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Il regno del pianeta delle scimmie, un nuovo inizio all’ombra di Cesare. La recensione

Cinema

Paolo Nizza

È uscito al cinema il lungometraggio, sequel di The War- Il pianeta delle scimmie (2017), nonché quarto capitolo della serie reboot tratta dall'omonimo romanzo di fantascienza del 1963 di Pierre Boulle. Una spettacolare ed emozionante avventura in un mondo dominato dai primati. Una pellicola che potrebbe dare il via a una nuova trilogia

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“Non si manda mai una scimmia a fare il lavoro di un uomo.”  Quanto si sbagliava il capitano Leo (interpretato da Mark Wahlberg), Non a caso la battuta è tratta da Planet of Apes, forse il film più sbagliato diretto da Tim Burton. Il regno del pianeta delle scimmie, uscito nelle sale cinematografiche mercoledì 8 maggio, dimostra che i Primati hanno vinto la guerra contro il genere umano. Ambientato 300 anni dopo lo straordinario The War - Il pianeta delle scimmie., il film squarcia l’illusorio velo di Maya che l’essere umano sia la specie dominante. La Natura si è presa la sua rivincita. Lo sciagurato farmaco l'ALZ-113 ha contribuito all’estinzione quasi totale dell’umanità. Parimenti a una litografia di Giovan Battista Piranesi, gli alberi divorano ciò che resta degli antichi fasti di imponenti palazzi. in rovina. Il globo terracqueo è un’architettura in rovina trasfigurata in un luna park per specie animali. Gibboni, gorilla, macaco, orango, scimpanzé scorrazzano dominanti tra montagne e foreste. Ma l’abuso di potere alberga pure tra i mammiferi appartenenti all’ordine dei primati.

Il regno del pianeta delle scimmie, la trama del film

Beate le scimmie perché erediteranno la terra. Parafrasando le sacre scritture (d’altronde il franchise cinematografico tratta dal romanzo Pierre Boulle gronda di riferimenti alla Bibbia) ci illustra un pianeta in cui le  scimmie sono la specie dominante e gli sparuti umani sopravvissuti sono costretti a vivere nell'ombra. Non a caso sono chiamati “eco” perché ridotti a sbiaditi simulacri di ciò che un tempo era l’umanità. Ma la sete di potere di Proximus Cesare, nuovo dispotico leader delle scimmie rischia di trasformare il paradiso in un inferno. Sicché la giovane scimmia Noa sarà costretta a compiere il viaggio dell’eroe. Lo scimpanzé metterà in discussione tutto ciò che credeva di conoscere sul passato. E come in ogni epopea sarà portato a fare delle scelte che determineranno il futuro sia delle scimmie, sia degli umani.

approfondimento

Il regno del pianeta delle scimmie, il trailer del film

L'ombra di Cesare

Il regno del pianeta delle scimmie parte piano, con consapevole lentezza. Come quando si inizia una serata alcolica con un spritz. Tuttavia, in un crescendo rossiniano, la pellicola aumenta i giri e la gradazione. Il regista Wes Ball (già autore della fortunata trilogia di Maze Runner che ha trionfato al box office) dosa con perizia e autorevolezza i dialoghi e le adrenaliniche sequenze action. Nonostante l’assenza di Cesare, il primate protagonista dei precedenti tre lungometraggi viene evocato di continuo. E la consulenza di Andy Serkis, che dai tempi del Gollum della saga cinematografica del Signore degli anelli, è il maestro indiscusso della motion capture ha aiutato i colleghi a calarsi nei panni degli irsuti protagonisti e comprendere le vere differenze anatomiche tra i corpi umani e i corpi delle scimmie. 

Il pianeta delle scimmie, una saga di successo

Tra il delirante desiderio di riportare in auge la Roma dei Cesari e la desolazione di regno in cui gli esseri umani hanno smesso di parlare e la parola scritta è un lontanissimo ricorso, Il regno del pianeta delle scimmie si impone come l’inizio di una futura trilogia. Per citare Star Wars non sappiamo se ci aspetta una nuova speranza, oppure sarà l’impero a colpire ancora, a prescindere dalla razza e dal DNA. La sola certezza è che ancora una volta il franchise ispirato a Planet of Apes si dimostra una delle saghe cinematografiche più affascinante e riuscite degli anni 2000. Un lungometraggio che non ha paura di volare dove osano le aquile. Un esempio virtuoso di fantascienza adulta, aliena dalle mode e dagli algoritmi. Un’opera che senza salire in cattedra e priva di corrivi spiegoni riflette con lucidità sulle ombre e sulle luci di quella che chiamiamo umanità.