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Mila, la recensione: la via greca all'alienazione, in stile Lanthimos

Cinema

Giuseppe Pastore

Il film di Christos Kitou, allievo del regista di "The Lobster", inaugura la sezione Orizzonti: un'opera grave e pessimista, ma con un velo di sarcasmo inconfondibile

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Vittima di una pandemia di amnesia fulminante, un uomo si rivolge a un programma speciale affinché gli procurino una nuova vita, nuovi ricordi, nuove memorie... 

La nouvelle vague greca che fa capo al prodigioso Yorgos Lanthimos miete nuovi talenti: il 35enne Christos Nikou, che era stato suo assistente alla regia nel superbo Dogtooth (2009) uscito nei cinema italiani proprio nei giorni scorsi, inaugura la sezione Orizzonti con questo Mila ("mele") che risente per forza di cose delle influenze dell'autore di The Favourite e The Lobster, obbligato termine di confronto per via dell'atmosfera rarefatta e velatamente sarcastica (del resto i greci sono maestri di satira) e della voluta catatonia del personaggio principale: lì Colin Farrell, qui Aris Servetalis.

 

In un contesto narrativo in cui la strana malattia non è minimamente spiegata, alla maniera di un Saramago in Cecità, il protagonista non si fa troppi problemi a procurarsi una nuova identità, per nulla smosso o preoccupato dall'etica spregiudicata del programma ospedaliero cui decide di aderire. Il tono è grave, programmaticamente pessimista, ripreso e arredato con gusto rétro (dal formato 4:3 al mangiacassette da cui provengono le istruzioni per la terapia) ma illuminato da squarci di ironia e dalla viva curiosità dello spettatore verso l'agnizione finale, alimentata molto bene dalla trama che semina due o tre indizi assai ben nascosti. Gli appassionati di questi fantasy del quotidiano, ambientati in una realtà plausibile eppure evidentemente lontana, si divertiranno a tenere il conto delle citazioni: Mila non è un film che risplende per originalità, ma il cinismo, l'alienazione e la smemoratezza di cui è pervaso lo rendono una pellicola perfettamente contemporanea.

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