Il racconto del Locarno Film Festival 2023

Cinema

di Federico Buffa e Michele Pettene

©Locarno Film Festival- Ti press Foto: Sina Ataeian Dena - Film Producer di Mantagheye bohrani (Critical Zone) di Ali Ahmadzadeh

Federico Buffa e Michele Pettene ci raccontano i film, le tendenze e le emozioni che hanno caratterizzato il 76esimo Festival di Locarno

È calato definitivamente Sabato 12 Agosto il sipario – leopardato – sul 76esimo Festival di Locarno dopo una undici giorni cinematografica che, oltre alla solita girandola multiculturale di film, ha ribadito con forza il ruolo e l’importanza nel panorama internazionale di uno dei festival cinematografici più antichi del mondo. Nell’ultima edizione con il presidente Marco Solari al timone e nella terza consecutiva con a capo il direttore artistico Giona Antonio Nazzaro Locarno ha sfoderato numeri da capogiro, unendo alla consueta offerta dei migliori interpreti – veterani o esordienti - del cinema indipendente mondiale eventi, sezioni e retrospettive (quest’anno è toccato al Messico) che, a partire dal famoso schermo di Piazza Grande, non hanno deluso nessun tipo di spettatore.

I NUMERI DI LOCARNO 76

Sono stati quasi 150mila i biglietti strappati – di cui 60mila solo per Piazza Grande – durante il festival, un aumento del 14,3% rispetto alla precedente edizione che conferma la virtuosa ripresa post-pandemia e testimonia l’importanza di Locarno per la Svizzera e per il mondo della Settima Arte. Uno status di prestigio internazionale avvalorato dalla presenza di 214 film e di 4.639 addetti ai lavori da tutto il globo, di cui 1.530 rappresentanti dell’industry e 783 accreditati tra giornalisti e fotografi. Una gioiosa ondata di appassionati e professionisti che, unita ai 105.000 partecipanti agli eventi serali organizzati alla Rotonda by Mobiliare, fanno del festival di Locarno un aggregatore sempre più formidabile e una tappa ormai imprescindibile per chiunque ami e viva di Cinema.

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PERSIA-1: IL CORAGGIO DEI PARDI DORATI

Mai banale, coraggiosa, simbolica. La selezione dei film proposta da quando Nazzaro ha raccolto il testimone di Carlo Chatrian – ora alla Berlinale – continua a riflettersi nel suo premio più prestigioso che, dopo l’indonesiano “Vengeance Is Mine, All Others Pay Cash” (2021) e il brasiliano “Rule 34” (2022), aggiunge alla sua lista l’iraniano “Critical Zone”, il terzo film del regista dissidente Ali Ahmadzadeh. Un Pardo d’Oro meritato per un’opera girata illegalmente nelle notti di Teheran, tra le “consegne” di hashish e marijuana (anche a dei malati di Alzheimer) del protagonista alle rabbiose urla di una giovane hostess nella scena clou: una dolorosa denuncia della violazione dei diritti umani più basilari da parte di un regista innovativo, assente a Locarno a causa del divieto di uscire dall’Iran imposto dal regime.

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PERSIA-2: ZAR

"I film girati fuori dal Paese, compresi i miei, sono visibili in Iran più o meno due mesi dopo la loro uscita internazionale. Le attrici iraniane si passano il testimone: io sono stata ispirata e spero d'essere d'ispirazione." Elegantissima nel suo essere minuta, con grandi mani e un volto di rara espressività, Zar Amir Ebrahimi ha dominato il festival: membro della giuria, reduce da “Holy Spider” e sulla strada per “Tatami” (debutterà a Venezia), Zar era in Piazza Grande con “Shayda” di Noora Niasari che già aveva incantato al Sundance. Persiana all'estero – così come l’attrice auto-esiliata in Francia – e rifugiata in un centro d'accoglienza per donne maltrattate, Shayda sopravvive con dignità in una Melbourne invisibile e lontana dal cuore. Con lei cresce Mona, in un dialogo madre-figlia di grande sensibilità che cela il racconto della vera storia della madre della regista, Shayda appunto, consulente per il film su un set di sole donne. La rivoluzione continua...

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UN SEGRETO DA PREMIO NOBEL

“Guardians of the Formula”, la co-produzione balcanica vincitrice del prestigioso “Variety Piazza Grande”, è stato forse il film più gradito dell’intera kermesse svizzera, una storia incredibile ma realmente accaduta capace di tenere col fiato sospeso gli 8mila della piazza locarnese. Durante la guerra fredda il piano nucleare segreto della Jugoslavia di Tito viene messo a repentaglio da un incidente al reattore che contamina il suo team di scienziati; spediti a Parigi, saranno curati dal geniale e pacifista professor Mathé che, per la prima volta nella storia, effettuerà il primo trapianto di midollo osseo su un essere umano. Un traguardo scientifico enorme che non gli varrà però il Premio Nobel a causa della segretezza di tutta l’operazione. Un’opera intensa, girata meravigliosamente dall’attore serbo di culto Dragan Bjelogrlic, con governi e ideologie contrapposti all’amore per la Scienza e all’empatia umana, trasversali a qualsiasi divisione politica, etnica e geografica.

