La ricetta del successo de Le città di pianura

Dopo quasi due mesi di programmazione “Le città di pianura” di Francesco Sossai non solo è ancora al cinema, ma rimane anche tra le prime posizioni del box office italiano . Ma perché questo film ha ottenuto così tanta risonanza e, soprattutto, è stato in grado di raccogliere un pubblico ampio, pronto a vederlo, a consigliarlo e, in alcuni casi, addirittura a rivederlo? Partiamo dai dati: quasi 200 mila persone sono andate a vedere “Le città di pianura” da quando, il 25 settembre scorso, è arrivato in sala. Come aveva già fatto in passato con film come “Vermiglio” di Maura Delpero, poi scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar, Lucky Red ha deciso di distribuire “Le città di pianura” a scaglioni. Allargando di volta in volta il numero delle sale. E questo per un motivo semplicissimo: mantenere la media per copia, cioè gli incassi per ogni proiezione, alta. O comunque per non scendere al di sotto di una determinata soglia. Indubbiamente, seguendo questa impostazione, diverse città sono state lasciate scoperte. Allo stesso tempo, però, gli incassi più o meno costanti hanno permesso di avere una base solida da cui partire per poter allargare gradualmente il numero di copie. Il ruolo del passaparola L’altro elemento determinante nel successo de “Le città di pianura” è stato il passaparola. E questo non si può innescare se, di fondo, non c’è un buon film. Alle persone che hanno visto l’opera di Sossai è piaciuta la storia, sono piaciuti gli attori ed è piaciuta, più in generale, l’atmosfera che avvolge il racconto: questi due uomini e questo ragazzo che si ritrovano insieme quasi per caso e che decidono di passare diversi giorni in giro per il Veneto con l’obiettivo di bere l’ultimo bicchiere prima di andare a dormire; queste strade enormi, asfaltate, che non sembrano portare a niente; e poi le ville, le case, le carcasse di cantieri, i monumenti e le tombe. Ne “Le città di pianura”, sostanzialmente, non sembra succedere niente. I personaggi passano il loro tempo parlando, confrontandosi e ricordando. Non ci sono un punto A da cui fuggire o un punto B da raggiungere. Si va sempre avanti e ci si adatta – a volte maldestramente – alle varie situazioni. Giulio, il personaggio di Filippo Scotti, si apre quando entra in contatto con Doriano e Carlobianchi, i personaggi di Pierpaolo Capovilla e Sergio Romano. E lo fa naturalmente, senza nessuna forzatura, senza nessuna finta ricercatezza. Allo stesso tempo, Doriano e Carlobianchi vengono influenzati dalla serietà di questo studente di architettura e finiscono – volenti o nolenti – per riflettere su loro stessi e su quello che, nella vita, hanno fatto. Ma non ci sono mai dei testacoda narrativi che ribaltano completamente il piano del racconto o che, all’estremo opposto, portano a una rottura del rapporto tra i protagonisti. È un crescendo, “Le città di pianura”: cattura esattamente uno spaccato particolare della vita di ogni giorno e lo celebra mostrandolo nella sua essenzialità. Un po’ come hanno fatto altri film che, in questi anni, sono stati apprezzati sia dal pubblico che dalla critica. Film apparentemente sospesi, ma in realtà capaci di cogliere la complessità di ciò che proviamo. Tre personaggi straordinari nella loro ironia e nella loro unicità Insomma, il successo de “Le città di pianura” è un insieme di molteplici elementi, che non andrebbero né banalizzati né presi in considerazione singolarmente. Proprio perché è la loro somma, ciò che diventano, a contare e a fare la differenza. “Le città di pianura” è solo l’ultimo esempio di una lista relativamente breve di opere italiane, girate da giovani o giovanissimi registi, che riflettono sulla contemporaneità senza però cacciarsi nei vicoli ciechi delle sentenze precoci e inappellabili. Con il suo film, Sossai finisce per raccontare sé stesso, il mondo che conosce e per offrire al pubblico tre personaggi straordinari nella loro ironia e nella loro unicità. E in qualche modo “Le città di pianura” ricorda un altro cinema: quello della commedia all’italiana, figlio del neorealismo; un cinema pieno di antieroi, di personaggi imperfetti, storti e per questo motivo bellissimi. Sossai fa parte di una generazione di autori che non si limitano a guardare al passato, ma che guardano anche al contemporaneo e quindi ai film che escono all’estero, che vengono prodotti e sviluppati in altri mercati. Prendono questa sensibilità e la traducono efficacemente in qualcosa di nuovo. E le loro storie, alla fine, possono beneficiarne. “Le città di pianura” e il successo che ha ottenuto lo dimostrano.

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La ricetta del successo de Le città di pianura

Gianmaria Tammaro