La scelta di Anne, Audrey Diwan: "Credo nell'arte come gesto politico"

Cinema

Bruno Ployer

Arriva nei cinema il vincitore del Leone d’oro a Venezia, la storia di una ragazza degli anni ’60 che sceglie l’aborto clandestino pur di non rinunciare allo studio e tornare nel mondo che vuole mettersi alle spalle. L'intervista a regista e protagonista

Una giovane donna abortisce clandestinamente perché essere madre alla sua età le avrebbe cambiato il destino, allontanandola di fatto dalla sua aspirazione di studiare all’università e riconsegnandola al suo ceto sociale di provenienza, semplice e senza orizzonti di miglioramento. È una vicenda ambientata in Francia sessant’anni fa, non di più. La vediamo nel film La scelta di Anne, che arriva il 4 novembre nelle sale preceduta dal trionfo all’ultima Mostra di Venezia (LO SPECIALE - TUTTI I PREMI), dove ha vinto il Leone d’oro. La fonte è il libro L’événement, di Annie Ernaux, che alla regista Audrey Diwan ha scritto: “Hai fatto un film giusto”.

Carica drammatica ed empatica fortissima

La storia ha una carica drammatica ed empatica fortissima, senza bisogno di accenti di recitazione e di regia e infatti la rappresentazione cinematografica è molto chiara, mai enfatica, eppure toglie il fiato in certi momenti. In poco più di un’ora e mezza seguiamo Anne, studentessa capace e ragazza determinata a scoprire la vita nell’impegno e nel desiderio. La vediamo ballare, studiare, intendersi a fatica con i familiari. Quando scopre di essere rimasta incinta tutto cambia per lei: come conseguenza della sua scelta di libertà assoluta amicizie e società la lasceranno sola. Abortire era illegale e deprecato in quegli anni ’60 e interrompere la gravidanza significava consegnarsi alle pericolose pratiche clandestine, rischiando di finire in prigione o addirittura morire per l’intervento.

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Signora Diwan, perché ha sentito il bisogno di fare un film sul dramma dell’aborto?
AD: Quando ho abortito ho avuto voglia di leggere qualcosa sull’argomento e un’amica mi ha consigliato il libro di Annie Ernaux, che tra l’altro era l’unico che non avevo letto di lei, appunto L’événement. Sono rimasta assolutamente scioccata quando mi sono resa conto della differenza tra cosa avevo immaginato che potesse essere un aborto clandestino e la realtà che viene invece dipinta nel libro. Mi sono resa conto dell’enorme fortuna che ho avuto nel poter usufruire dell’assistenza medica e non dover ricorrere ai ferri da calza.

Possiamo dire che c’è un risvolto politico in questo film?
AD: Io credo nell’arte come gesto politico, l’arte che riesce ad arrivare alla commistione tra la creazione e il rimanere legati agli aspetti sociali. Il libro presenta il personaggio di Anne che cerca di sfuggire alla sua classe sociale basandosi sull’intelligenza e sugli studi. Sono cose che mi toccano e mi danno la voglia di creare.

Roberto Cicutto (Presidente of Biennale), Alberto Barbera (Mostra’s chairman) walking the red carpet for the closing ceremony of the 78th Venice International Film Festival on September 11, 2021 in Venice, Italy. Photo by Marco Piovanotto/ABACAPRESS.COM

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Anamaria Vartolomei è l’attrice franco-rumena cha ha dato vita cinematografica ad Anne, facendone un ritratto coinvolgente e commovente. Una interpretazione che lascia il segno nello spettatore.

Anamaria, come ha affrontato il viaggio umano di Anne?
AV: Leggendo il libro ho provato una grande collera. Anch’io come Audrey avevo scoperto da quelle pagine come potesse essere un aborto clandestino. Sono rimasta anch’io scioccata dalla differenza tra ciò che immaginavo e la realtà che viene presentata nel libro. Durante tutto il percorso di Anne con la sua solitudine, le violenze che subisce, il suo desiderio di libertà, ciò che mi ha nutrito è stato proprio questo senso di colera che ho provato.

Nel film Anne dice che ciò che la rende triste è la solitudine. In questo personaggio è più forte la solitudine o il dolore di perdere un figlio?
AD: Bisogna essere precisi perché perdere un bambino non è una espressione adeguata. Qui parliamo di un dolore, equivalente a quello della solitudine, che è quello di una donna che rischia la morte.

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Anamaria, lei ha pensato a una ragazza dei giorni nostri, oltre che a una ragazza degli anni ’60?
AV: Certamente ci ho pensato, perché il problema non è scomparso, esiste ancora oggi. Quello che ha subito Anne negli anni ’60 lo vivono oggi ragazze in Polonia o in Texas. Ho pensato che fosse assolutamente indispensabile rendere giustizia a questa ragazza e difenderla a tutti i costi.

Audrey Diwan, lei è stata premiata a Venezia da addetti ai lavori. Cosa si aspetta dalle reazioni del pubblico, ora che il film arriva nei cinema?
AD: Abbiamo già cominciato a fare proiezioni e sono stata felice di vedere che il pubblico ha capito il film esattamente come io avrei voluto che lo capisse. Ne coglie gli aspetti collegati al desiderio sessuale e a quello intellettuale di studiare. Il pubblico abbraccia il personaggio di Anne e le sue speranze in modo globale: questo accade sia per gli uomini che per le donne. Lo colgono allo stesso modo e questo mi rende molto felice.

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