A House of Dynamite, la spiegazione del finale che ha deluso alcuni spettatori

Cinema

Una minaccia nucleare incombe sugli Stati Uniti e sull'umanità intera. La regista due volte premio Oscar condensa in un dramma sociale e umano il caos del potere su cui regge la nostra civiltà

L’atteso ritorno di Kathryn Bigelow non ha deluso le aspettative, presentato all’82a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, A House of Dynamite (FOTO) è il titolo più visto degli ultimi giorni sulla piattaforma Netflix, che ne ha curato produzione e distribuzione. Una cosa però ha lasciato alcuni spettatori una perplessità: il finale. L’ultima immagine non mostra la devastazione del missile nucleare sul Michigan, ma il silenzio, la quiete, lasciando – come spesso accade con un finale aperto– che sia la mente dello spettatore a trarre le proprie conclusioni. Quali conseguenze avrà l’impatto sugli Stati Uniti e sulla storia successiva dell’umanità? Perché i sistemi avanzatissimi di una potenza mondiale non hanno funzionato? Il missile sarà veramente esistito?

L’impatto non avviene nel film

Il film non offre spiegazioni. È una scelta voluta dalla stessa Bigelow: "Era importante mantenere quell’ambiguità. Invitiamo il pubblico nella stanza, lasciando che decida". Una provocazione radicale: la regista non mostra l’impatto, lascia che l’ansia viva nello spettatore. L’impatto più grande non avviene sullo schermo, ma nella consapevolezza di chi guarda il film.

 

A House of Dynamite non è solo un film, ma un invito alla discussione. Bigelow lo ha detto chiaramente: "Dobbiamo essere più informati. È questo il messaggio che ho voluto trasmettere: avviare conversazioni sul nucleare e sulla non proliferazione delle armi". Il cinema, qui, non salva il mondo: lo mette davanti al suo specchio più crudele, ricordandoci che abitiamo davvero in una casa piena di dinamite, come dice il Presidente USA interpretato da Idris Elba. Così il film diventa pretesto per raccontare il fragile equilibrio che caratterizza la politica moderna, ma anche il progresso tecnologico.

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Il Pentagono contro la narrazione fornita dalla pellicola

Una nota interna del governo statunitense, rivelata da Bloomberg, critica A House of Dynamite per presentare una versione della difesa missilistica americana molto diversa dai dati reali, sostenendo che la tecnologia attuale ha avuto “successo al 100% nei test” mentre nel film il sistema fallisce l’intercettazione del missile. Kathryn Bigelow e lo sceneggiatore Noah Oppenheim hanno risposto sottolineando di aver consultato esperti ed ex funzionari del Pentagono per garantire un ritratto il più possibile realistico, ribadendo che l’opera è pensata non per sottolineare la fallacia dei sistemi di difesa USA ma per stimolare riflessioni sul rischio nucleare e aprire un dibattito pubblico sulle armi e sulla non proliferazione.

I tre atti da 18 minuti ciascuno

Il primo punto di vista è quello di Rebecca Ferguson, che interpreta Olivia Walker, comandante nella situation room che vive quei 18 minuti con l’angoscia di riuscire a recuperare il cellulare per avvisare il compagno di mettere in salvo il figlio malato a casa.

 

Il segretario della Difesa, interpretato da Jared Harris, è diviso tra dovere istituzionale e tragedia personale, dal momento che la figlia vive a Chicago, città dove è previsto l’impatto del missile. Una responsabilità che lo travolge, professionale e paterna, spingendolo a compiere il gesto estremo di gettarsi dal tetto del palazzo poco prima di salire sull’elicottero che lo porterà al sicuro.

 

Infine, il Presidente vive quei 18 minuti assalito dalle difficoltà delle scelte che il suo ruolo impone. Rispondere o no? In difficoltà anche nella comunicazione con la moglie, impegnata in un viaggio in Africa, non scopriamo se il Presidente autorizza o meno il contrattacco.

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"L’antagonista è il sistema"

Non è una nazione il vero nemico, non sono gruppi terroristici, né un leader politico mondiale ad aver ordinato l’attacco. Per tutta la durata del film non viene svelato chi sia il vero antagonista e anche in caso di contrattacco andrebbe applicato nei confronti di tutti, dal momento che non si può incolpare nessuno.

 

La scelta di non rivelare il nemico è centrale per reggere il finale: anche nel silenzio assordante e nell’“immobilità” del mondo, non si riesce ad attribuire la colpa a nessuno se non all’umanità intera. "Viviamo in una casa piena di dinamite", dice il Presidente, citando il podcast che dà il nome al film, a bordo dell’elicottero dell’US Air Force. Una metafora potente che denuncia la pericolosità della proliferazione delle armi nucleari. "L’antagonista è il sistema che abbiamo costruito per porre fine al mondo in un colpo solo", ha dichiarato la regista, mentre il tempo, segnalato dal cronometro tre volte durante il film, scorre inesorabile.

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