Woody Allen, il genio inquieto del cinema compie 90 anni

Cinema
Massimo  Vallorani

Massimo Vallorani

Novant’anni e un’eredità che attraversa cinema, letteratura e filosofia: Woody Allen resta un autore capace di trasformare la nevrosi in arte, la commedia in riflessione esistenziale. Dal jazz alle luci di Manhattan, il suo sguardo ironico e malinconico continua a interrogare il senso della vita

Woody Allen compie 90 anni e il suo cinema continua a risuonare come un dialogo infinito con il senso della vita. In un’epoca che corre verso immagini veloci e pensieri semplificati, lui resta il cantore dell’incertezza, l’autore che ha trasformato la nevrosi in arte e la commedia in filosofia. Dai primi film comici, ricchi di gag fisiche e situazioni paradossali tipiche della tradizione slapstick – quella comicità esagerata fatta di cadute, colpi di scena e imprevisti che ha reso celebri Chaplin e Keaton – fino alla sofisticata malinconia di Manhattan, il suo stile ha saputo intrecciare registri opposti, passando dalla leggerezza alla riflessione con naturalezza.

Il linguaggio: ironia come strumento di verità

Il tratto distintivo della sua opera è la parola: dialoghi serrati, battute fulminanti, monologhi che oscillano tra il comico e il tragico. Nei suoi film la lingua non è mai neutra, ma diventa specchio di una mente che interroga il senso dell’amore, della morte, di Dio. I personaggi parlano più che agire: il vero conflitto è interiore e si consuma nella dialettica tra desiderio e paura, in uno stile capace di fondere Bergman e Chaplin, Kierkegaard e Groucho Marx, in un alfabeto che appartiene solo a lui.

Il romanticismo tragico: amare nel dubbio

Allen ha insegnato che l’amore è una forma di pessimismo: solo chi teme il disastro può davvero riconoscere la meraviglia. In Io e Annie lo dice chiarissimo: “Ci innamoriamo perché abbiamo bisogno delle uova, anche se sappiamo che non esistono”. È il manifesto del suo romanticismo tragico: desiderare ciò che non dura, con una sincerità che nessun ottimista potrebbe mai permettersi. Per lui l’amore è un campo minato, un esperimento sociale, un’illusione necessaria e dolorosamente temporanea. Ha raccontato l’amore come una malattia psicosomatica: ti fa sudare, balbettare, contraddirti. Ma ti tiene vivo. Ha trasformato l’inadeguatezza in grammatica condivisa, mostrando che ci innamoriamo davvero solo quando capiamo che potremmo non farcela.

Il rapporto con Hollywood e il rifugio europeo

Il regista ha sempre vissuto un rapporto complesso con Hollywood. Da una parte il successo di film come Io e Annie, dall’altra il desiderio di sfuggire alle regole ferree dell’industria, tenendo il controllo quasi totale sulle proprie opere. Con il tempo, mentre gli studios si chiudevano sempre più su franchise e blockbuster, ha scelto la strada dell’indipendenza: budget ridotti, tempi di lavorazione rapidi, un metodo che ricorda l’epoca d’oro degli autori europei. Non è un caso che, quando l’America ha iniziato a voltargli le spalle, sia stata l’Europa – Parigi, Barcellona, Londra – ad accoglierlo, diventando scenario e coprotagonista di film come Vicky Cristina Barcelona e Midnight in Paris

Un’eredità che resiste alle ombre

Oggi, tra polemiche e revisionismi, il nome di Woody Allen continua a dividere. Ma il suo cinema, al di là delle cronache, resta un patrimonio di intelligenza e ironia, capace di dialogare con la tradizione e anticipare le inquietudini contemporanee. In un mondo che corre verso l’immagine rapida e il pensiero semplificato, Allen ci ricorda che ridere è un atto filosofico, e che la nevrosi, se raccontata con grazia, può diventare poesia.

Tra le luci di Manhattan e i nostri dubbi

Ogni volta che rivediamo Manhattan e ascoltiamo le prime note di Gershwin, ci sorprende l’idea che il cinema possa ancora essere un rifugio, un luogo dove la bellezza resiste al caos. Allen non offre risposte, ma regala domande che ci accompagnano fuori dalla sala, mentre la città – qualunque sia la nostra Manhattan – continua a pulsare. Forse è questo il motivo per cui, nonostante tutto, i suoi film restano: perché parlano di noi, delle nostre paure e dei nostri desideri, con una sincerità che oggi sembra quasi rivoluzionaria.

Un dialogo che continua

Novant’anni dopo, il cineasta è ancora lì, con il suo clarinetto e le sue domande senza risposta. Non ha mai smesso di interrogarsi, e forse è questo il segreto: continuare a cercare, anche quando le risposte sfuggono. La sua opera non è un monumento immobile, ma un organismo vivo che ci parla ancora, perché le ossessioni – l’amore, la morte, il caso – sono le nostre. Guardando oggi i suoi film, dalle luci di Manhattan alle nostalgie di Midnight in Paris, ci accorgiamo che non sono solo storie: sono specchi, frammenti di noi stessi, capaci di restituirci la bellezza e il caos della vita. Come disse una volta: “Non so quale sia la domanda, ma la risposta è: vivere”. Una frase che racchiude il cuore del suo cinema: ironico, fragile, profondamente umano. Perché, in fondo, il dialogo con Woody Allen non si chiude mai: continua ogni volta che ci sediamo davanti a uno schermo e ci lasciamo attraversare dalle sue domande.

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