Una battaglia dopo l'altra: l’action-thriller con un Leo DiCaprio da Oscar. La recensione

Cinema
Gabriele  Acerbo

Gabriele Acerbo

Photo Credit: Photo Courtesy Warner Bros. Pictures

Paul Thomas Anderson firma un kolossal viscerale con Una battaglia dopo l'altra, thriller che intreccia action, satira politica e dramma familiare. DiCaprio è straordinario nel ruolo di Bob Ferguson, ex rivoluzionario in lotta per salvare la figlia. Cast eccezionale con Sean Penn, Benicio del Toro e Teyana Taylor. Regia visionaria e sequenza finale mozzafiato per un'esperienza intensa e indimenticabile

Non delude mai Paul Thomas Anderson. Il regista di Magnolia, Il petroliere e Il filo nascosto torna con Una battaglia dopo l'altra (One Battle After Another), in uscita il 25 settembre, e firma il suo primo action-movie, che molti già definiscono monumentale: un racconto viscerale, urgente, che fonde generi differenti e li trasforma in un'esperienza cinematografica potente.
Ispirata liberamente al romanzo Vineland di Thomas Pynchon, il film di Anderson esplora le ferite mai rimarginate di un'America divisa. Leonardo DiCaprio interpreta Bob Ferguson, ex-rivoluzionario di una banda armata, intrappolato in un presente fatto di rimpianti e dipendenze da alcol e droghe. Al centro della narrazione c'è il legame con Willa (Chase Infiniti, sorprendente al debutto), la figlia sedicenne nata dalla relazione con un’altra componente della banda, Perfidia (Teyana Taylor). Il catalizzatore dell'azione è l'irruzione violenta del passato, incarnato dal colonnello Steven Lockjaw (Sean Penn, magnetico e inquietante), che riporta Bob nel vortice di una guerra mai davvero finita. Ma questo non è il racconto di un eroe che torna: è la disperata ricerca di redenzione di un uomo che ha visto fallire se stesso e la propria generazione.

 

 

Padre e Figlia
La relazione tra Bob e Willa è il cuore pulsante del film. Non si tratta solo di affetto, ma di eredità, di ideali trasmessi e traditi, di un legame che resiste alla follia del mondo. Willa non è una semplice "figlia da salvare": è una giovane donna autonoma, lucida, capace di sfidare il padre e il sistema. La sua presenza dà al film una dimensione ulteriore, un respiro generazionale che lo rende ancora più attuale. Quando Willa sparisce, braccata dai militari guidati dallo spaventoso Lockjaw, è come se Bob risorgesse da un letargo lungo quindici anni: cerca di contattare la rete di ex-rivoluzionari ancora esistente per ritrovare Willa e salvarla da morte sicura.

 

Un thriller paranoico negli Usa di Trump
Anderson affronta temi roventi nell’America divisa di Trump— autoritarismo fascista, suprematismo bianco, disgregazione sociale, controllo sociale e sorveglianza — e li immerge in un thriller paranoico fatto di sequenze d'azione realistiche e prive di spettacolarizzazione gratuita. Ogni scontro ha un peso narrativo, ogni gesto è carico di tensione. Il ritmo è serrato, ma non frenetico: la regia dosa con intelligenza i momenti di esplosione e quelli di silenzio, creando un equilibrio raro per un film di 164 minuti che non perde mai di tensione. Non mancano i momenti di humour, mai fuori luogo ma pienamente controllati grazie a una regia solida e un cast perfetto.

 

Approfondimento

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Regia visionaria
La regia di Anderson è precisa, visionaria, mai compiaciuta. Il regista californiano dimostra ancora una volta la sua capacità di orchestrare narrazioni complesse senza perdere mai il controllo del racconto. La macchina da presa si muove con rigore, alternando piani sequenza mozzafiato a inquadrature claustrofobiche che riflettono lo stato mentale dei personaggi. La fotografia di Michael Bauman esalta le riprese in VistaVision che restituiscono una texture granulosa e autentica, lontana dal digitale patinato. La colonna sonora di Jonny Greenwood accompagna il racconto con dissonanze inquietanti e momenti di struggente bellezza.

Di Caprio e Penn da Oscar
DiCaprio offre una delle sue interpretazioni più intense. Il suo Bob Ferguson è un uomo spezzato, ma ancora capace di amare con ferocia. È tragico, comico, epico. Ogni sguardo, ogni silenzio, ogni smorfia racconta una storia. Il volto è una mappa di cicatrici emotive, e la sua presenza domina la scena con naturalezza. Sean Penn, dal canto suo, costruisce un antagonista complesso, evitando la caricatura e regalando una performance disturbante. Il suo colonnello Lockjaw incarna il potere corrotto, la violenza istituzionalizzata, il razzismo ambiguo ma anche una forma di carisma oscuro che lo rende inquietante e credibile.
Il cast corale è straordinario. Benicio del Toro, nei panni del messicano Sensei, offre una prova magnetica e sfuggente, incarnando la saggezza disillusa di chi ha visto troppo. Teyana Taylor, nel ruolo di Perfidia, l'ex compagna di Bob e madre di Willa, porta sullo schermo una femminilità combattiva e vulnerabile, creando un personaggio indimenticabile. Chase Infiniti è una rivelazione. La sua Willa ha forza, intelligenza, vulnerabilità. Il suo rapporto con Bob è fatto di scontri, complicità, silenzi. È lei a dare al film il suo respiro più profondo, a incarnare la speranza e la rabbia di una generazione che non ha vissuto le rivoluzioni, ma ne porta le ferite.

 

 

Approfondimento

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Trenta minuti finali al cardiopalma
E poi c'è la scena dell'inseguimento finale.
Una sequenza che dura oltre trenta minuti e che rappresenta il culmine emotivo e visivo del film. Anderson la costruisce come un crescendo di tensione, alternando momenti di silenzio claustrofobico a esplosioni improvvise. Le strade della California meridionale diventano un labirinto ostile, quasi metafisico, dove ogni curva e ogni dosso possono nascondere una minaccia. Bob non corre solo per salvare Willa: corre per chiudere i conti con il passato, per affrontare i suoi fantasmi, per ritrovare un senso.
La regia è magistrale: il montaggio è serrato ma mai confuso, il sonoro è usato con intelligenza chirurgica. Greenwood accompagna la fuga con una partitura pulsante, dissonante, che amplifica la tensione senza mai sovrastarla. Non c'è catarsi, non c'è risoluzione netta. C'è solo il movimento, la lotta, la resistenza. E in questo, la scena diventa simbolo perfetto del film stesso: una battaglia dopo l'altra, senza tregua, senza garanzie di vittoria.

Il film dell’anno

Una battaglia dopo l'altra è un film complesso, sfuggente, che alterna toni drammatici e grotteschi con sorprendente naturalezza. Non è un film che cerca consensi facili: è un’opera che sfida, provoca e lascia il segno. Probabilmente negli Usa spezzati della presidenza Trump creerà qualche discussione accesa

Anderson costruisce un'opera audace, che conferma il suo status di maestro contemporaneo e si candida a dominare la stagione dei premi.
Non è solo un film da vedere. Non è solo il film dell’anno.
È un film da cui lasciarsi travolgere.

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