di Brian Jones (trovato senza vita sul fondo della sua piscina il 3 luglio 1969) e del tragico festival organizzato nel dicembre precedente all'autodromo di Altamont, California, segnato da gravissimi incidenti e dall'uccisione sotto il palco del diciottenne Meredith Hunter, accoltellato dalla sicurezza dopo aver appena estratto una pistola, mentre gli Stones stavano eseguendo Under My Thumb.

A portarli in Italia era stato il sagace impresario Leo Wachter, già noto per aver fatto lo stesso con i Beatles, con il Circo di Mosca e persino - dicevano le cronache – con una gigantesca balena impagliata esibita in chissà quali fiere di provincia, da mostrare ai bambini “memori di Pinocchio e mastro Geppetto”. Come succedeva spesso all'epoca, gli Stones misero in calendario due concerti nello stesso giorno dalla durata di un'ora circa e dall'identica scaletta di quattordici pezzi, da Jumpin' Jack Flash a Street Fighting Man: uno alle 16 e uno alle 21:15, al Palalido, con quattro-cinquemila presenti per ognuno di essi e un clima di generale delirio, con alcuni spettatori – come scrisse il Corriere - “abbarbicati anche ai tubolari di sostegno del tetto ad arcata” dell'impianto. Su Youtube è possibile guardare l'incredibile video a colori di quell'esibizione.

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Scorrendo nel dettaglio la lista di quei quattordici brani si possono trovare chicche niente male. Per esempio l'assenza di grandi classici come Gimme Shelter o You can't always get what you want e la presenza di Brown Sugar, prima traccia dell'album Sticky Fingers che sarebbe uscito solo nel 1971, ma che gli Stones già eseguivano dal vivo da qualche mese: un'usanza non troppo sorprendente ai tempi, quando la maggior parte dei gruppi rock dava in pasto al pubblico pezzi inediti non ancora registrati in studio. O la versione acustica di Prodigal Song, voce di Jagger e chitarra “dobro” di Keith Richards. O ancora il look dei presenti: il batterista Charlie Watts e il sassofonista Bobby Keys suonarono con addosso la maglia rossonera del Milan, mentre Mick Jagger – descritto minuziosamente dalla stampa specializzata – indossava “pantaloni neri e camicia viola con maniche a sbuffo senape e nero e un cinturone enorme e poi una sciarpa lunghissima da incespicare come i boa che un tempo portavano le donne, e non basta, il collo è chiuso da un'altra collana: al polso destro un braccialetto fatto di qualcosa di luccicante acceca quelli delle prime file”. All'interno del palazzetto un'atmosfera bollente non solo in senso atmosferico, ulteriormente riscaldata dagli Stones che, sebbene indicati in declino da molti critici, sapevano ancora toccare le corde giuste per un'esibizione live. Nulla in confronto, tuttavia, con ciò che accadde all'esterno.

The Rolling Stones taken in the 1960s, from left to right, Brian Jones, Keith Richards, Mick Jagger, Bill Wyman and Charlie Watts.;  (Photo by King Collection/Photoshot/Getty Images)

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Già da qualche mese si stava diffondendo la spiacevole moda di reclamare ingressi gratuiti ai concerti, specialmente quelli il cui tutto esaurito era dichiarato da settimane, al grido de “la musica non è in vendita”. Un ragionamento politico persino nobile nelle intenzioni, ma portato avanti da siglette anarchiche e cani sciolti che si risolvevano puntualmente in scontri, incidenti, caos all'esterno degli impianti. La notte del Palalido non fece eccezione: le forze dell'ordine si scontrarono con gli aspiranti “portoghesi”, armati di intenzioni bellicose e in numero quasi simile a quelli che erano legittimamente entrati dopo aver pagato il biglietto. Polizia e carabinieri affrontarono circa tre-quattromila persone con idranti e lacrimogeni. Alcune sassaiole mandarono in frantumi parte delle vetrate del Palalido e i finestrini delle auto in sosta; alcuni chioschi di bibite vennero saccheggiati e le lattine furono usate come arma da lancio. La guerriglia durò oltre due ore, dalle 21 alle 23:30: campo di battaglia l'area attorno al palazzetto, piazzale Lotto, viale Elia, piazza Stuparich. A un certo punto un candelotto fumogeno sfondò la finestra dell'appartamento al primo piano in via Vigliani del console australiano Giustino Berrel, riempiendogli la casa di gas e costringendolo a uscire in strada con la moglie e le due figlie.

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Un primo bilancio stilato dopo mezzanotte parlò di 63 fermati e cinque arresti, tra i 17 e i 20 anni, di cui i giornali dell'indomani riportarono scrupolosamente nome, cognome e persino il domicilio, commentando i fatti con toni assai reazionari che trasmettevano la strisciante tensione sociale di quell'epoca: “I buoni milanesi sono sconcertati e irritati. Alle stazioni della metropolitana di piazza Duomo e piazza Cordusio, tradizionali luoghi di ritrovo degli hippies ambrosiani, un muro di facce scure scruta i capelloni”, si lesse su un famoso quotidiano torinese. “Una signora, anziana e ben vestita, legge ad alta voce il giornale con i misfatti della serata e commenta con sdegnati giudizi. Dai capelloni qualcuno lancia sberleffi e parole di insofferenza. La signora afferra la borsa e la molla in testa al più vicino. Accorre gente, li separano”. Iniziava nel peggiore dei modi un decennio molto cupo e controverso per gli spettacoli dal vivo, i veri “anni di piombo” della musica italiana: nel luglio 1971, sempre a Milano ma al Velodromo Vigorelli, un concerto dei Led Zeppelin sarebbe stato interrotto da scontri ancora più violenti. Intuita la mala parata, nonostante la cospicua assicurazione stipulata con i Lloyd's londinesi li tenesse al riparo da ogni salasso economico, i Rolling Stones – nome accanto al quale i quotidiani non mancavano mai di aggiungere la traduzione, “pietre rotolanti” - evitarono di mettere piede in Italia per oltre un decennio: ci sarebbero tornati soltanto l'11 luglio 1982, in un concerto storico allo Stadio Comunale di Torino all'interno di un pomeriggio altrettanto storico per il nostro Paese, che poche ore dopo sarebbe diventato campione del mondo di calcio per la terza volta – motivo per cui Jagger indossò sul palco la maglietta azzurra della Nazionale. Ma questa è decisamente un'altra storia.

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