Death of a Unicorn, la recensione della favola horror con Jenna Ortega e Paul Rudd

Cinema
Vittoria Romagnuolo

Vittoria Romagnuolo

I Wonder Pictures via Webphoto

Le due star americane sono padre e figlia nella pellicola che racconta il weekend più folle della loro vita. L'opera prima di Alex Scharfman è una critica a una società che per guarire ha bisogno di magia e spavento. Al cinema dal 10 aprile

Sean Baker, regista di Anora, il film che ha sbancato alla 97esima edizione degli Oscar, è stato chiaro: guai a perdere di vista il cinema indipendente perché, con la sua energia strampalata, può essere davvero in grado di riavviare la macchina della sala che deve contare sull'uscita dei blockbuster per raddrizzare il tiro di certe stagioni che non vogliono saperne di ingranare.
Death of a Unicorn, il nuovo film di Alex Scharfman, distribuito negli Stati Uniti da A24 e in Italia da I Wonder Pictures, al cinema dal 10 aprile, ad esempio, è un titolo destinato a diventare un piccolo cult, per la sua capacità di fotografare un momento della storia e certi umori di una società così nervosa da perdere di vista le cose che contano davvero.

Death of a Unicorn, di cosa parla

Elliot e Ridley, Paul Rudd e Jenna Ortega, sono un padre e una figlia che vivono in mondi un po' distanti: lui molto dedito al lavoro, lei adolescente, ancora in pena per la scomparsa prematura della madre.
In un fine settimana lontano da casa, i due sono uniti da una missione che preme parecchio a Elliot che punta a diventare il legale dei Leopold, la famiglia che possiede l'industria farmaceutica per cui presta sevizio da anni. Il momento è quello giusto: il capofamiglia Odell Leopold è malato di tumore e si sta spegnendo.
Nel viaggio per i boschi per raggiungere la tenuta dei Leopold, Elliot investe un animale selvatico ma non vuole complicazioni, così finisce con un attrezzo la bestia agonizzante e la carica nel baule della macchina. Ridley è sconvolta, ha capito che l'animale è speciale, non solo per il suo aspetto.
Alla tenuta dei Leopold le cose diventano subito strane. L'animale sembra guarire inspiegabilmente e dalle sue ferite sgorga un siero rivitalizzante e curativo. Odell guarisce dal cancro. L'animale dalla forma equina e con una protuberanza sulla fronte è certamente un unicorno.
I Leopold decidono di tacere sulla scoperta intravedendo subito le sconfinate opportunità di profitto dei resti dell'unicorno ma mentre imbastiscono un laboratorio di sperimentazione in casa, Ridley li ammonisce.
La storia insegna: gli unicorni sono esseri magici, affascinanti quanto selvatici. Occorre stare in guardia. Anche perché i genitori di quello che si è rivelato un cucciolo della specie stanno arrivando per cercarlo.

Gli unicorni come i dinosauri di Jurassic Park

Death of a Unicorn è un film che attraversa i generi senza legarsi particolarmente a nessuno.
Il copione è un susseguirsi di avvenimenti che scorrono veloci contribuendo a uno slittamento rapido dal road movie alla black comedy, dallo splatter al fantasy e viceversa.
In questo senso, Scharfman porta sul grande schermo un tipo d'intrattenimento che somiglia a quello dei social media, da TikTok a Instagram, al passaggio rapidissimo, sotto le dita e davanti agli occhi, di contenuti molto diversi tra loro.
In tutta questa attualità, raccontata attraverso la satira sui ricchi nei quali è facile ritrovare tic e manie dei CEO delle vere multinazionali contemporanee, svanisce quando nella trama si fa largo l'impossibile, la magia, la presa di coscienza dell'esistenza di creature che si credevano parte del mito.
E come in Jurassic Park, chiaro punto di riferimento dell'autore che ha tenuto presenti tanti classici moderni per questo film (inclusi certamente Legend e Alien di Ridley Scott), non resta che sgranare gli occhi aspettando accucciati nel silenzio che le creature coi denti aguzzi passino oltre senza divorarti.

Gli unicorni di Alex Scharfman guariscono e divorano, esattamente come quelli raccontati negli arazzi del tardo Medioevo conservati al Met, Metropolitan Museum of Art di New York, "The Unicorn Tapestries"del tardo Quattrocento.
Ridley/Jenna Ortega - qui un'adolescente colta e sensibile, atipica, come la Mercoledì Addams a cui ha dato il volto in  un altro universo - è l'unica a intuire che lo scempio dei resti del piccolo di unicorno è sbagliato.
Gli unicorni non possono essere imprigionati né sottomessi dagli uomini, proprio come è narrato in quel famoso ciclo di arazzi gotici.
Il weekend diventerà presto un incubo con cieli a tinte olografiche, una scelta visiva un po' anni Ottanta e che solletica efficacemente la memoria cinematografica del pubblico dei b-movie di quell'epoca.

Nel cast, Théa Leoni e (un divertentissimo) Will Poulter  

Se Rudd e Ortega offrono al pubblico performance in linea con quelle per cui sono amati dal grande pubblico (lui, nei film Marvel è un papà più amorevole di quello di questa pellicola), c'è tempo per interessarsi ai membri della famiglia Leopold, i classici milionari fuori dal mondo.
Il più divertente è senza dubio Will Poulter, Shepard, il rampollo dei Leopold, senza idee in testa e sempre, inopportunamente, in pantaloncini.
Théa Leoni (che mancava al cinema da qualche tempo) è Belinda Leopold, la moglie di Odell, avida e superficiale. Richard Grant è Odell, l'uomo che rifiorisce dopo aver assunto il sangue di unicorno, un po' come accadeva a Demi Moore, protagonista di The Substance, altro film che ha mostrato le conseguenze magnifiche e letali del cocktail tra scienza e magia.

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