"La terra dei figli" sotto le stelle di Taormina. La recensione del film

Cinema

Di Alessio Accardo

Arriva nelle sale dal 1° luglio , distribuito da O1  il film distopico diretto da Claudio Cupellini e tratto dall’omonimo romanzo a fumetti di Gipi. Nel cast, Valeria Golino e Valerio Mastandrea.

Ha un anima pop e mainstream il nuovo “Taormina film fest” diretto per la prima volta da tre firme di punta del giornalismo cinematografico italiano, Alessandra De Luca (“Ciak”), Federico Pontiggia (“Il Fatto quotidiano”) e Francesco Alò (“Il Messaggero”), che ha aperto i battenti lo scorso 27 giugno; con un cartellone snello ma pieno zeppo di titoli appetibili da un largo pubblico, a cominciare da Boys, film d’apertura diretto da Davide Ferrario che sembra la versione adulta e d’autore de La mia banda suona il pop di Fausto Brizzi. Un festival nazional-popolare, si direbbe, se la formula non fosse oramai un po’ abusata, vista la presenza di film battenti bandiera italiana, come Occhi blu, esordio dietro la macchina da presa dell’attrice Michela Cescon, che sbarca oggi in Sicilia, preceduto dalla sua protagonista femminile, Valeria Golino, che sull’isola ci era già da ieri per presentare un altro titolo importante della rassegna, La terra dei figli di Claudio Cupellini. Tutti film in uscita tra il 1° e l’8 luglio, a testimoniare di una ripartenza del cinema nostrano, mai tanto agognata.

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La terra dei figli trailer del film tratto dalla graphic novel di Gipi

C’era anche Cuppellini, il regista veneto,  già autore di Una vita tranquilla e di alcuni episodi di Gomorra – La serie - sul palco del Teatro Antico di Taormina a motivare le ragioni della circostanza per la quale anche in Italia è oggi possibile girare un film come questo, che è senz’altro possibile incasellare nella categoria del “film distopico”, filone finora appannaggio esclusivo del cinema americano.

Se, infatti, si racconta la storia de La terra dei figli, ovvero il rapporto tra un padre e un figlio in un mondo post-apocalittico dominato dalla violenza, viene subito in mente il romanzo di Cormak McCarthy The Road (La strada), poi divenuto un celebre film con Viggo Mortensen e Charlize Theron. Se si osservano i decor di paesaggi desertificati e di umanità alla deriva torna alla memoria la saga di Mad Max di George Miller, e in particolar modo l’ultimo episodio Mad Max: Fury Road con Tom Hardy.
 

E invece no, qui siamo in Italia, dove dunque un altro cinema è possibile.

gettyimages-Emmanuelle-Seigner

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Ce lo aveva già spiegato, pochissimo tempo fa, Niccolò Ammaniti, dirigendo la serie-tv targata Sky, Anna, tratta dal suo omonimo romanzo; progetto col quale il film di Cupellini ha più di un legame di parentela.

Anzitutto l’origine “letteraria”: la serie adattata da un libro scritto nel 2015, il film da una “graphic-novel” del fumettista Gipi del 2016 (dimostrando entrambi, lo scrittore romano e il disegnatore pisano delle incredibili doti di preveggenza, che costituiscono probabilmente gli aspetti più impressionanti di tutti questi lavori). Quindi lo stesso contesto: desolato e violento, fantascientifico si direbbe, se non fossimo ancora tutti coinvolti in una pandemia che secondo certi dati sarebbe la più grande ecatombe planetaria dopo il secondo conflitto mondiale. Infine, lì come qui, il legame di trasmissione tra un genitore morente e il protagonista adolescente, sottoforma di testimonianza scritta: un quaderno\diario contenente le istruzioni per sopravvivere in un mondo divenuto invivibile. E chissà che anche al film di Cupellini, che dura ben 120 minuti, non avrebbero giovato i tempi distesi e scadenzati dalla serialità.

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Questo in definitiva è I figli degli uomini: un romanzo di formazione livido e disperante; il racconto di un tragico passaggio del testimone in un mondo orrendo e ostile dominato dagli istinti primordiali dell’homo homini lupus. Una sorta di regressione allo “stato di natura in cui gli uomini, soggiogati dall’egoismo, si combattono l’un l’altro per sopravvivere”, per dirla col filosofo Thomas Hobbes.

La celebrazione del sacrificio paterno in nome dell’amore filiale, l’affermazione dell’importanza del ricordo e della memoria.

Interessante il cast. Il protagonista (che non ha un nome, è chiamato semplicemente “Il figlio”) ha il volto spigoloso del rapper romano Leon de la Vallée, fresco vincitore di  un Disco d’oro e che a proposito di fumetti, assomiglia a una versione giovanile del mitico Ranxerox; suo padre è l’attore teatrale Paolo Pierobon, visto ne Il capitale umano di Paolo Virzì ma anche nei panni di Berlusconi nella serie 1994. Uno degli antagonisti, Aringo, è interpretato da Fabrizio Ferracane, che è stato un impeccabile Pippo Calò de Il traditore di Marco Bellocchio.

E poi, in due camei molto significativi le star: Valeria Golino, “La strega”, costretta a indossare delle spessissime lenti a contatto per simulare una cecità vissuta “per davvero” dall’attrice durante le riprese del film; e Valerio Mastandrea, “Il boia”, autore e protagonista di un climax drammaturgico straziante e dirimente, che per ovvi motivi non staremo qui a svelare.

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