I delitti del BarLume, la recensione della terza storia "E allora zumba!".VIDEO

Cinema sky cinema

di Alessio Accardo

Le amatissime commedie a tinte gialle de I delitti del BarLume, la produzione Sky Original (Sky Studios) coprodotta con Palomar, Festeggiano il decennale e tornano in esclusiva su Sky Cinema con tre nuove storie, liberamente ispirate al mondo della serie “I delitti del BarLume” di Marco Malvaldi

Il Barlume è come Sanremo: nessuno lo menzionerebbe durante una cena alla page per non sembrare provinciale (meglio fingere di seguire The Last of Us, Copenhagen Cowboy o Call My Agent, fa più cool) però lo guardano tutti. È molto di più di un “guilty pleasure”: è un appuntamento fisso di visione che prosegue ormai da dieci anni e che quest’anno quasi raddoppia: le storie sono tre invece di due e la terza, E allora zumba!, è diretta per la prima volta da una donna: Milena Cocozza.

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Credito foto Paolo Ciriello

Su un canovaccio risaputo e perciò rassicurante, che miscela in modo originale e persino ardito, le trame mistery alla Ellery Queen con le atmosfere strapaesane in stile “vernacoliere”, si innestano tuttavia elementi spuri ed eclatanti: come il subplot LGBT che vede coinvolta la Fusco e la sua torrida relazione omosessuale, sciorinata in patinati flash lesbo-chic. D’altro canto, agli antipodi, sopravvive la sottotrama “family” che riguarda il Beppe Battaglia di Stefano Fresi, divenuto padre ansiosissimo, fino alla paranoia, della secondogenita della Tizi: la piccola Marina. Però, dato che anche gli affari più ordinari e prosaici a Pineta sono sempre connotati da qualcosa di umoristicamente stridente, la allegra neo-famigliola è due volte “allargata”: ha in seno il piccolo Ampelino, frutto come ricorderete di un precedente connubio con Massimo; ed è ospite del pedante Pasquali, nel frattempo divenuto zelantissimo sindaco.

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L’assicuratore veneto, ormai primo cittadino di Pineta, vuole introdurre una versione rigorosissima della raccolta differenziata basata sulla presenza di 16 bidoni dell’immondizia, con l’intenzione di seguire il modello di una cittadina finlandese in cui si fa molto virtuosamente il 99,7% di riciclata! E il fatto non è irrilevante perché, nel delitto del giorno c’entrano probabilmente anche certi operatori ecologici…

Più di tanto non diremo, per ovvi motivi; basti sapere che in questo episodio si succedono diverse sottotrame, mentre si intrecciano come di consueto i siparietti comedy e le tensioni mistery. Abbiamo un istruttore colombiano che impartisce lezioni di zumba alla meglio terza età della cittadina balneare; Beppe Battaglia assediato dalle paure tipiche del novello papà, elevate a ennesima potenza paranoica; Massimo Viviani irretito da una donna tanto sbadata quanto focosa e la Fusco distratta dalle pene d’amore perdute.

Come si sa, dopo dieci anni, sono tutti espedienti per fare risuonare le corde diversissime della comicità dei suoi interpreti, ognuno espressione di una cifra singolare, dal cui mix nasce il cocktail unico di questo bizzarro progetto inimitabile

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Sì perché uno degli atout di questa serie, e della sua sana longevità, è probabilmente la commistione, sulla carta impossibile, dei registri comici dei suoi interpreti, che riesce ad accontentare il gusto dei palati più diversi: la goffaggine maldestra di Massimo, che poggia però sulle spalle robuste di un attore teatrale molto stimato come Filippo Timi; la romanesca bonarietà del Beppe di Stefano Fresi, che è uno degli attori più gettonati dello star system nostrano (solo nel 2022 ha preso parte a ben 6 film!); l’antica ironia fiorentina di Alessandro Benvenuti, che reca in sé la tradizione del cabaret anni ’70 dei “Giancattivi”; l’irresistibile slang veneto inventato da Corrado Guzzanti, che ha di recente deciso di rimettersi in gioco scollegandosi in parte dalle maschere satiriche della sua precedente fase televisiva (in queste settimane è presente in due serie molto trendy, oltre a questa, come Sono Lillo e Call my agent – Italia).

E ancora: il ministro degli interni Tassone (forse ispirato all’onorevole Razzi, per la sua scarsa familiarità con la grammatica) interpretato da Michele Di Mauro, il quale esattamente come il romano Guzzanti si disimpegna più che egregiamente recitando in un dialetto non suo: è di Torino ma si esprime in un credibilissimo ancorché caricaturale siciliano di Enna. Oppure il barman Marchino interpretato da Paolo Cioni, che assomiglia maledettamente a un altro famoso Cioni: Mario, il personaggio surreale col quale emerse il genio di Roberto Benigni a metà degli anni ’70. Per tacere dei tre vecchini, i “bimbi”, che sono forse quelli che conservano maggiormente il retaggio dei libri di Malvaldi da dove tutto ebbe inizio.

Credito foto Paolo Ciriello

E poi ci sono le new entry che consentono di aggiungere nuove spezie a una ricetta collaudata, come la Bettina (vista già in Indovina chi?), affidata all’efficacissimo estro macchiettistico di Jerryann Desaya Johara Liguori, capace di regalare finalmente una vita sessuale a Massimo dopo anni di mal sopportata astinenza. E la “revenant” Barbara Enrichi, che aveva furoreggiato nel cinema di commedia degli anni ’90 di Pieraccioni e dintorni, e che ritorna oggi con caschetto biondo in un ruolo tutt’altro che secondario.

Insomma, la solita buffa elegia dell’aria serena della provincia italiana (toscana, meglio: pisana, con qualche significativa influenza livornese), in cui vi è una parossistica superfetazione di delitti in rapporto alla sua minuscola superficie; ma sono fattacci iperrealistici che dopotutto non fanno male, un po’ come le cadute di Willy il Coyote nei cartoon Looney Tunes.

Perché questo è chiaro, no? Chi volesse trovare la verosimiglianza la cercherebbe invano qui. Nel Barlume c’è altro: un po’ di brividi all’acqua di rose e tanta garrula bonomia, un pizzico di giallo e quel che resta della commedia all’italiana. E in questa puntata, a dire della congerie eterogenea di stili e di ispirazioni, c’è pure un numero rap, neanche fossimo in un musical americano. Non solo: in una sequenza da standing ovation in cui brilla il genio comico della coppia Guzzanti-Fresi, viene persino rappresentata la condizione di paranoia che in determinate situazioni assale il consumatore di tetraidrocannabinolo (il principio attivo della cannabis)! 

C’è tutto questo e anche di più dentro al Barlume. Ecco perché ci si ritorna sempre volentieri, da dieci anni a questa parte; per appassionarsi dei suoi lambiccati casi di cronaca nera, raccontati con la stessa enfasi spudorata di un titolo del “Tirreno”; e per sorridere dell’inadeguatezza dei suoi personaggetti, che è poi in fondo in fondo tanto simile alla nostra.

Ah, non spengete (come direbbero a Pineta) il televisore sui titoli di coda; rischiereste di perdervi la sigla composta ed eseguita dai Gatti Mézzi, Il Viviani del BarLume, uno swingaccio al cacciucco bellissimo, anzi: ganzissimo.

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