L'8 settembre di cent'anni fa nasceva lo scrittore siciliano. Molti suoi romanzi sono stati protagonisti anche al cinema: da Il Giorno della Civetta a Todo Modo, da A ciascuno il suo a Porte aperte, vi raccontiamo il "Leonardo grande schermo"
Ha reso internazionali le trazzere assolate del centro Sud. Quelle strade-non strade sterrate che sono diventate la sua ragnatela sul mondo. Leonardo Sciascia (Sky Arte racconta Leonardo Sciascia, scrittore alieno 100 anni dopo) ha attraversato il suo tempo da intellettuale e da artista. Lo chiamavano maestro e lui si inorgogliva perché era maestro di scuola. Ha conosciuto il mondo, ma il mondo contadino fatto di piccoli gesti quotidiani, un piccolo mondo antico fogazzariano, lo ha vissuto nella sua Racalmuto. E' stato comunista, radicale e socialista, è stato un uomo di sinistra ma leale, lontano dai compromessi. Dalla finestra della sua casa in contrada Noce il suo sguardo andava oltre l'orizzonte umano e sociale. Dai suoi libri (La Sicilia, l'illuminismo, il potere: cento anni fa nasceva Leonardo Sciascia) sono stati tratti numerosi film, nella sua multiforme attività cuturale è stato anche sceneggiatore. Qui un po' di storia dei suoi film, ritratti di epoche differenti, documenti di un'altra Italia sotto forma di romanzo. A corruzione e omertà, topos onnipresenti della sua opera omnia, ha opposto trasparenza e verità. Letterarie e reali. Da vero maestro.
A CIASCUNO IL SUO (1967)
Ha scelto di fare il ficcanaso da subito Leonardo Sciascia. Questo è il primo film tratto da un suo romanzo e ha un cast, per l’epoca (era il 1967), straordinario. La regia è di Elio Petri e dirige, tra gli altri, Gian Maria Volonté, Irene Papas, Mario Scaccia, Gabriele Ferzetti e Salvo Randone. In concorso al 20mo Festival di Cannes conquista il premio per la migliore sceneggiatura mentre ai Nastri d’Argento del 1968 fa poker di premi vinti: regista del miglior film, migliore sceneggiatura, migliore attore protagonista con Volonté e non protagonista con Ferzetti. Siamo in Sicilia e durante una battuta di caccia viene ucciso il farmacista, accusato di essere l’amante di parecchie donne in paese. Per le forze dell’ordine non c’è dubbio, si tratta di delitto d’onore, è una questione passionale. Ma uno zelante professore indaga e scopre che la mano armata è della mafia. Prosegue a fare domande finché l'onorata società decide di eliminarlo.
UN CASO DI COSCIENZA (1970)
E’ l’onore del maschio in gioco in questa pellicola tratta dall’omonimo racconto contenuto nella raccolta Il mare colore del vino. Alla regia c’è Sergio Grimaldi e nel cast compaiono Lando Buzzanca, Nando Gazzolo, Dagmar Lassander, Antonella Lualdi e Turi Ferro. Le riprese vengono effettuate a Zafferana Etnea, per l’occasione diventata l’immaginifica Maddà. Salvatore Vaccagnino è un giovane avvocato che esercita la professione nella tentatrice Roma dove infatti ha un'amante. Tornando in Sicilia in treno legge su una rivista femminile una lettera, rigorosamente anonima, di una sua concittadina che rivela di aver tradito il marito con un parente alla lontana. L'avvocato, nonostante la sua situazione nella capitale, si sente sicuro della fedeltà della moglie. Questa (presunta) sicurezza lo spinge a commentare l’episodio con gli amici del circolo, che raccoglie il meglio della gente di Maddà. Tutti si sentono in dovere di indicare il sospetto cornuto dicendosi certi che non si tratta della propria moglie. Ma nel profondo dell’anima ognuno sospetta di ospitare l’adultera nel proprio talamo nuziale.
