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Mondocane, la recensione del film con Alessandro Borghi in prima tv su Sky

Cinema sky cinema

Alessio Accardo

Presentato in anteprima al Festival di Venezia 2021, un racconto di formazione ambientato in una Taranto post-apocalittica. Questa sera in prima tv su Sky Cinema Due

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Scritto e diretto dal trentacinquenne Alessandro Celli, al suo esordio nel lungometraggio cinematografico dopo un’importante gavetta televisiva e una serie di premiatissimi corti, Mondocane fa parte di un progetto perseguito da tempo dalla “Groenlandia”, casa di produzione fondata nel 2014 dai registi e produttori Matteo Rovere e Sydney Sibilia, che sta provando a svecchiare modalità produttive oltre che stili, generi e filoni del cinema italiano. Basti pensare a Il primo Re, opera rischiosissima diretta dallo stesso Rovere e interpretata proprio dal protagonista di Mondocane, Alessandro Borghi, che racconta le origini di Roma utilizzando una recitazione in protolatino, bissata dalla serie omologa Romulus andata in onda su Sky nel 2020; oppure al trittico diretto da Sydney Sibilla, Smetto quando voglio e relativi sequel, che è tutto pensato sul ricalco del cinema action statunitense. L’obiettivo dei due fondatori è sostanzialmente quello di riadattare i codici di “genere”, di derivazione prevalentemente statunitense, nel contesto del cinema nostrano.

Nella fattispecie, è la volta di uno dei sottogeneri più prolifici della cinematografica contemporanea: il filone “distopico-post-apocalittico” (variante peculiare del genere “catastrofico” o “disaster-movie” che dir si voglia), che in tempi recenti ha iniziato a dare dei buoni frutti anche da noi. Si pensi ad esempio alla serie Anna, scritta e diretta da Niccolò Ammanniti, oppure a La terra dei figli, diretto da Claudio Cupellini sulla base del graphic-novel omonimo di Gipi. Un filone d’importazione che trasla sul territorio di casa nostra echi e suggestioni di tanto cinema americano visto e assimilato, da The day after a The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo, da La guerra dei mondi di Steven Spielberg a World War Z con Brad Pitt, dalla saga su Mad Max a Waterworld, dal recente Greenland con Gerard Butler a Snowpiercer (film e serie) di Bong Joon-ho. Opere che da noi assumono talvolta, come in questo caso, trame sottilmente politiche.

La storia è infatti ambientata in una Taranto nelle quale, su scenari alla Carpenter, si svolge un racconto che prende le mosse da uno dei casi di cronaca più drammatici della nostra storia recente, la tragedia ambientale e sanitaria dell’Ilva di Taranto che ha avvelenato la provincia pugliese con una coda di morti e di scandali politici macroscopici. “Ero un bambino quando c’è stata la grande evacuazione.” Si dice a un certo punto nel film. “In una settimana hanno cacciato la gente e hanno chiuso Taranto. L’acciaieria faceva morire le persone, ma l’acciaio non si poteva toccare. le persone sì”. Città di Taranto che nel film di Celli è raccontata realisticamente (l’acciaieria è la location della lunga drammatica sequenza finale), con precisa fedeltà topografica, dal rione Tamburi alla Cittadella, quasi un correlato oggettivo delle storture sociali che l’hanno deturpata; descritta esattamente nella sua raggelante geografia industriale, che si fa però scenario sordo di un racconto action straniante. 

IL NEOREALISMO DEL TERZO MILLENNIO: IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI

E così, fatte le debite proporzioni, e giocando un po’ con le parole, potremmo coniare per Mondocane un nuovo genere: “neorealismo 2.0”, un neo-genere sospeso tra il naturalismo “politico” dell’assunto di base e l’iperrealismo allucinato del decor dei modelli di riferimento. Forzando un po’ la mano, possiamo spingerci a dire che cosi come il cinema dei De Sica, Rossellini e Visconti indagava la contemporaneità del secondo dopoguerra, questo lo fa coi tempi presenti, in uno stile tuttavia volutamente survoltato e dichiaratamente citazionista, anche se non si tratta mai di un citazionismo pedissequo. È piuttosto evidente, invece, il tentativo di produrre un universo iconografico originale che, pur partendo da un materiale immaginario derivativo, tenta di elaborare una sua unicità, nel suo costante dialogo colla drammatica realtà di quel territorio. Una sorta di crossover postmoderno nel quale trova spazio anche la cultura cyber-punk, con rimandi evidenti all’immaginario fumettistico stile Ranxerox, in cui il quoziente ludico delle allusioni cartoonesche viene ibridato dalla tragedia sociale. Della scuola neorealista il film richiama anche l’uso del dialetto, che qui è ovviamente il pugliese tarantino

Nel pieno rispetto della tradizione neorealista, appena evocata con un filo di audacia, anche qui sono due ragazzini i protagonisti di un film che da questo punto di vista è anche leggibile come un “romanzo di formazione”. Proprio come i due giovani protagonisti di Sciuscià di Vittorio De Sica, i personaggi principali di Mondocane, Pietro e Christian, sopravvivono in un mondo devastato e grigio, circondato di macerie materiali e morali. Due orfani di 13 anni tratteggiati sul modello dei ragazzi di vita pasoliniani, dei “meninos de rua” delle favelas brasiliane, dei figli della violenza dell’omonimo film di Luis Bunuel; oppure – per restare a un immaginario filmico e letterario più recente – sulla falsariga dei bambini delle paranze camorriste descritte da Roberto Saviano (e non solo) proprio ne La paranza dei bambini, diventato poi un film diretto da Claudio Giovannesi. Piccoli killer capaci di trasferirsi, con scioccante nonchalance, dal tempo del gioco a quello della morte.

