"Diva Futura" e il porno di Schicchi: "Ha rivoluzionato i costumi dell'epoca"

“Diva Futura”, il nuovo film diretto e scritto da Giulia Louise Steigerwalt, al cinema dal 6 febbraio con PiperFilm, racconta più di una storia. C’è quella di Riccardo Schicchi, che all’inizio degli anni Ottanta fonda un’agenzia che produce e sviluppa film porno; c’è quella di Debora Attanasio, segretaria di Schicchi, che si ritrova immersa in un mondo che non conosce minimamente, e c’è pure quella di tre pornostar come Cicciolina, Moana Pozzi ed Éva Henger. Queste storie finiscono per intrecciarsi in un’unica trama, in cui viene rivisitata sia l’Italia dell’epoca sia la rivoluzione di costume che la travolse. Schicchi, con i suoi film, non voleva né denigrare né mortificare la donna. Voleva al contrario sublimarla, e questo è un punto che ripete spesso Steigerwalt. Quando ha scoperto Diva Futura, l’agenzia, è stata colpita dall’anticonformismo e dalla voglia di cambiamento di Schicchi. E quello che ha provato a fare girando questo film è stato attirare l’attenzione su determinati temi: il sesso, innanzitutto; ma anche la vita e l’intimità dei protagonisti, che si sono confrontati tanto con la sfera pubblica quanto con quella privata; la violenza, la distorsione del porno, e l’ipocrisia bigotta che ancora oggi, nel 2025, è estremamente presente nel nostro Paese. Perché ha scelto di raccontare questa storia? Prima di tutto perché è una storia piuttosto sorprendente. Gli inizi di Diva Futura, del percorso che hanno intrapreso le persone che ne hanno fatto parte, sono stati divertenti. Era un gioioso casino, Diva Futura. E non mi aspettavo di trovare una cosa del genere nel mondo del porno. E poi mi interessava dal punto di vista del costume. In che senso? Diva Futura e Schicchi hanno rivoluzionato il costume dell’epoca. E ci sono riusciti grazie soprattutto al loro spirito anticonformista. Il loro obiettivo rimaneva sempre quello di stupire, di scandalizzare, sempre in maniera irriverente e divertita. Allo stesso tempo, all’interno di Diva Futura, ci sono storie molto appassionate e romantiche, delle vicende profondamente personali. Mi interessava la parabola di Schicchi, questo passaggio drastico dai momenti di gioia colorata all’epilogo più amaro. Crede che l’erotico, come elemento narrativo, sia scomparso dal nostro cinema e dalla nostra televisione? In parte sì. Però prima c’era uno sguardo quasi pruriginoso, in cui l’erotico stesso veniva meno e c’era un po’ più di voyeurismo, accompagnato da una certa volgarità. Era un racconto spesso superficiale. Quando invece c’è sostanza e ci sono elementi tenuti insieme da un’idea coerente, si può raccontare qualunque cosa. Io non sono assolutamente contraria al nudo femminile. Ma credo che ci sia stato un abuso gratuito. Se alla storia serve, va bene inserirlo; non te ne rendi nemmeno conto. Succede in tantissimi capolavori del cinema. Se non serve, non c’è alcun bisogno di insistere. Tra gli anni Novanta e i primi anni 2000, c’è stato un boom di commedie in cui il nudo era ovunque e veniva trattato male. È stato difficile riuscire a raggiungere questo equilibrio nell’utilizzo del nudo in “Diva Futura”? È una cosa su cui ho riflettuto a lungo. Sono partita da un presupposto: per Schicchi e gli altri di Diva Futura, l’agenzia, il nudo era una cosa normale; erano abituati, ogni giorno, a essere esposti a scene più o meno esplicite. Quindi per me bisognava rappresentare questa spontaneità. In ogni scena, volevo mantenere l’emotività dei singoli personaggi. E seguendo questa emotività, il nudo, se serviva, veniva da sé. Verso la fine del suo percorso, Schicchi rimane deluso: il porno diventa profondamente violento, e lo fa per rispondere alle richieste di un certo pubblico. Quanto è importante – e lo chiedo a lei, come regista – tenere in considerazione il punto di vista degli spettatori? Bisogna raccontare una storia per loro o a prescindere da loro? Io penso che il cinema e qualsiasi forma narrativa abbiano una responsabilità nel creare un immaginario. Creando quest’immaginario finiscono anche per creare o almeno per influenzare una cultura. Il pubblico per me è molto intelligente. Sa benissimo quando un film è interessante o non merita di essere visto. Tendo a prenderlo molto sul serio. E quando faccio un film, la mia intenzione è quella di offrire qualcosa che io stessa, come spettatrice, vorrei vedere. Parallelamente, l’audiovisivo ha la responsabilità di seguire la propria visione. Vanno veicolati i messaggi giusti, che però