Nate Parker racconta il razzismo in "American Skin". INTERVISTA

Cinema

Denise Negri

Crudo, violento e necessario, il film di Nate Parker mostra quanta strada si debba ancora fare per ottenere uguaglianza sociale e razziale. "Qualche poliziotto è stato messo in prigione dopo l'attenzione mediatica attorno al caso Floyd ma questo non vuol dire che la "mia gente" stia meglio", dice il regista amico di Spike Lee. Ecco le sue parole in una lunga e appassionata intervista

E' la disperazione di un padre. Ed è la disperazione di un popolo.

Con lucido coraggio Nate Parker scrive, interpreta e dirige, con il supporto di Spike Lee, “American Skin”, pellicola Sky Original presentata alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2020, vincitrice del “Filming Italy Award” come miglior film nella sezione Sconfini e disponibile ora on demand.

Diseguaglianze sociali e razziali radicate nella società americana vissute attraverso la storia di disperazione di un padre in cerca di giustizia per il figlio quattordicenne ucciso da un poliziotto bianco.

Pellicola più attuale che mai a un anno di distanza dall'uccisione di George Floyd.

Ecco le parole del regista, Nate Parker

 

Che emozioni suscita il film?

Quando si pensa a questa storia che io presento nel film ci sono due lati della stessa medaglia. Da una parte c’è una sorta di comportamento universale che è l’idea per cui l’oppressore si dovrebbe mettere “nei panni” dell’oppresso per capire meglio il famoso “altro lato della medaglia”. Solo così riesci a capire cosa significa essere brutalizzati e terrorizzati e a volte (come in questo caso) uccisi per strada. Dall’altra parte della medaglia questa è una storia che fa riflettere perché racconto come possono reagire le persone quando non ne possono più, quando sono esasperate perché in piena soggiogazione.

 

Che cosa rappresenta per lei Spike Lee e quanto è stato importante il suo supporto?

Spike (Lee) non è solamente un amico è un fratello e una figura paterna.

E’ naturalmente anche un grande rivoluzionario e un artista che ha deciso di posizionarsi in mezzo a questo divario.

Lui ci parla di libertà e di liberazione in questo Paese. La sua è una posizione scomoda a molti.

Che cosa è il razzismo?

Lo definirei un sistema fatto di oppressione e di tanti piccoli gesti che hanno come scopo quello di far vedere la forza e la potenza di una persona che schiaccia l’altra. Questo si basa sul colore della pelle. La razza, se ci pensi, è un costrutto sociale utilizzato nel corso dei secoli solo per colonizzare i popoli, brutalizzarli e terrorizzarli.

 

Come lo si può combattere?

Credo ci siano diversi modi. Un modo ad esempio potrebbe essere quello di utilizzare tutti i mezzi che abbiamo per far conoscere questo sistema di oppressione.

In qualche modo è quello che fai anche tu, come giornalista, in questo momento. Questo film parla di un problema e sia io (come regista) sia tu (come giornalista) usiamo il nostro talento per far conoscere a più gente possibile questa situazione. Questo film è ovviamente una piccola testimonianza ma grazie a chi lo diffonde e lo mostra, possiamo sperare che il pubblico che lo guarderà inizierà a riflettere sulla situazione.

 

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Negli Stati Uniti, a un anno dalla morte di George Floyd, è cambiato qualcosa?

Guarda l’unica cosa che è cambiata è ciò che io chiamo “l’esposizione”.

 

Non so se ne sei a conoscenza ma ci sono state altre decine di uccisioni come quella di Floyd...

Quando noi ci mettiamo a parlare di razzismo o anche del modo di agire della polizia statunitense, beh i nomi che noi facciamo o i fatti sono sostanzialmente legati a dei video. Questo ci insegna molto certo, però il video in sé ci fa vedere solo la punta dell’iceberg.

Quindi quando parliamo di cambiamenti dobbiamo essere attenti e cauti.

Il cambiamento è qualcosa di molto potente ma può essere decisamente fuorviante. Faccio un esempio: il cambiamento può essere da 0 a 1, oppure da 1 milione a 1 milione e 1 e questi sono due tipi di cambiamenti diversi.

In breve: qualche poliziotto è stato condannato? Si.

Questo vuol dire che tutti noi stiamo meglio? No, non necessariamente.

 

Di che colore è la “pelle americana” del titolo del suo film (American Skin)?

Giro la domanda a te, non perché mi devi rispondere ma per risponderti io stesso con una domanda. Allora ti chiedo: “Di che colore è la pelle degli italiani? Dei francesi o ancora degli australiani?”. Quando proviamo a rispondere a questa domanda capiamo quanto “malato” sia il sistema e quanti pregiudizi abbiamo in testa e anche quanto razzismo c’è dentro di noi persino inconsapevolmente.

Tutto questo non è visibile ed è qualcosa di nascosto ma di reale.

Solitamente chi ha la pelle più scura, ovunque nel mondo, fa fatica a sentirsi uguale agli altri e a farsi trattare con gli stessi diritti degli altri.

Molto spesso mi sono trovato in situazioni in cui se qualcuno descriveva una persona americana per strada, dava per scontato che fosse un bianco.

La domanda giusta sarebbe “cosa vuol dire essere americano?”.

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Lei si sente un americano?

“Sì certo, mi sono guadagnato il diritto e non credo che potrebbe esistere un’America senza persone come me. Noi siamo l’America”.

 

SINOSSI "AMERICAN SKIN"

 

Lincoln Johnson, afroamericano veterano dell’Iraq, una sera viene fermato dalla polizia mentre sta guidando. A seguito di un battibecco, il poliziotto Mike Randall esplode un colpo che ferisce e uccide Kajani, il figlio 14enne di Johnson. Mentre il processo decide per l’innocenza del poliziotto e la città si infiamma tra colpevolisti e difensori, Johnson decide di agire per conto suo, alla ricerca della giustizia negata. 

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