Father Mother Sister Brother, la recensione: il film di Jim Jarmusch premiato a Venezia
CinemaLa pellicola che ha vinto il Leone d'oro come miglior film segna il ritorno del regista con un’opera poetica e radicale che intreccia silenzi, memorie e misteri familiari. In tre episodi ambientati tra New Jersey, Dublino e Parigi, Adam Driver, Charlotte Rampling, Cate Blanchett, Vicky Krieps, Indya Moore e Luka Sabbat incarnano padri, madri, fratelli e sorelle sospesi tra orologi falsi, skater al rallentatore, brindisi impossibili e un tempo che scorre senza mai lasciarsi decifrare. Dal 18 dicembre al cinema
Father Mother Sister Brother, la recensione: Jim Jarmusch vince il Leone d’Oro con un film di silenzi e ferite familiari
Vincitore del Leone d’Oro alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Father Mother Sister Brother segna il ritorno di Jim Jarmusch a un cinema radicalmente sommesso e insieme spietato. Il film arriva nelle sale italiane dal 18 dicembre e si impone come una delle opere più rigorose e disarmanti dell’anno: un trittico familiare che attraversa silenzi, omissioni, rituali sbagliati e un tempo che non consola.
Diviso in tre episodi ambientati tra New Jersey, Dublino e Parigi, il film riunisce Adam Driver, Tom Waits, Charlotte Rampling, Cate Blanchett, Vicky Krieps, Indya Moore e Luka Sabbat per raccontare padri, madri, fratelli e sorelle legati da una prossimità che non coincide mai con l’intimità. È un cinema che non spiega, non giudica, non risolve. E proprio per questo resta addosso.
Un brindisi sbagliato
Si può fare un brindisi con l’acqua? Con il tè? Con il caffè?
Father Mother Sister Brother si apre con una domanda che non cerca risposta. È il gesto inaugurale di un film che lavora per sottrazione e che trasforma il silenzio in una forma di linguaggio. Quelle bevande “sbagliate” non sono eccentricità, ma segnali: qualcosa, nelle relazioni, non funziona più come dovrebbe.
Forse quell’acqua che scorre sullo schermo è innocua, forse è contaminata. Di certo non disseta. Jarmusch costruisce un cinema in cui tutto scorre – panta rei – ma in modo inceppato, circolare, quasi ossessivo. Come i legami familiari, che mutano forma ma non si dissolvono mai.
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Episodio I – Father
Nel New Jersey, Adam Driver e Mayim Bialik fanno visita a un padre interpretato da Tom Waits, presenza magnetica e indecifrabile. È un uomo che vive ai margini, forse povero, forse no, sicuramente in un’altra dimensione temporale.
La casa diventa un palcoscenico di omissioni: il padre non chiarisce, i figli non chiedono davvero. Il tempo si ripete come un rito stanco. Qui Jarmusch torna a dialogare con Coffee and Cigarettes, ma l’ironia si è fatta più amara. Il silenzio non è più un gioco, è una difesa. E dietro quella difesa si intravede una frattura che nessuno ha il coraggio di nominare.
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Episodio II – Mother
Dublino. Una madre e due figlie che vivono nella stessa città ma si incontrano una volta all’anno. Charlotte Rampling è una madre che ha scelto la distanza come forma di sopravvivenza. Accanto a lei, due figlie inconciliabili: Cate Blanchett, dimessa, fragile, trattenuta; Vicky Krieps, instabile, seducente, bugiarda per necessità.
La cena si trasforma in un teatro dell’assurdo domestico. Le frasi si ripetono, le battute mancano il bersaglio, il tempo sembra non avanzare mai. Qui Jarmusch mette in scena una verità scomoda: a volte la famiglia non è un rifugio, ma una geometria di limiti autoimposti. Nessuno è innocente, nessuno è colpevole. Tutti evitano qualcosa.
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Episodio III – Sister Brother
Parigi. Due gemelli orfani tornano nell’appartamento dei genitori morti in un incidente mai del tutto spiegato. Indya Moore e Luka Sabbat incarnano un lutto che non si è trasformato in memoria, ma resta un’eco fisica.
Lui tenta di anestetizzare il dolore con rituali contemporanei, microdosi, ripetizioni. Lei sembra avvertire nel proprio corpo ciò che attraversa il fratello. Qui la famiglia diventa quasi telepatia: un legame che precede le parole e allo stesso tempo le rende inutili. È l’episodio più fragile e più perturbante del film, quello in cui l’assenza diventa presenza costante.
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Il tempo come inganno
Un Rolex falso attraversa tutti e tre gli episodi come un oggetto-totem. Non importa se sia autentico o taroccato: ciò che conta è la sua funzione simbolica. In Father Mother Sister Brother il tempo non misura, non ordina, non guarisce. Inganna.
Come gli skater che scorrono al rallentatore o i brindisi celebrati con bevande inadatte, il film racconta un mondo in cui le convenzioni esistono ancora, ma hanno perso significato. Il quotidiano si rivela più enigmatico del fantastico. Jarmusch osserva questa deriva senza alzare la voce, ma con una precisione implacabile.
Un film sul presente, senza nominarlo
Pur evitando qualsiasi riferimento esplicito all’attualità, Father Mother Sister Brother è un film profondamente contemporaneo. Racconta un’epoca in cui parlare è diventato rischioso e tacere una forma di autodifesa. I personaggi non mentono apertamente: scelgono di non chiarire.
È in questo spazio opaco che il film trova la sua forza. Non offre soluzioni, non indica vie d’uscita. Lascia allo spettatore il compito – scomodo – di riconoscersi nelle pause, nelle frasi mancate, nelle relazioni sospese.
La musica e il mistero
La colonna sonora accompagna il film come un controcanto discreto. Spooky sui titoli di testa non rassicura: suggerisce fin dall’inizio un’atmosfera ambigua, ironica e leggermente inquieta. È una musica che non spiega, ma insinua. Nel cinema di Jarmusch la musica è sempre una seconda narrazione, e qui diventa una forma di ascolto silenzioso, in dialogo con i vuoti e le pause dei personaggi.
Se fosse un cocktail
Se Father Mother Sister Brother fosse un cocktail, sarebbe un Gin Tonic annacquato da una pioggia improvvisa: limpido, minimale, ma con un retrogusto che non scompare. Un brindisi sbagliato, come quelli che attraversano il film. E proprio per questo necessario.