Il loro scopo è entrare a far parte di una gang di ragazzini chiamati “Le Formiche”, uno dei tanti eserciti criminali che si danno battaglia per il controllo del territorio dentro le recinsioni di quella città fantasma esclusa dal resto del mondo. Un mondo ferino e brutale ambientato nel futuro prossimo, fatto di scontri tribali tra gruppi che rubano e uccidono spietatamente senza curarsi nemmeno dei legami di amicizia e di sangue; famiglie senza padri né madri, ragazzi randagi e rivalità sociali. Una guerra metropolitana postmoderna che riecheggia I guerrieri della notte di Walter Hill; un gioco di bande di minorenni che fa pensare al Il signore delle mosche libro (del Premio Nobel William Golding,) e film (del maestro del teatro contemporaneo Peter Brook), in cui si immaginava un futuro distopico post-atomico che allora era stato individuato nell’avveniristico e orwelliano 1984.

Proprio al soprannome meritato da uno dei due giovani protagonisti, Mondocane, si deve il titolo del film, che non deve dunque essere confuso col quasi omonimo titolo (Mondo cane) della pellicola girata nel 1960-61 dal giornalista e poi regista Gualtiero Jacopetti; il celeberrimo documentario scandalistico realizzato usando gli scarti di Europa di notte di Alessandro Basetti, che diede la stura a un vero e proprio filone (i “Mondo-movies”), connotato dall’uso costante di immagini feroci sugli usi e costumi più esotici e crudeli scovati in giro per il mondo, e commentate da un voice-over cinico e secondo alcuni amorale. Niente di tutto ciò, qui “Mondocane”, tutto rigorosamente attaccato, è il nickname che si merita Pietro, capace di affrontare e superare con successo le prove più dure per entrare nella bada delle Formiche, mentre il suo giovane sodale, Christian, per la ragione uguale e contraria è deriso e schernito e soprannominato Pisciasotto. E, in definitiva, è proprio nella loro interazione che risiede l’anima più tenera e terribile di un film che ci parla di legami fraterni e di tradimenti; di affinità, divergenze e ribaltamenti. Delle radici della violenza e delle ragioni del perdono. 

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ALESSANDRO BORGHI IS ON FIRE

Il leader delle Formiche è il temibile Testacalda, che pare ricalcato sulla falsariga del Fagin di Oliver Twist, ma con un carisma insano che fa pensare al colonnello Kurtz di Apocalypse Now. Singolare figura di villain nostrano, Testacalda è connotato da un’acconciatura da mohicano e da un paio di baffoni a metà tra Magnum P.I.  e Gengis Khan, e ha il volto di uno degli attori più attivi dei nostri tempi, il romano Alessandro Borghi.

Dopo un esordio da stuntman negli studi di Cinecittà, Borghi balza agli onori delle cronache cinematografiche grazie a due ruoli iconici interpretati nel 2015: Aureliano “Numero 8” Adami in Suburra di Stefano Sollima e Vittorio, uno dei due proletari di Non essere cattivo, il film testamento del compianto Claudio Caligari, in cui recitava accanto a un'altra strepitosa rising star dei nostri tempi come Luca Marinelli. Da allora ha spiccato il volo, Borghi, entrando a far parte dei cast di film tutti notevoli diretti da Sergio Catellitto, Matteo Rovere, Paolo Genovese e Ferzan Ozpatek, e rivelando una spiccata personalità e una discreta versatilità recitando – come già sottolineato - persino in protolatino ne Il primo re, e in inglese nella serie di Sky, Diavoli, di cui è in arrivo la seconda stagione.

Dall’altro lato della barricata, a difendere la legge, c’è Katia interpretata dalla romana Barbara Ronchi, volto intenso segnalatosi in Fai bei sogni di Marco Bellocchio, Padrenostro di Claudio Noce e Cosa sarà di Francesco Bruni. I due giovani protagonisti sono Dennis Protopapa e Giuliano Soprano, due facce da neorealismo al loro debutto. Accanto a loro, Ludovica Nasti, diventata famosa grazie al ruolo di Lila nella prima stagione de L’amica geniale.

Da sottolineare il lavoro sui costumi di Andrea Cavalletto, già allievo di Pietro Tosi e Maurizio Millenotti, e vincitore dei Nastri d’argento 2021 per Il cattivo poeta,

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