IL CONSIGLIO D'EGITTO (2002)
Siamo nel 2002 ma la storia narrata è settecentesca. Il protagonista della pellicola diretta da Emidio Greco è Silvio Orlando. E le musiche sono di Luis Bacalov. Il titolo corrisponde a quello del romanzo di Leonardo Sciascia. Nel dicembre del 1782 una violenta tempesta fa naufragare, sulle coste siciliane, la nave dell'ambasciatore del Marocco Abdallah Mohamed ben Olman. L'arrivo a Palermo dell'inatteso ospite crea ansie varie, a partire da quella linguistica perché nessuno mastica bene l’arabo e trovare un interprete non è facile. Si offre frate Giuseppe Vella, un maltese dai poveri natali che si sostenta interpretando i sogni nei quartieri popolari. Questo strano soggetto in realtà non parla l’arabo, però è maestoso nel mescolare il siciliano e il maltese. Quando l'ambasciatore riprende il suo itinerario, il frate valorizza la sua fama di interprete sostenendo che un manoscritto arabo sulla vita di Maometto, conservato a Palermo, sia un fondamentale testo storico-politico. Gli viene affidata la traduzione e lui se la inventa. La sua popolarità cresce a tal punto che diventa abate e con quella tonaca realizza la massima mistificazione possibile: riscrive quel testo e spinge verso l'abolizione di tutti i privilegi feudali.
IL GIORNO DELLA CIVETTA (1968)
E’ il film più celebre tratto da un romanzo dello scrittore di Racalmuto. E’ del 1968 ma ci porta nella Sicilia del 1961. Damiano Damiani dirige due immensi Franco Nero e Claudia Cardinale, affiancati, tra gli altri, da un superbo Lee J. Cobb. David di Donatello a entrambi i protagonisti e poi per la sceneggiatura; per il regista c’è la targa d’oro. All’uscita nelle sale fu vietato ai minori dei 18 anni e ancora oggi c’è chi sospetta che in quella commissione ci fosse qualcuno colluso con la mafia siciliana che lo avrebbe bollato come non gradito. Omertà e corruzione sono i due fattori trainanti, e disturbanti, del film. Un edile viene ucciso vicino a un casolare isolato dove vivono Rosa Nicolosi (Claudia Cardinale), il marito e la loro figlioletta. Un confidente dei carabinieri spiffera al capitano Bellodi (Franco Nero) che Rosa sa. La donna fa il nome di Zecchinetta, l'assassino, in cambio Bellodi le promette di cercare suo marito, misteriosamente scomparso. L’arresto di Zecchinetta irrita la mafia che cerca di depistare facendo circolare la voce di un delitto d’onore. Il secondo a finire in carcere è Don Mariano perché in casa ha il fucile dell’omicidio. Il finale? Don Mariano e Zecchinetta sono liberi e passeggiano tronfi per le vie del paese e Bellodi viene trasferito. Omertà e corruzione, appunto.
PORTE APERTE (1990)
Gianni Amelio ci accompagna, attraverso il romanzo di Leonardo Sciascia, nella stagione del ventennio quando si sosteneva che la pena di morte fosse una garanzia per gli italiani, il deterrente al furto, agli atteggiamenti malavitosi, la certezza di poter lasciare le case con le porte aperte. Sono protagonisti, tra gli altri, Gian Maria Volonté ed Ennio Fantastichini. Fa incetta di premi: quattro premi agli European Film Awards e altrettanti David di Donatello (tra cui miglior film e miglior attore protagonista); poi due nastri d’Argento, tre Globi d’Oro e due Ciak d’Oro. Siamo a Palermo negli anni Trenta: il giudice Vito Di Francesco vuole impedire la condanna a morte di Tommaso Scalìa, reo di avere assassinato il suo ex datore di lavoro, un ex collega e la moglie, con una pistola. Nonostante l’opposizione dell’imputato stesso che vuole essere fucilato, Di Francesco riesce a tramutare la pena in ergastolo. Le gerarchie non apprezzano tanta tenacia e Di Francesco viene trasferito in una pretura di provincia e vede stroncata la sua carriera. Scalìa invece vede esaudita la sua richiesta: viene fucilato.
