L’orto americano, il film horror di Pupi Avati ha chiuso Venezia 2024. La recensione

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

 Il regista torna al cinema gotico con un lungometraggio in bianco e nero ambientato negli anni Quaranta alla vigilia della liberazione. Dal Midwest americano all’Emilia Romagna, una storia d’amore, orrore e fantasmi con Filippo Scotti

AAncora una volta la Guerra. L’orto americano, il film di chiusura della ottantunesima Mostra del cinema di Venezia, (LO SPECIALE) è infatti ambientato durante liberazione dell’Italia a opera degli alleati. Pupi Avati torna al genere gotico e soprattutto torna al Lido per la decima volta: un autentico record. Dopo il capolavoro La casa dalle finestre che ridono, ZederIl Signor Diavolo, un nuovo viaggio nell’incubo. Ma questa volta il cineasta impreziosisce il lungometraggio con una prima parte girata in Idaho. In fondo come afferma lo stesso regista italiano: “L’ America rurale è del tutto simile alla nostra Emilia-Romagna.”

Lirici greci, serial killer e dialoghi con i morti

Bacchilide, Pindaro e inamabili resti umani conservato in forma aldeide. I lirici greci e un brutale assassino seriale con l’ossessione di assassinare e mutilare giovani donne. L’orto americano produce frutti morbosi, malati, poetici enigmi in versi e lamenti provenienti dall’aldilà. Il bianco e nero facilità la sospensione dell’incredulità. Il protagonista dialoga con i morti, come per sua stessa ammissione fa abitualmente Pupi Avati. Fantasmi che suggeriscono straordinarie storie da raccontare. La realtà è un’illusione. E forse è meglio abbandonarsi al tempo del sogno piuttosto he scoprire l’esistenza del mercato clandestino di cadaveri, gente che vende salme di soldati inglesi e americani ai familiari. Eppure, persino Achille restituì il corpo di Ettore a Priamo. L’umanità rappresentata nel film sovente è davvero poco umana. Meglio affidarsi ai folli, ai visionari. 

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Filippo Scotti interprete perfetto per L’orto americano

Filippo Scotti risulta l’interprete più adatto per il ruolo del protagonista di L'orto americano. Ha un viso antico, un candore al tempo stesso fragile e volitivo che gli ha permesso di interpretare un giovane Paolo Sorrentino in “È stata la mano di Dio” e di calarsi con naturalezza negli anni Novanta nella serie Sky Original “Un’estate fa”. Comprendere tutti i dettagli e gli sviluppi della trama film potrebbe risultare un mero esercizio fine a se stesso. Risulta più fruttuoso e appagante perdersi nelle atmosfere noir, agli sguardi imperscrutabili di Chiara Caselli, alle ambiguità di Roberto Francesco. A volte il cinema è rebus e non è necessario risolverlo per apprezzarlo.

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L'orto americano, la trama del film

Le ombre ammonitrici di Fritz Lang e Alfred Hitchcock abitano L’’orto americano. Registi europei, emigrati negli States, che hanno segnato per sempre Hollywood, Autori che hanno sparigliato le carte degli Studios. Avati rende omaggio a questi insuperabili maestri della settima arte in un abbacinate florilegio di citazioni. La scandalosa rivoluzionaria del passato colpisce ancora.  Bologna, ai tempi della Liberazione, un giovane problematico che sogna di diventare scrittore si innamora perdutamente di una bellissima nurse dell’esercito americano. L’anno dopo, nel Midwest americano, il ragazzo andrà ad abitare in una casa contigua a quella della sua amata, separata solo da un malevolo orto. In quella dimora vive la vecchia madre, affranta dalla scomparsa della figlia che non ha dato più notizie di sé dopo aver scritto a casa che si sarebbe sposata con un italiano, non ha più dato notizie di sé. Comincia così da parte del giovane una ossessiva ricerca che gli farà sperimentate una situazione spaventosa. E alla fine, tornato in Italia, la conclusione della sua indagine sarà davvero sorprendente.

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