Da assistente volontario di Monicelli alla regia della nuova commedia italiana sempre all’insegna della resistenza sociale. Un viaggio tra ricordi, film, orsi…e tanto tanto Abruzzo. Riccardo Milani si racconta al vicedirettore di Sky Tg24 Omar Schillaci nella nuova puntata del ciclo di interviste dedicati ai principali interpreti dello spettacolo
È Riccardo Milani il protagonista della nuova puntata di “Stories”, il ciclo di interviste ai principali interpreti dello spettacolo di Sky TG24. Ospite del vicedirettore della testata Omar Schillaci, con la regia di Francesco Venuto, il regista si racconta in “Riccardo Milani – La commedia della vita”. In onda mercoledì 26 giugno alle 21.00 su Sky TG24, sabato 29 giugno alle 13.30 su Sky Arte e sempre disponibile On Demand.
Tra i più affermati registi della commedia in Italia, con all’attivo film e fiction amatissime dal pubblico, Riccardo Milani è già al lavoro sui suoi prossimi progetti, in particolare “ci sono un documentario e un film in preparazione. Il film lo stiamo scrivendo, siamo in fase di sceneggiatura. È ambientato tutto quanto in Sardegna e un po’ a Milano, quindi mare, quindi territori da proteggere. Una storia di resistenza umana e culturale, che forse è quello che mi piace raccontare di più”. E poi ancora l’infanzia, gli inizi con Monicelli, il successo, la famiglia, l’amore e gli idoli di una vita, da Gigi Riva a Giorgio Gaber…
Gli inizi
La storia di Riccardo Milani inizia a Roma, quartiere San Giovanni, dove ha trascorso la sua infanzia giocando a pallone dato che “stavo sempre per strada. Se non ero a scuola ero lì” e dove ha avuto modo di conoscere per la prima volta la magia del cinema. “Dalla finestra allungavo la testa tra le grate e ascoltavo la voce del cinema. Era il cinema Airone che la sera apriva il tetto per far uscire il fumo (ai tempi si poteva fumare) e io mi mettevo lì ad ascoltare battute e dialoghi”. Da studente invece “ero molto mediocre” ma al liceo sviluppa un grande interesse per il sociale, che lo accompagna ancora oggi. “Era la metà degli anni ’70 e vivevamo con grande intensità il rapporto con l'esterno. Quella è una cosa che ti aiuta molto perché capisci un po’ come vanno le cose. Ti occupi di politica, ti occupi di sociale, di economia. Il coinvolgimento nella società in cui stai è una cosa importante”.
La passione per la settima arte
In quegli anni, un’influenza fondamentale sarà Giorgio Gaber su cui poi, da adulto, realizza il documentario ‘Io, noi e Gaber’. “Lui era quello spirito critico che ti diceva delle cose sul mondo, sulla vita di quel tempo, di quel momento. Ci raccontava bene. E a un certo punto ha avuto il coraggio di venirci addosso, cioè di dirci cosa eravamo diventati. Diceva ‘guardatevi dentro perché siete diventati moda’. E aveva ragione”. La scintilla per la settima arte si accende quasi per caso, grazie alla lettura di un libro in cui i registi raccontavano i loro inizi nel mondo del cinema “e Carlo Vanzina scriveva che ha cominciato come assistente volontario. Io non sapevo bene cosa fosse quella cosa lì, però volevo farla. Così mi recai in una moviola dove Monicelli stava montando un film chiedendo se potessi fare da assistente volontario al suo prossimo lavoro. Mi fece sedere accanto a lui e non mi alzai più”. Da lì una carriera brillante che l’ha visto dirigere grandi attori come quella che più tardi diventerà sua moglie, Paola Cortellesi. “Ci siamo conosciuti sul set di ‘Un posto dell’anima’ e condividevamo un po’ anche la commedia, la comicità o l'ironia attraverso la quale poter raccontare delle storie. Lei non veniva da esperienze di film ‘sociali’ e quindi questo condividere dei temi, il modo di parlare al pubblico, il rispetto per il pubblico credo ci abbia unito molto”.
NON SOLO COMMEDIA
Non solo la commedia però, c’è anche il documentario tra le sue grandi passioni e un film in particolare a cui è molto legato, ‘Nel nostro cielo un rombo di tuono’ su Gigi Riva, l’idolo della sua infanzia. “Gigi Riva è stato una costante della mia generazione. Io sono nato e cresciuto con un calciatore che all'epoca aveva scombinato tutto il mercato del calcio italiano, portando alla vittoria dello scudetto una squadra come il Cagliari. Ha resistito alle offerte di tutte le grandi e quella resistenza è una resistenza che è umana e culturale insieme. Ha imposto dei valori, li ha imposti lui, una persona, un uomo, li ha imposti a tutto il mercato”. Pur essendo romano di nascita, il suo cinema è però intriso d’Abruzzo, perché “ci passavo l'estate quando ero veramente un bambino. Però di fatto sono cinquant'anni che frequento questa regione. A quelle persone, quei luoghi, quel territorio, devo tanto perché penso di essere un po’ cresciuto lì. C’era un lato umano che non sono mai riuscito a cogliere in città. Devo tanto all’Abruzzo perché penso che la mia formazione professionale e umana sia avvenuta lì”.
Impossibile quindi non citare il più ‘abruzzese’ dei suoi film, ‘Un mondo a parte’ la sua ultima opera, dove ritroviamo luoghi e temi cari alla sua poetica “e la poetica sta in quelle persone lì come quei due professori (Virginia Raffele e Antonio Albanese) che fanno quel mestiere in maniera così appassionata, facendo 150 km al giorno sotto la neve e il ghiaccio. Anche questa è una resistenza culturale e umana”. Poi sul suo cinema, afferma di non sentirsi ‘autore’ anche perché “non so bene quale sia la differenza tra film popolare e film d’autore. Non sa dire bene cos'è che divide se lo stile, se i temi raccontati, se la capacità di parlare a un pubblico piuttosto che a un altro o fare delle inquadrature esteticamente molto alte (di fronte alle quali io mi inchino e che guardo spesso con grandissima ammirazione) però il film poi alla fine mi deve lasciare qualcosa” ha concluso.