non vuol dire messaggi moralisti. Nel porno, si tende ad ascoltare e ad assecondare una minoranza. E la domanda sta proprio qui, secondo me. Perché si associa il sesso alla violenza. Schicchi ci ha dimostrato che il porno può essere altro. Oggi, purtroppo, non è così. Ed è una delle tematiche del film, che vuole invitare le persone alla riflessione. Il primo contatto dei più piccoli, di chi ha mediamente 12 anni, con il sesso avviene così, tramite il porno che esalta la violenza. Ed è un problema. Schicchi proponeva sicuramente un’altra cosa e il suo pentimento ha coinciso con la deriva che ha preso il porno. Qual è stato il punto di partenza di “Diva Futura”? Prima di leggere il libro di Debora Attanasio , non conoscevo questa storia. Forse avevo visto Moana o un’altra di queste dive in televisione, in qualche programma televisivo, ma non era molto familiare con la loro storia. La cosa che mi è piaciuta è che Diva Futura è sempre stato come un universo a parte. È nata abbracciando una certa irriverenza e un’idea quasi rivoluzionaria. Schicchi diceva sempre: siamo amorali ma non immorali. E questa visione credo che abbia fatto la differenza. E poi c’era una cialtroneria di fondo, no? Ma una cialtroneria simpatica, fatta di improvvisazione. Non c’era nessuna intenzione di mortificare la donna o di maltrattarla. Semmai c’era la voglia di sublimarla. Schicchi creava delle dive; voleva che facessero pochi film e che poi andassero in televisione. Tutte le persone che hanno conosciuto Schicchi mi hanno sempre ripetuto la stessa cosa: non era un pornografo, era un anticonvenzionale. Nel porno, a un certo punto arriva anche la politica. Prima con Cicciolina, poi con Moana. Ma se Cicciolina venne accolta quasi gioiosamente, Moana ebbe più di qualche problema. E questo perché non venne presa sul serio. Quanto è centrale il potere all’interno di “Diva Futura”? Le elezioni di Cicciolina si inserivano in un contesto specifico, di contestazioni e rivoluzione. Si parlava di temi che, all’epoca, erano un tabù. La candidatura di Cicciolina era quasi un gesto di provocazione. E dopo, infatti, non è stato più possibile. Moana si propose con estrema serietà e questo le persone non glielo perdonarono. La società è sempre pronta a condannarti per le stesse cose per cui ti desidera. E nella candidatura di Moana, è uscita la vera contraddizione. Queste erano donne di potere, ma non hanno mai sfruttato il loro potere. Erano al centro della scena pubblica, eppure non ne hanno minimamente approfittato. Le piacerebbe lavorare ulteriormente sul personaggio di Moana Pozzi? Mi piacerebbe molto, certo. La sua è una storia straordinaria. Ma è anche una storia avvolta da un mistero fittissimo. Ed è difficile dire chiaramente che cosa sia successo. Non so quanto sia possibile approfondire ed esplicitare tutto. Schicchi parlava di responsabilità. Per un’autrice di cinema come lei dove sta questa responsabilità? Nel veicolare un certo messaggio. Questa storia risuona molto con le donne e, secondo me, contiene un messaggio femminista. Si parla tanto di consenso. E poi si parla di violenza, del modo in cui viene costantemente proposta e offerta al pubblico, anche a quello più giovane. Come autrice, sento il dovere di provare ad aprire un dibattito. In “Diva Futura”, poi, si parla di famiglia: che cos’è, come si riconosce; se c’è o meno una tradizione di famiglia. In Italia è facile raccontare questo tipo di storie, così legate al sesso e alla sua rappresentazione? No, per niente. C’è tanto bigottismo. Io sono molto più affine alla mentalità anglosassone, che è meno giudicante. In Italia, all’apparenza, c’è un moralismo dilagante. E invece, oltre la superficie, resiste un’immoralità cocente. Viviamo una grande contraddizione. Siamo in un paese fortemente cattolico. Avete avuto problemi durante le riprese del film? Molti, sì. Che genere di problemi? Ci sono state negate delle location e, dopo, ci sono stati negati dei brani musicali. Perché, secondo lei? Il sesso è un tema che spaventa e paradossalmente spaventa più della mafia. E la cosa assurda è che, in questa storia, la sessualità non è centrale: c’è, certo, ma non è tutto. Manca la capacità di analizzare e comprendere ciò che si vede? Spesso è quello che succede. E in questo modo si perde di vista il tema principale di un film. Ci si ferma sempre alla prima impressione. Io però continuo a essere ottimista e fiduciosa. Sono sicura che, prima o poi, arriveremo a un’apertura maggiore.

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