Addio a Enzo Staiola, il bambino di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Aveva 85 anni

Cinema
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Si è spento a Roma il bambino simbolo del Neorealismo che prestò volto e occhi a Ladri di biciclette, capolavoro diretto da Vittorio De Sica

Se n’è andato in silenzio, con quella stessa discrezione che ne aveva segnato l’ingresso nel mito cinematografico. Enzo Staiola, il piccolo Bruno di Ladri di biciclette, è morto a Roma lo scorso 4 giugno, all’età di 85 anni. Nato nel 1939 nel quartiere popolare della Garbatella, lì dove la vita era ancora segnata dai ritmi lenti e duri del dopoguerra, Staiola era un bambino come tanti, fino a quando un giorno Vittorio De Sica lo notò per strada. Non era un attore, non aveva mai recitato, ma il regista vide in lui qualcosa di irripetibile: una naturalezza spiazzante, un corpo minuto che camminava “come un uomo piccolo”, e uno sguardo già colmo di mondo. Era il 1948 e l’Italia cercava di rialzarsi sulle macerie del conflitto. Il cinema, nelle mani dei grandi maestri del Neorealismo, diventava specchio e voce di un Paese ferito ma non vinto. In questo contesto, Ladri di biciclette nasceva come un grido sommesso, una preghiera laica che attraversava le strade polverose di Roma per raccontare la dignità di chi non ha più nulla da perdere. E nel volto di Bruno, il figlio del disoccupato Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), c’era l’infanzia spogliata d’ogni retorica, nuda e potente, capace di incidere la pellicola con la forza della verità.

Uno sguardo che non si dimentica

Non interpretava, Staiola: era. La sua presenza sullo schermo non conosceva filtri né tecniche attoriali, ma sprigionava una sincerità disarmante, figlia di un tempo in cui il cinema cercava la verità tra le rughe della vita. La scena in cui osserva il padre rubare una bicicletta, con lo sguardo fisso, la macchina da presa che si avvicina in un silenzio assordante, resta tra le più strazianti della storia del cinema. In quei pochi secondi si condensano il tradimento e la tenerezza, la perdita dell’innocenza e l’amore che resiste.

Ladri di biciclette non fu solo un film. Fu un manifesto etico ed estetico. Premiata con l’Oscar al miglior film straniero, cinque Nastri d’argento, un Bafta e un Golden Globe, l’opera venne esaltata da André Bazin, amata da François Truffaut, indicata da Scorsese e Spielberg come punto di riferimento. Il cinema neorealista, con la sua poetica del quotidiano, avrebbe lasciato un segno profondo nella storia culturale del Novecento, e Enzo Staiola, in quella breve ma indelebile apparizione, ne divenne simbolo involontario e eterno.

Una parabola silenziosa

Dopo quel ruolo memorabile, Staiola lavorò fino al 1954 come attore bambino in numerose altre produzioni cinematografiche, sia in Italia sia all'estero, con alcuni tra i più famosi registi ed attori del tempo, segnalandosi in altri ruoli importanti, come in Cuori senza frontiere (1950) di Luigi Zampa. Da adulto, Staiola tornò brevemente alla recitazione, in ruoli di supporto, soltanto in due occasioni: all'inizio degli anni sessanta nel film Spade senza bandiera (1961) e ancora nel 1977 ne La ragazza dal pigiama giallo. Successivamente fu per lungo tempo impiegato del catasto di Roma.

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