Dangerous Animals, la recensione dell’horror in mare aperto tra squali e serial killer
CinemaDal 20 agosto, con Midnight Factory e Blue Swan Entertainment, Dangerous Animals trascina lo spettatore nelle acque della Gold Coast australiana dove il confine tra bellezza e terrore si dissolve. Sean Byrne firma un survival-horror teso e viscerale, in cui una surfista ribelle e il sadico capitano di un peschereccio si affrontano mentre squali reali sfiorano la chiglia. Un’estate di puro brivido, tra onde, sangue e segreti sommersi
Il fascino crudele dell’oceano
C’è sempre stato qualcosa di ipnotico nei predatori marini: il taglio chirurgico delle pinne, lo sguardo antico come un segreto preistorico, la danza silenziosa sotto la superficie. Ma Dangerous Animals, terzo lungometraggio di Sean Byrne, ci ricorda che il mostro più pericoloso, in mare come a terra, non ha branchie né pinne: cammina su due gambe e ha il sorriso di chi sa tendere una trappola. Byrne affonda le mani – e gli artigli – in un survival-horror che alterna il terrore fisico alla sottile crudeltà della caccia psicologica, trasformando il mare in un’arena rituale, un luogo dove la bellezza è solo il preludio all’orrore.
Prigionia e caccia in mare aperto
Zephyr (Hassie Harrison) è una surfista nomade, con il sale sulla pelle e un camper come guscio di libertà e fuga rapida. Una notte, dopo un incontro sfiorato con l’amore, viene rapita da Tucker (Jai Courtney), capitano di un peschereccio arrugginito che offre ai turisti il brivido di tuffarsi tra i grandi predatori della Gold Coast. Sulle sue assi intrise di sangue e tra cabine che odorano di ferro e salsedine, inizia una partita a due dove, sotto la chiglia, nuotano squali veri e, sopra, si muove un predatore molto più calcolatore. Courtney scolpisce un cattivo memorabile: smorfie grottesche, occhi spalancati, una fisicità da barracuda pronto a colpire la preda. Byrne evita di trasformare gli squali in mostri digitali, riprendendoli con materiale reale e montandoli con precisione chirurgica: sono minaccia e grazia insieme, figure di un mare che osserva e aspetta.
Approfondimento
Dangerous Animals: clip esclusiva dello shark-horror di Sean Byrne
Il mare come prigione e redenzione
La sceneggiatura di Nick Lepard si concentra sul potere e sulle dinamiche tra vittima e carnefice. Zephyr, inizialmente chiusa e sfuggente, trasforma la paura in arma, e la prigionia in viaggio verso una liberazione che è anche interiore. Una sequenza iniziale durissima stabilisce la posta in gioco con crudezza, più spietata di quanto si sia visto persino in Lo squalo, ma Byrne dosa il sadismo, evitando la deriva torture-porn. Girato nelle acque invernali della Gold Coast, il film profuma di salsedine e benzina: la fotografia di Shelley Farthing-Dawe alterna blu profondi a controluce taglienti, mentre la colonna sonora di Michael Yezerski entra solo quando la marea emotiva lo impone. Non è un film che cerca introspezioni complesse, ma riesce a farci tifare per i protagonisti, sperando che il mako affamato arrivi sempre un secondo troppo tardi. Dangerous Animals è un “midnight movie” illuminato da un sole crudele, capace di farci guardare all’acqua con sospetto per molto, molto tempo. Perché, come ci avverte Byrne, il problema non è quello che nuota sotto: è quello che ti osserva dall’alto.