Jim Jarmusch a Venezia 82, il poeta del cinema indipendente da Dead Man a Paterson

Jim Jarmusch non fa cinema: disegna pause, scolpisce silenzi, accarezza ombre. È un autore che ha sempre camminato ai margini dell’industria, fedele a un’estetica essenziale, ironica e malinconica. Nato a Cuyahoga Falls, Ohio, nel 1953, Jarmusch ha trasformato l’indipendenza in una poetica: non solo libertà produttiva, ma soprattutto sguardo capace di scoprire grandezza nel dettaglio minimo. “Il mio cinema è anti-azione”, ha dichiarato a Venezia presentando Father Mother Sister Brother. Non è un vezzo, ma una dichiarazione di poetica: nei suoi film la tensione non nasce dall’inseguimento o dalla violenza, ma dall’attesa, dal non detto, dalla possibilità che anche un caffè, una sigaretta o un orologio tarocco diventino eventi cosmici. Le origini di un poeta outsider Dopo gli studi alla Columbia University e una formazione irregolare che lo porta a frequentare il No Wave newyorkese, Jarmusch esordisce con Permanent Vacation , ma è con Stranger Than Paradise che rivoluziona l’indipendente americano, vincendo la Caméra d’Or a Cannes. Da allora, ogni suo film è una variazione sul tema dell’estraneità: personaggi ai margini, viaggiatori spaesati, anime erranti che attraversano luoghi senza mai appartenergli davvero. La sua carriera è una costellazione di titoli che hanno segnato l’immaginario: Down by Law , Mystery Train , Dead Man , Ghost Dog , Broken Flowers , Only Lovers Left Alive , Paterson . Ogni film è una ballata che unisce rigore formale e improvvisazione jazzistica, con attori che spesso diventano co-autori del testo. Il metodo Jarmusch “Quando scrivo, i personaggi parlano nella mia testa. Io trascrivo”, ha raccontato a Venezia. È un metodo quasi medianico: gli attori, da Bill Murray a Tilda Swinton, da Cate Blanchett a Adam Driver, diventano voci di un universo che Jarmusch non dirige, ma ascolta. Non ci sono protagonisti o antagonisti: “Nei suoi film non ci sono eroi, ma persone”, ha osservato Indya Moore. È questo il segreto della sua poetica: rifiutare i binari narrativi per costruire un cinema fatto di persone, gesti, atmosfere. Charlotte Rampling lo ha definito un “sogno condiviso”, Cate Blanchett ha parlato di “flusso di coscienza”. Jarmusch non dirige, orchestra. Non scrive, compone. Il tempo che non passa Dagli orologi tarocchi di Father Mother Sister Brother agli skater al rallentatore, il tempo nel suo cinema non scorre mai in modo lineare. È circolare, capriccioso, talvolta immobile. Nei suoi film l’attimo diventa eterno: il poeta di Paterson che osserva il fiume, i vampiri di Only Lovers Left Alive che sfidano i secoli, il killer filosofico di Ghost Dog. Ogni personaggio è sospeso, in attesa di qualcosa che non arriverà mai. Un regista-musico La musica è parte integrante della sua opera. Prima ancora che regista, Jarmusch è stato musicista: dai Del-Byzanteens a Sqürl. Nei suoi film, la colonna sonora non accompagna ma commenta: Tom Waits in Down by Law, Iggy Pop in Dead Man, la psichedelia di Jozef van Wissem in Only Lovers Left Alive. Il documentario Gimme Danger sugli Stooges è il manifesto del suo amore per la musica come forma di resistenza. La politica dell’indipendenza Alla Mostra di Venezia 82, Jarmusch ha anche affrontato la questione politica del suo rapporto con MUBI e Israele. Con onestà ha ammesso la contraddizione: “Tutti i soldi che otteniamo sono in qualche modo sporchi”. Non un cinico disincanto, ma la consapevolezza di chi ha sempre cercato di restare libero, indipendente, lontano dalle logiche delle major. L’indipendenza per Jarmusch è sempre stata una postura etica, prima ancora che estetica. Il cinema come resistenza poetica Dal bianco e nero minimale di Stranger Than Paradise alle notti allucinate di Night on Earth, dal western metafisico di Dead Man al minimalismo lirico di Paterson, Jarmusch ha costruito un cinema capace di attraversare i generi senza mai appartenergli davvero. La sua è una poetica del quotidiano e dell’assurdo, dove il banale diventa epico e l’epico diventa fragile. Non stupisce che Cate Blanchett lo abbia definito “un autore che sfugge alle etichette”. La sua forza è proprio questa: trasformare ogni film in una meditazione sul tempo, sull’identità, sul mistero della vita. In concorso a Venezia: "Father Mother Sister Brother" Con "Father Mother Sister Brother", Jarmusch porta a Venezia 82 un’opera che riassume e rilancia tutta la sua carriera. Tre episodi, tre città, tre genealogie. Una commedia malinconica che torna a interrogare la famiglia come enigma, sospesa tra ironia e dolore. Girata in tre settimane, scritta di getto, è forse la sua opera più spontanea e insieme più costruita. In ogni capitolo si ripete un motivo ricorrente: un orologio falso, un brindisi impossibile, un silenzio assordante. Sono dettagli che diventano simboli, piccole cose che si accumulano “come fiori disposti con cura”, per dirla con lo stesso Jarmusch. Il poeta dei margini Jim Jarmusch resta il poeta dei margini, il regista che ha trasformato l’America periferica in un paesaggio metafisico. Ogni suo film è un diario di viaggio nell’invisibile, una mappa del silenzio. Nel suo cinema non troviamo mai soluzioni, ma domande. E forse è proprio questo che lo rende eterno: la capacità di restituire al cinema la sua natura più autentica, quella di enigma condiviso. A Venezia, con Father Mother Sister Brother, ci ricorda ancora una volta che “mutando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia”: la famiglia resta mistero, il tempo resta indecifrabile, il cinema resta la più fragile e potente delle arti.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Jim Jarmusch a Venezia 82, il poeta del cinema indipendente da Dead Man a Paterson

Paolo Nizza