Antonio Albanese racconta "Cento Domeniche". VIDEO

Cinema
Denise Negri

Denise Negri

Arriva in sala il 23 novembre il nuovo film scritto, diretto e interpretato da Antonio Albanese, presentato alla Festa del Cinema Roma nella sezione Grand Public

"Antonio, ex operaio di un cantiere nautico, conduce una vita mite e tranquilla: gioca a bocce con gli amici, si prende cura della madre anziana, ha una ex moglie con cui è in ottimi rapporti ed Emilia, la sua unica e amatissima figlia. Quando Emilia un giorno gli annuncia che ha deciso di sposarsi, Antonio è colmo di gioia, può finalmente coronare il suo sogno regalandole il ricevimento che insieme hanno sempre sognato potendo contare sui risparmi di una vita.

La banca di cui è da sempre cliente sembra però nascondere qualcosa, i dipendenti sono all’improvviso sfuggenti e il direttore cambia inspiegabilmente di continuo. L’impresa di pagare il matrimonio di sua figlia si rivelerà sempre più ardua e Antonio scoprirà, suo malgrado, che chi custodisce i nostri tesori non sempre custodisce anche i nostri sogni".

È questa la trama ufficiale di Cento Domeniche il film diretto da Antonio Albanese che recita anche insieme a un cast di attori amici come Liliana Bottone, Bebo Storti, Sandra Ceccarelli, Maurizio Donadoni, Elio De Capitani, Sandra Toffolatti, Martin Chishimba.

 

Ecco che cosa ci ha raccontato durante l'intervista a Sky TG24

 

Cento Domeniche è un film che arriva come un pugno allo stomaco agli spettatori. Il film di cui sei regista e protagonista ci parla di Antonio, chi è e cosa volevi raccontare?

Antonio è una vittima di un crack bancario. Quello che mi interessava fare non era raccontare in se e per se un crack bancario ma le conseguenze sulle persone. Lui è vittima di un comportamento vigliacco, che non è dettato dal sistema banche (che funziona e noi siamo qui anche per quello) ma che è dettato magari da una sola persona, vorace e bulimica, che segue la sua voglia di potere e facendo così tradisce persone profondamente oneste come il personaggio che interpreto nel film. Era importante per me raccontare un mondo onesto, un mondo operaio fatto di persone meravigliose che non sono le ultime ma sono i primi perché hanno sostenuto questo Paese e continuano a farlo. Ho cercato così di immedesimarmi in loro, rispettandoli. Il cast poi, fatto di amici e professionisti, mi rende molto orgoglioso del risultato.

 

Antonio ha un bellissimo sogno: quello di pagare le spese per il matrimonio della figlia.

Il suo è un sogno meraviglioso che ritorna ai fondamentali della vita sana e semplice. Ha un rapporto molto bello con la figlia, che lui adora, ha una vita serena, di provincia, senza particolari ambizioni inutili e ha questo sogno che gli viene negato dall’annullamento totale del suo unico conto in Banca che si è trasformato da obbligazioni ad azioni. Gli negano dunque questo sogno e lui per grande dignità, orgoglio e onestà, incomincia a soffrire prima della grande esplosione.

 

Perché Antonio è stato vittima di queste “manovre” bancarie?

Lui risponde sempre, a chi glielo chiede, che si fidava di chi in Banca gestiva il suo conto corrente. Il suo è un ragionamento giusto, perché lui dice: “io ho sempre fatto con onestà il mio lavoro e non capisco perché non è stato così anche per gli altri”. A lui sembra impossibile questo tradimento, proprio perché ha sempre vissuto con garbo, con onestà e semplicità. Io ho la grande fortuna di arrivare da questo mondo operaio e proletario e nel film ho cercato di entrarci con rispetto, documentandomi per anni. Ho voluto girarlo nella provincia in cui sono nato (Olginate, Lecco) anche per raccontare questa comunità meravigliosa fatta di grandi lavoratori e ho voluto circondarmi di quella onestà che poteva dare forza e credibilità al film.

Antonio perde il sonno, quando capisce di essere stato tradito, si sente umiliato e pieno di vergogna. La mia non è un’invenzione cinematografica, è la storia vera che è capitata a migliaia di persone, per questo l’abbiamo realizzata con estrema attenzione e lavorando quasi due anni.

 

È una storia comunque universale, che poteva essere ambientata ovunque.

Assolutamente si, potevo girarla a Taormina come a Messina, Campobasso o Cagliari. Ho semplicemente scelto di girarlo dove sono nato perché volevo circondarmi di persone che conosco e di una comunità che conosco, per sentirmi protetto in un argomento così delicato.

Non è la prima volta che cambi cifra e stile, lo hai dimostrato in più di un’occasione, in vari film e nei tuoi spettacoli teatrali. Detto questo, avevi paura in qualche modo di esporti in qualcosa di molto diverso rispetto a come è comunque abituato a vederti il pubblico?

Io proteggo con amore e orgoglio tutte le mie “maschere” comiche che mi hanno fatto conoscere al pubblico e naturalmente quando ho iniziato a lavorare a questo film mi sono chiesto se stavo facendo la scelta giusta. Credo però che alla base di ogni scelta ci debba essere l’impegno nel lavoro. Devi lavorare, studiare e cercare di impegnarti in ogni cosa che fai. A livello recitativo poi io credo che sia giusto cambiare, perché noi abbiamo uno strumento meraviglioso che è il nostro corpo ed è bello cambiare ritmo, sorprendere gli altri e io da spettatore amo quegli attori e quei registi che mi sorprendono. Di conseguenza io stesso voglio sorprendere chi mi segue perché vuol dire dare una dimostrazione sana e chiara di lavoro. Consideriamo anche il fatto che secondo me un film come Qualunquemente è una delle cose più drammatiche che io abbia mai fatto… dipende da quale punto di vista lo vuoi vedere. Nel corso della mia carriera ho lavorato con Pupi Avati, Soldini, Archibugi, Mazzacurati e ho imparato qualcosa da tutti loro. Il mio prossimo film sarà una commedia, quindi insomma è bello poter cambiare per poter crescere. Io sono quotidianamente alla ricerca di qualcosa che mi faccia crescere e non mi faccia annoiare ma che soprattutto non annoi il pubblico che per me è una divinità.

 

Perché hai intitolato il film Cento Domeniche?

Cento Domeniche è il nome della casa di un amico di mio padre perché l’ha costruita lavorando per cento domeniche, due anni di lavoro, il sabato e la domenica.

È un titolo molto importante che racconta di gente che ha lavorato veramente, che ha sostenuto questo Paese e non è gente capricciosa è gente vera che da qualche decennio a questa parte è stata dimenticata.

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