L’Arca di Giorgio Caporali: sogni, fughe e amicizia in un viaggio verso la libertà

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

L’Arca di Giorgio Caporali, al cinema dal 21 luglio, è un’opera prima vibrante e visionaria, ispirata a due eventi realmente accaduti. Racconta la storia di Martin (Francesco Venerando), Ryan (Malich Cissé) e Beatrice (Sabrina Martina), tre giovani che restaurano una vecchia barca, la Cassiopea, per costruirsi una via di fuga e dare un senso alle proprie vite. Tra identità, complicità, immaginazione e dolore taciuto, il film intreccia con stile realismo e poesia

“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare.”
Così si apre L’Arca, citando Henry Laborit — lo stesso pensiero fulminante che apriva anche Mediterraneo di Gabriele Salvatores, film premio Oscar del 1992. Una frase che non è solo incipit, ma manifesto: L’Arca, opera prima del giovane regista Giorgio Caporali, sin dai primi fotogrammi dichiara il suo intento più profondo — raccontare l’urgenza di scappare, di reinventarsi, di esistere oltre il perimetro imposto.

Martin e Ryan, ventenni inquieti e diversissimi, condividono una stessa malinconia. Uno viene da un’Italia che non ascolta i giovani, l’altro da un’Africa che l’Europa ha tradito. Li unisce la voglia di cambiare rotta – in senso metaforico e reale – costruendo un’improbabile fuga su una barca abbandonata, ribattezzata Cassiopea. Con loro c’è Beatrice, spirito affine, che non si limita a guardare il mondo, ma vuole attraversarlo.

Il film si muove tra i colori caldi di Roma e il sale sospeso dell’acqua del porto di Civitavecchia. Ma il vero mare è quello dentro. L’Arca è una navigazione esistenziale, un percorso che interroga libertà, identità, appartenenza. Temi che Caporali affronta con sorprendente maturità, senza appesantire, anzi lasciando spazio a momenti di leggerezza e ironia.

Bruciare il presente: la ribellione silenziosa di Martin

Martin è il motore di questa fuga. Dietro ai suoi comportamenti imprevedibili e visionari si cela un segreto  E forse proprio per questo cerca rifugio nella  nell’eccesso, nelle azioni teatrali, nel bisogno disperato di lasciare un segno. È nel rapporto con Ryan e Beatrice che riesce a sentirsi – finalmente – vivo.

Indimenticabile, in tal senso, la scena in cui Martin – in un momento di sconforto – recita in inglese la celebre battuta di Robert De Niro in Mean Streets:

“You know Michael, you make me laugh... You're a fucking jerk-off! You're laughing 'cause you're a jerk-off.”

Poi tenta di bruciare una banconota,  come De Niro nel film di Scorsese. Un gesto teatrale, rabbioso, poetico. Un atto di sfida al tempo e alla paura. Come se stesse dicendo: non sono qui per durare, sono qui per incendiare il presente.

E nel cuore pulsante del film, Martin pronuncia quella che è forse la sua battuta-manifesto:

“Le uniche persone che esistono per me sono i pazzi.”
E pazzo, in questo caso, è chi ancora sogna.

Approfondimento

L’arca, il film di Giorgio Caporali al cinema dal 21 luglio

Ogni capo indossato è una dichiarazione di sopravvivenza

Martin, interpretato da Francesco Venerando, è anche icona visiva del film. Con le sue treccine bionde, la bandana gialla, le t-shirt oversize macchiate di colore, i pantaloni fluo e le giacche psichedeliche da rave anni ’90, incarna un’estetica da punk spirituale.
Il suo look è un urlo visivo: un modo per gridare che esiste, che resiste, che non vuole mimetizzarsi nel grigiore. Ogni capo che indossa – che sia una camicia hawaiana o una felpa peluche lilla – è una dichiarazione d’identità, una bandiera personale issata contro il conformismo. Martin non parla solo: si disegna addosso.

Curiosa e affascinante anche la citazione della figura del maggiore William Martin, protagonista di uno stratagemma bellico durante la Seconda guerra mondiale: un uomo mai esistito usato per ingannare i nemici. E non è forse così anche per i nostri protagonisti? Ragazzi invisibili che devono inventarsi per esistere. Corpi che si costruiscono un’identità per non soccombere all’indifferenza del mondo.

Una colonna sonora che sa di vino e gioventù dolente

Il comparto tecnico è curatissimo: la fotografia di Dario Germani alterna luce e ombra come fosse un respiro, il montaggio di Lorenzo Fanfani accompagna con fluidità l’evolversi emotivo della storia, mentre la colonna sonora – affidata a Davide Di Francescantonio e arricchita dalle voci di Numa, Sisma Goodfellas e Alessandro Marino  – è parte integrante del racconto.
Tra i brani spiccano  E allora giù col vinoCome si fa, , capaci di raccontare la dolce ala di una giovinezza malinconica e irrrisolta

Il coraggio di non sapere e sorridere comunque

Nel cast, Francesco Venerando è una vera rivelazione: rabbioso e vulnerabile. Accanto a lui, Malich Cissé dà corpo a un personaggio silenzioso e struggente, mentre Sabrina Martina è la terza stella di questa costellazione fragile e luminosa. Completano il quadro volti noti come Pietro De Silva, Maurizio Di Carmine, Azzurra Martino, Claudio Spadaro e Tommaso D’Ettore.

Caporali firma anche sceneggiatura e visione, dimostrando una cifra personale e un coraggio autoriale che non si vedono spesso in un esordio. L’Arca non è perfetto, ma è autentico. Vibra, graffia, emoziona. Una favola urbana sul diritto di cercare un altrove, anche se non sai dove porta.
E proprio non sapere dove si va è forse la forma più onesta di libertà: non a caso, l’ultima battuta del film – affidata a Beatrice – è un disarmante, definitivo: “Non lo so.”
Parole che si sciolgono in una risata felice, come un soffio di speranza nel vento.

Spettacolo: Per te