Dogman: la recensione del film di Matteo Garrone con Marcello Fonte

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Paolo Nizza

In concorso a Cannes 2018, dove ha conquistato critica e pubblico, arriva il 17 maggio al cinema il film di Matteo Garrone liberamente ispirato alla vicenda del Canaro. Un'opera livida e plumbea straordinariamente interpretata da Marcello Fonte (premitato con la Palma d'Oro) affiancato da uno spaventosamente bravo Edoardo Pesce. Leggi la recensione e guarda il trailer e le clip di Dogman

Dogman non è un film sul Canaro

Era il 16 febbraio del 1988 quando Pietro De Negri, detto il Canaro della Magliana, seviziò e uccise brutalmente l'ex pugile dilettante Giancarlo Ricci, dopo averlo rinchiuso in una gabbia per cani. Ma come già accaduto per l'Imbalsamatore (vagamente ispirato al "Nano" di Termini), a Matteo Garrone non interessa fotocopiare la realtà, assecondare l'interesse morboso (e molto diffuso) verso la cronaca più nera, gli omicidi più efferati.
Al regista di Gomorra e del Racconto dei Racconti preme trasfigurare una vicenda reale estrema in un viaggio al termine della notte. Dogman è una indimenticabile rappresentazione della bestialità umana, superbamente fotografata dal danese Nicolaj Bruel. Ma è anche il ritratto di un uomo semplice e antico, che pare venire da un mondo ormai scomparso, da un'Italia che ormai non esiste più. Girato a Castelvolturno (location già sfruttata da Garrone in passato) Dogman è la cartina di tornasole di un microcosmo immerso nella microcriminalità.  Un luogo fatto di trattorie alla buona, di Compro Oro, di sale da biliardo, di partite di calcetto. In questo claustrofobico squarcio di periferia vive e lavora Marcello (Marcello Pesce), toelettatore per cani che divide le sue giornate fra l'amore per la figlia e il rapporto di sudditanza con Simoncino (Edoardo Pesce), ex pugile violento che terrorizza l'intero quartiere. Dopo l'ennesima prepotenza, Marcello sceglie di vendicarsi di Simoncino. Ma il suo desiderio di rivalsa avrà esiti inaspettati.

Marcello Fonte ed Edoardo Pesce: mostri di bravura

Cane Sciolto. Cane pazzo. Cane Rabbioso. Edoardo Pesce (il Ruggero Buffoni di Romanzo Criminale-La serie) mette davvero paura. Con le sue tute adidas, con quella faccia martoriata dai pugni, Simoncino strappa con i denti la plastica delle palline di cocaina e aspira la droga dalle dita. Un gigante tossico e malevolo. Un Carnefice fuorilegge e fuori controllo. La sua vittima preferita è Marcello (uno straordinario Marcello Fonte giustamente premiato con la Palma d'Oro a Cannes come miglior attore). Fisico minuto, sguardo, dolce, il toelettatore che ripete come un mantra la parola amore mentre pettina un barboncino bianco durante il dog carpet show o lava e asciuga un feroce molosso. Divorziato, Marcello vive per sua figlia Alida. Insieme si immergono nelle acque locali, sognando mari lontani: le Maldive, Le Hawaii, al limite il Mar Rosso. Forse solo immerso nell'abisso marino, Marcello sembra trovare la felicità. Il quartiere è una giungla, dove certo è ben voluto, ma è un luogo dove solo il crimine paga. E la sola estasi possibile è una notte trascorsa in locale di lap dance con angeli in perizoma e autoreggenti bianche mentre la bianca scorre nelle fosse nasali. Sia Fonte, sia Pesce sono straordinari nel trasportare sullo schermo questo ambigua relazione fra tormentatore e tormentato. Completano il cast Adamo Dionisi nella parte di Franco, il proprietario del Compro Oro e Francesco Acquaroli, il gestore della sala giochi.

Con Dogman Matteo Garrone firma un capolavoro

Sigmund Freud diceva, "I cani amano i loro amici e mordono i nemici, a differenza delle persone incapaci di amore puro e bisognose di mescolare odio e amore." Così nel mostrarci cuccioli dalle razze e dalle taglie più svariate, il film di Matteo Garrone si interroga sul perpetuo conflitto tra bene e male. Ma lo fa senza moralismi, con immagini che ti azzannano alla gola e ti costringono a guardarti dentro. Come se la storia di un uomo umiliato che sogna di riscattare sé stesso e il mondo che ci circonda fosse anche un po' quella di ognuno di noi. Solo che tra maschere di sangue, corse in moto, madonne sul giubbotto, serrande chiuse, si rischia l'asfissia. E neanche il fuoco può purificare la colpa. Si resta immobili con il respiro affannoso. Chiusi in gabbia anche se si è seduti in un parco giochi. Perché a questo gioco nessuno vince mai. E nessuno è mai veramente libero.

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