Il cinema di Cthulhu, il libro che racconta l'influenza di H. P. Lovecraft nel cinema

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Con Il cinema di Cthulhu - L'influenza di H. P. Lovecraft sull'immaginario filmico, Claudio Gargano ci conduce in un viaggio visionario tra tentacoli e fotogrammi, svelando come lo scrittore di Providence abbia infettato il cinema con il suo orrore cosmico, dalle trasposizioni ufficiali alle contaminazioni più sotterranee. Un grimorio critico che trasforma lo schermo in un portale verso l’invisibile, dove il cinema diventa un rito e il lettore un evocatore consapevole

 

Un grimorio che pulsa tra le mani

Ci sono libri che non si limitano a parlare di cinema, ma lo abitano come un fantasma gentile, lo fecondano come un morbo sottile, lo trasformano in un rito iniziatico che brucia tra buio e luce. Il cinema di Cthulhu di Claudio Gargano (Martin Eden Edizioni) è uno di questi: un grimorio di oltre 700 pagine che pulsa come un cuore nero tra le mani del lettore, un Necronomicon cinefilo che sussurra, con la voce di Lovecraft, dalle pieghe dell’immagine in movimento.

 

«Ia! Ia! Cthulhu fhtagn!»

E non è un caso se sulla quarta di copertina campeggia la frase «Ia! Ia! Cthulhu fhtagn!», che nella lingua inventata da Lovecraft significa «Lunga vita a Cthulhu! Cthulhu sogna!». Un richiamo arcano, un tamburo che batte da un altrove. La frase intera, «Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn», recita: «Nella sua dimora a R'lyeh, il morto Cthulhu aspetta sognando». E tu, lettore, mentre sfogli queste pagine, ti accorgi che stai sognando con lui, in attesa del risveglio.

Un invito a guardare oltre la soglia

Dimenticatevi le sterili liste di trasposizioni. Gargano non compila, evoca. Non cataloga, convoca. La sua scrittura è febbrile come un’invocazione, infetta come un sussurro notturno. Il seme della follia di Carpenter diventa il nostro specchio infranto, The Thing un inno gelido al contagio dell’ignoto, Event Horizon e La casa dalle finestre che ridono tessere di un mosaico tentacolare dove la logica implode e ogni dissolvenza diventa un invito a guardare oltre la soglia.

Tra prefazioni e labirinti oscuri

Il libro si apre con la prefazione di Davide Pulici, che accende una candela nella sala oscura, e con il saggio di Sebastiano Fusco, cartografo dell’incubo, che offre le coordinate per smarrirsi consapevolmente. Da lì in poi, si scivola in acque scure, accompagnati da una scrittura che vibra come un rito: non spiega, ma lascia filtrare l’abisso tra le righe, costringendoci a guardarci dentro ogni volta che guardiamo un film.

L’infezione del grande schermo

Il cuore del saggio pulsa attorno a un’intuizione potente: Lovecraft non è solo negli adattamenti diretti, ma come un’ombra lunga infesta ogni fotogramma che respira il suo orrore cosmico, ogni dissolvenza che sfuma in nebbia, ogni suono che arriva da un altrove. Nei blockbuster come nei cult sotterranei, il cinema diventa sintomo di un’infezione più vasta, un virus creativo che Lovecraft ha lasciato in eredità a registi e spettatori inconsapevoli.

 

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Il seme della follia ha germogliato

Ma il seme della follia che Gargano racconta non è più confinato sullo schermo. Come nel capolavoro di Carpenter, In the Mouth of Madness, quel seme ha germogliato nel nostro mondo. Lovecraft è diventato per noi ciò che Sutter Cane era per gli esseri umani in quel film: un dio oscuro che sussurra dall’invisibile, suggerendo che l’universo è indifferente, che l’uomo è una nota stonata in un cosmo che non lo ascolta. Pandemia, tragedie, guerre, disastri climatici e la lenta erosione delle risorse hanno inoculato nelle nostre menti un’assuefazione all’apocalisse, una consapevolezza silenziosa che la vita umana sul pianeta possa essere solo un transito fragile. Perche, come suggerisce, una delle battute cult  di Il seme della follia:  “La realtà non è più quella di una volta.”

Il radar cinefilo di Gargano

La forza di Gargano sta anche nel suo radar cinefilo infallibile: accanto a colossi come la saga fanta-horror di Alien o al perturbante Picnic at Hanging Rock, cita piccoli film indipendenti come The Complex Form (assolutamente da riscoprire, magari in parallelo a una serie celeberrima come Stranger Things), costruendo un tavolo cinematografico dove convivono Dario Argento con il suo Inferno che dialoga con la prima stagione di True Detective, Guillermo Del Toro (laureato alla Miskatonic University in un universo parallelo) che gioca nella stessa squadra del Jordan Peele di Nope. E ancora: Blob – Il fluido che uccide scambia battute con The Lighthouse di Robert Eggers, in una danza tentacolare dove il cinema di genere e il cinema d’autore si riconoscono come figli dello stesso orrore cosmico.

 

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Un atto d’amore e di terrore

Il merito di Gargano è quello di trasformare un saggio di critica cinematografica in un atto d’amore e di terrore. Ogni pagina è una vertigine: quella di chi si accorge che l’immagine filmica non è mai innocente, ma superficie sottile su cui si proiettano le nostre paure più profonde. La cultura junghiana dell’autore emerge tra le righe, intrecciandosi a simboli, archetipi, citazioni pop e rimandi cinefili, come un sogno lucido che ti accompagna nella discesa.

Angela Milani firma una copertina che cattura l’essenza del libro: lo sguardo che ci osserva dall’abisso, il richiamo del richiamo, la promessa dell’ignoto che non vuole più tornare a dormire.

Un libro che ti infetta

Il cinema di Cthulhu non si legge, si lascia penetrare. Dopo averlo sfogliato, ogni dissolvenza, ogni suono distorto, ogni ombra sullo schermo diventerà un sospetto, un messaggio, un tentacolo che ti accarezza la nuca. È un libro che ti accompagna fuori dalla sala, lasciandoti un’ombra lunga dietro le spalle, ricordandoti che l’orrore più grande non è quello che vediamo, ma quello che scegliamo di ignorare.

Per chi ama Lovecraft, per chi ama il cinema, per chi crede che la critica debba diventare un’esperienza, questo libro è un passaggio obbligato. Ma è anche una trappola dolcissima: perché una volta varcata la soglia, nulla sarà più come prima.

E le stelle cominciano a cadere

E così restiamo, come nel finale de L’Aldilà di Fulci, immobili sull’orlo dell’abisso, con gli occhi spalancati a contemplare un orrore che ci accoglie come un grembo oscuro, dove tutto tace e tutto respira. Perché in fondo, come sussurra Lovecraft,

“Non è morto ciò che può vivere in eterno,
E in strani eoni anche la morte può morire.”

E noi, piccole ombre sospese tra un fotogramma e l’altro, restiamo a guardare, mentre le stelle, finalmente, cominciano a cadere.

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