JUDE(ZIO) UNIVERSALE

Dopo aver vinto a Berlino con “Sesso Sfortunato o Follie Porno” il regista rumeno si è presentato a Locarno con il suo ultimo capolavoro “Do Not Expect Too Much of the End of the World” che gli è valso il Premio Speciale della Giuria. La fine del mondo - evocata dal titolo - di uno dei più brillanti cineasti europei non somiglia per nulla a quella dipinta da Michelangelo nella Cappella Sistina: l’umanità, secondo il Giudizio Universale di Jude, si è avviata inesorabile verso baratri sempre più grotteschi, sotterrata da egoismo, ignoranza, capitalismo, social media, povertà. Il suo documentario-fiume (quasi 3 ore) è una satira disperata sui resti ormai miseri della società dello spettacolo, fatta di multinazionali senza scrupoli, lavoratrici sfruttate e poveracci disposti a tutto pur di racimolare qualche soldo in più; a fare da contraltare ci sono i scintillanti flash di un film propagandista del 1981 ambientato nella Romania comunista di Ceausescu, non per affermare che si stava meglio quando si stava peggio – sentimento comune nella Romania attuale – ma che, forse, non si è mai stati bene. Tantissime le scene di culto, scegliamo la conclusiva con l’invalido ostaggio dei videoclip di Bob Dylan.

GLI ITALIANI DI LOCARNO

Molto eterogenea eppure ancora una volta sotto le aspettative è stata la partecipazione italiana: in Piazza Grande l’Otello in salsa romana (“Non Sono Quello che Sono”) della star Edoardo Leo sia regista che protagonista non ha aggiunto molto al dramma di William Shakespeare, così come “La Bella Estate” di Laura Luchetti (un coming-of-age che poteva sfruttare meglio il periodo fascista in cui è ambientata la storia); maggior curiosità ha sollevato il Concorso Internazionale con “Patagonia”, l’esordio di un “giovane” di sicuro talento come Simone Bozzelli - nonostante la trama già vista - in cui l’ingenuo Yuri s’innamora di un animatore di feste anarchico e manipolatore, e “Rossosperanza” di Annarita Zambrano, critica (con qualche incertezza) della società patriarcale degli Anni 90. Anche includendo l’esordio horror in una Napoli decadente del figlio d’arte Brando de Sica (“Mimì il Guardiano Delle Tenebre”) un’edizione fragile per i nostri colori.

NEUTRALE È FEMMINILE

Nella prima edizione “gender neutral” del festival (eliminati maschile e femminile per le migliori interpretazioni) a trionfare sono state soprattutto le donne, premiate in lungo e in largo in tutte le sezioni: tra la regia equilibrata e abile nello scandagliare l’animo umano dell’ucraina Maryna Vroda (“Stepne”) e i premi alle migliori performance del Concorso Internazionale consegnate a due magnifiche attrici dirette da registe dinamiche e con idee originali (“Animal” e “Sweet Dreams”), a sorprendere maggiormente è stato “Excursion” (Menzione Speciale nei Cineasti del Presente), l’esordio della bosniaca Una Gunjak e della sua giovane protagonista Asja Zara Lagumdzija, in un potente e schietto coming-of-age nelle scuole e nei sobborghi della Sarajevo di oggi dedicato per stessa ammissione della regista ai giovani bosniaci, una “generazione senza futuro ma che vuole comunque provare ad esistere”.

VITE DA SEGUIRE

In un’edizione dove il drammatico presente e il futuro incerto hanno fatto sentire tutta la loro pesantezza in molte delle opere dei cineasti più giovani è toccato al genere documentario offrire una visione meno cupa della vita e sul come affrontarla: “This Kind of Hope” di Pawel Siczek ha mostrato la resilienza e la tenacia del diplomatico bielorusso Andrei Sannikov, auto-esiliato per sfuggire alle torture del regime di Aleksandr Lukasenko ma ancora disposto a lottare per la sua famiglia e il suo Paese; “Lovano Supreme” di Franco Maresco ha raccontato il talento, la passione per il jazz e la spiritualità di uno dei più grandi sassofonisti viventi, Joe Lovano, durante un concerto nella terra dei suoi avi a Palermo; “Ricardo and Painting” di Barbet Schroeder ha insegnato qualcosa di nuovo e prezioso sull’Arte seguendo il pittore argentino Ricardo Cavallo tra grotte marine e dipinti mozzafiato; “Antarctica Calling” ha ispirato con le sue strepitose immagini del Polo Sud e il commento poetico del regista Luc Jacquet, auspicando una riappacificazione dell’umanità con Madre Natura prima che sia troppo tardi. Un concetto espresso anche durante la premiazione di Jacquet in Piazza Grande, “celebrata” pure con due attivisti di “Act Now” saliti sul palco per provocare sul climate change ma rimasti spiazzati dall’accoglienza a braccia aperte di Nazzaro e dello stesso regista. Locarno continua ad essere differente.

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