Gran Paradiso Film Festival 2025, l’inaugurazione tra cinema, arte, musica, e natura
Cinema
Si è aperta il 28 luglio la 28ª edizione del Gran Paradiso Film Festival, diretta da Luisa Vuillermoz e dedicata al tema “Le forme dell’intelligenza”. Fra arte, natura e pensiero condiviso, la giornata inaugurale ha dato avvio a un percorso che troverà nel 2 agosto una tappa simbolica: la cerimonia di premiazione, con la partecipazione speciale di Stefano Accorsi e la proclamazione dei film vincitori da parte delle due giurie, quella tecnica e quella del pubblico
Nel cuore del Gran Paradiso: visioni, leonesse e intelligenze alla giornata inaugurale
Cogne ti accoglie come fanno certi sogni: senza preavviso e con la forza gentile dell’incanto. La 28ª edizione del Gran Paradiso Film Festival si è aperta con questo respiro largo, in una giornata – il 28 luglio – che sembrava fatta per ricordarci che pensare è un gesto naturale, e che la natura stessa è un atto di pensiero.
L’inaugurazione, alla Maison de la Grivola, è stata un piccolo evento cosmico: sul palco, la Direttrice Artistica Luisa Vuillermoz – volitiva, empatica, perfetta maestra di cerimonia – dialogava con SIBILLA, un’intelligenza artificiale generativa. In quel duetto, tra umano e sintetico, tra presenza e algoritmo, si è aperto il tema del festival: “Le forme dell’intelligenza”.
Durante la cerimonia di apertura sono intervenuti sul palco Marco Durbano, Presidente del Parco Nazionale Gran Paradiso, Renzo Testolin, Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta, Renzo Vallera, Sindaco di Cogne, e Mirena Vaudois in rappresentanza della Fondation Grand Paradis. Parole diverse, ma unite da un intento comune: custodire la bellezza, alimentarla con cultura, e restituirla al futuro.
A rendere ancora più vivo l’inizio di questa edizione, l’esibizione del gruppo folkloristico e corale “Lou Tintamaro Enfants”, che dal 1957 tramanda canti, balli e tradizioni del paese ai piedi del Gran Paradiso. Le loro voci e i loro costumi hanno cucito un ponte tra la memoria e l’immaginazione, trasformando l’apertura del Festival in un rito collettivo, fatto di radici e di canto.
La pietra che racconta: Donato Savin e la mostra diffusa
Momento centrale della serata inaugurale è stato anche il vernissage della mostra diffusa La vita attorno a me di Donato Savin, scultore capace di trasformare la pietra in racconto. Curata da Luisa Vuillermoz e organizzata da Fondation Grand Paradis, l’esposizione abita i luoghi simbolo di Cogne: il prato di Sant’Orso, la piazza del Villaggio Minatori, la Valnontey, e l’atelier dell’artista a Epinel.
“La pietra perfetta non esiste”, dice Savin. “Cerco quella che ha qualcosa da raccontare”. Ed è proprio questo ascolto della materia a rendere le sue opere così vive, così umane. La mostra è georeferenziata, fruibile attraverso l’app Visit Gran Paradiso, arricchita dalla voce digitale della SIBILLA, che accompagna il visitatore tra curiosità e percorsi personalizzati. Un viaggio poetico e tecnologico, spirituale e sensoriale, che proseguirà fino al 30 aprile 2026 a Cogne e, in parallelo, fino al 31 dicembre 2025 al Forte di Bard con la mostra Stele.
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Un brindisi tra canti e montagne
Dopo la cerimonia, prima delle proiezioni, il pubblico si è spostato all’esterno per un Aperitivo Natura con vista sul Gran Paradiso: un momento conviviale sospeso tra cielo e terra. In quel tempo largo e luminoso, la comunità del Festival si è ritrovata a condividere non solo vino e parole, ma una visione comune. È lì che il Festival ha cominciato a diventare un’esperienza condivisa.
Cronaca sentimentale di un viaggio
Il giorno era cominciato presto, con un viaggio da Milano. Prima sosta alla Cripta di Saint-Léger, poi al ponte-acquedotto di Pont d’Aël, costruito nel III secolo avanti Cristo: archeologia viva, Già lì pulsava qualcosa che avrebbe accompagnato tutta la giornata: un’idea di armonia tra il gesto dell’uomo e il respiro del mondo.
A pranzo, il Lou Ressignon ha accolto i viaggiatori con la saggezza dei luoghi veri, dove il cibo racconta storie più che nutrire. E poi, alle 18, il Festival si è aperto davvero.
Leonesse, dune e desiderio: Lions of the Skeleton Coast
Le prime immagini sullo schermo raccontavano di Alpha, Bravo e Charlie: tre cucciole di leone della Namibia, orfane, erranti, leggendarie. Lions of the Skeleton Coast di Will e Lianne Steenkamp è molto più di un documentario: è un’epopea emotiva, un romanzo di formazione in cui le protagoniste – feline e fragili – riscrivono le regole della sopravvivenza. Inventano un modo nuovo di cacciare, migrano verso l’oceano, imparano dagli errori e da una zia prima crudele, poi salvifica. Mentre la storia scorre, nel momento di panico reale, i giovani cuccioli cambiano il mondo.
Il film ricorda le grandi saghe familiari, da The Crown a I Soprano, ma ambientate tra le ossa della sabbia e il silenzio africano. La camera segue con rispetto, mai con invadenza. E la sala respira con lor
Muli e uomini: l’intelligenza della fiducia
A seguire I muli in montagna, un'alternativa di Philipp Landauer e Davide Demichelis. Protagonista, Luciano Ellena: uno degli ultimi sommetier, mulattiere per vocazione e poesia. Con le sue mule Ketty e Dea – presenti in sala – risale i sentieri alpini per rifornire rifugi inaccessibili. Ma non è solo un lavoro: è un’alleanza. Il film ha il ritmo di una ballata a fisarmonica, leggera e pop. Un inno alla sostenibilità che non si prende sul serio ma parla dritto al cuore.
Per parlare di futuro, non serve salire in cattedra. Si può raccontare cantando sulle note di una fisarmonica fatta a mano. Per parlare di sostenibilità e ridurre l’inquinamento, non bisogna essere noiosi. L’empatia passa meglio se cammina a fianco di una mula.
Una comunità che pensa insieme
Nei giorni successivi, la sezione “De Rerum Natura” ospiterà dialoghi straordinari: da Giuliano Amato a Marta Cartabia, da Giorgio Vallortigara a Don Luca Peyron. Tutti riuniti per chiedersi cosa resta, oggi, dell’umano – e cosa possiamo imparare dalle altre intelligenze, non sempre artificiali. Il Festival, così, diventa laboratorio, cantiere e sentiero.
Tra sacro e profano, sotto l’ombra della montagna
Il Gran Paradiso Film Festival è più di un evento: è un’esperienza verticale, in cui cinema, ambiente, spiritualità e scienza si stringono la mano. Tra rifugi e sale, tra mostre e parole, tra Ketty e la SIBILLA, si percepisce che la cultura può davvero accompagnare la salvaguardia della natura – e viceversa.
All’ombra della montagna tutto è così vicino e così lontano. La cripta romanica di Saint-Léger, il ponte romano di Pont d’Aël, il festival stesso – tutto si tiene insieme in un fragile equilibrio. E mentre i giovani leoni imparano a vivere, anche noi possiamo cambiare. Non limitandoci a preoccuparci del mondo, ma cominciando – finalmente – a occuparcene.