Patty Jenkins firma un sequel spettacolare, giocoso e piacevolmente vintage. Un film adatto a tutti, disponibile anche su Sky Primafila
“Cosa resterà di questi anni Ottanta”, cantava Raf al Festival di Sanremo. Probabilmente Wonder Woman 1984, se in un paradosso temporale, in un multiuniverso, il film fosse stato davvero girato e distribuito nei favolosi Eighties. La pellicola con Gal Gadot è, infatti, il perfetto simulacro di come avremmo voluto fosse quel decennio, al netto delle giacche con le spalline e dei jeans a palloncino e i pantaloni a spalla.
Come Jac Schaeffer in Wandavision, Ryan Murphy in Hollywood, Shonda Rhimes in Bridgerton, Patty Jenkins, la regista del film, riscrive la storia. D’altronde il cinema, parimenti alla serie tv, interpreta la realtà e non si limita a fotocopiare il passato. Già Diana Prince risulta essere una figura unica nel mondo dei supereroi. Basti pensare al creatore del personaggio, lo psicologo, femminista William Moulton Marston e alle sue parole pronunciate nel 1941: "Il miglior rimedio per rivalorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di Superman e in più il fascino di una donna brava e bella.”
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L’idea vincente di questo sequel è giocare con l’ironia, attualizzare il mito con la sensibilità contemporanea, a partire dalla ricostruzione del mitico regno delle amazzoni. Nel prologo, assai adrenalinico e spettacolare, il mondo di Ippolita e Pentesilea si trasfigura in una sorta di survivor game, un gioco senza frontiere in cui l’importante è il rispetto delle regole. Bisognare imparare a perdere, perché solo chi cade può risorgere, e nessun vero eroe nasce dalle bugie.
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Vediamo, quindi correre l’amazzone bambina tra i suggestivi paesaggi di Themyscira per essere poi trasportati nella Whashington del 1984. Diana Prince consuma le sue giornate presso lo Smithsonian Institution. La talentuosa e bellissma Gal Gadot è un’elegante e un filo malinconica donna single. Tra un bicchiere di vino e un manufatto antico, Diana rimpiange il proprio perduto amore, il pilota Steve Trevor, e non vuole amare più nessuno. Talvolta torna a indossare il costume di Wonder Woman per arrestare criminali in centri commerciali, in un’epifania di neon, marsupi e tute di acetato.
Sarà l’arrivo della misteriosa Pietra dei sogni, suggellata da un’iscrizione in latino, a stravolgere l’esistenza di Miss Prince e dell’intera umanità. L’oggetto in questione è una sorta di Jinn, in grado di esaudire i desideri. Ma si sa, bisogna sempre stare attenti a ciò che si desidera.
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Un tronfio uomo d'affari in doppio petto, Maxwell Lord (Pedro Pascal) dall’ipertrofico ciuffo cotonato che rimanda a Donald Trump, e una rivale, Barbara Minerva (Kristen Wiig), invidiosa della bellezza e della sicumera di Diana. Già dalla scelta dei villain presenti in Wonder Woman 1984 si evince che il film strizza l’occhio sia al Superman di Richard Donner, sia al sequel di Richard Lester. Niente tinte fosche o spargimenti di sangue. La pellicola è un cinecomic pop e colorato, in cui i cattivi, come cantava Loredana Bertè, “così cattivi, poi non sono mai.”
L’elegia di una guerriera con i tacchi a spillo pronta a punire il maschio sciovinista e a svelare le trame di Dolos, il dio greco degli inganni. Indossando la “golden eagle armor” della mitica Asteria, Wonder Woman cambia i destini del mondo come in un’avventura di Flash Gordon. Piacevolmente vintage, l’opera è una schietta e sincera favola scandita da una epocale colonna sonora che spazia da Mozart ai Duran Duran, passando per i Frankie Goes to Hollywood. Insomma, un tuffo in un mondo felice e spensierato in cui tutto risulta più semplice e immediato, e i buoni sentimenti alla fine trionfano. Non a caso la sequenza dopo i titoli di coda offre ai nostalgici un preziosissimo cameo. Il passato, a volte, sa essere sorprendente.