UNA STORIA SEMPLICE (1991)
Che cast ha messo su Emidio Greco per questo film del 1991: tra gli altri Gian Maria Volontè, Ricky Tognazzi, Ennio Fantastichini, Massimo Dapporto, Massimo Ghini, Omero Antonutti, Gian Marco Tognazzi e Tony Sperandeo. E’ la vigilia di San Giuseppe quando il vetusto diplomatico Giorgio Roccella chiama la polizia di Monterosso perché nella propria villa isolata ha trovato qualcosa di strano. Il brigadiere è pronto ad andare a verificare ma il commissario, che con la testa è già alla festa in campagna del giorno dopo, gli dice di prendersela comoda. Quando, ed è l’indomani, il brigadiere e un agente vanno in villa, il proprietario è morto e accanto a lui ci sono una pistola Mauser e la scritta “ho trovato". Tutti ipotizzano il suicidio tranne il brigadiere e il professor Franzò, vecchio amico del defunto. Proprio Franzò racconta di telefonate allarmanti di Roccella e della sua impossibilità a raggiungerlo essendo sotto dialisi. Ma non finisce qui, la mano omicida torna a colpire: le vittime sono il capostazione e il manovale della stazione di Monterosso. Un rappresentante di medicinali diventa colui che può portare alla soluzione: qualcosa ha visto in quella stazione. Il commissario torna in villa (e qui c’è già un mistero) e scopre un interruttore nascosto. La mattina muore ucciso dal suo brigadiere e tutto viene archiviato come un incidente. Ma sarebbe troppo facile. Compare in scena l’inquietante figura di un prete della zona, padre Cricco che accende i dubbi del rappresentante di medicinali che stavolta, però, preferisce riprendere il viaggio. Altro luogo ma ancora omertà, tema classico della poetica sciasciana.
TODO MODO (1976)
Tra Ignazio di Loyola e la Democrazia Cristiana si colloca questo film di Elio Petri tratto dall’omonima opera di Sciascia. Il protagonista, Gian Maria Volontè, interpreta il presidente e la sua figura si rifà ad Aldo Moro, all’epoca da due anni Presidente del Consiglio. Nel cast ci sono anche Mariangela Melato (Globo d’Oro e Grolla d’Oro come miglior attrice) che è la moglie del Presidente M. e Marcello Mastroianni (stessi riconoscimenti) che è l’inquietante Don Gaetano, colui che in tre giorni deve purificare i notabili democristiani dalle loro malefatte. La colonna sonora in origine era stata affidata a Charles Mingus ma quello che propose, tra tante polemiche in quanto Petri si rifiutò di fargli vedere delle immagini, fu rifiutato. E si procedette con le composizioni di Olivier Messiaen. Il film fu accolto freddamente e criticato: il periodo politico e sociale dell’epoca (era il 1976 quado arrivò nelle sale cinematografiche), tra i germogli del compromesso storico e il terrorismo, non lo ha aiutato. In comune con questo periodo c’è una misteriosa epidemia che uccide molte persone. Forse per fuggirla, quasi “boccaccianamente”, si radunano in un albergo isolato capi politici, industriali, banchieri e dirigenti d'azienda che incarnano le tante burrascose anime della Democrazia Cristiana. La purificazione dai peccati avviene sotto la guida dell'infido Don Gaetano, un prete potente e corrotto, che guarda dall’alto tutti i presenti. La missione è rinnovare il partito per restare al potere. Il clima è teso, si litiga, ci si tradisce e la situazione degenera quando una serie di delitti elimina i personaggi di primo spicco del partito. Sequenza dopo sequenza emerge sempre più netta la figura del Presidente che cerca di mediare e accontentare tutti ma in realtà punta solo a rafforzare il suo potere.
UNA VITA VENDUTA (1976)
Con la regia di Aldo Florio e le musiche di Ennio Morricone andiamo nella guerra civile spagnola. Il film è tratto dal racconto l’Antimonio, dal nome della regione dove è ambientato, e in origine, doveva essere un romanzo. Rientra nella raccolta Gli Zii di Sicilia. Enrico Maria Salerno e Gerardo Amato sono i protagonisti nei panni rispettivamente di Luigi ventura e Michele Rizzuto. Durante la guerra civile in Spagna i soldati italiani Michele e Luigi si incontrano a Malaga: sono entrambi siciliani; il primo si è arruolato per sfuggire alla povertà e alla zolfatara, il secondo vuole andare in America e riunirsi alla sua famiglia. Gli accadimenti li cambiano nel profondo: Michele comprende gli orrori dello scontro fratricida mentre Luigi indossa il paraocchi e si fa collaborazionista.
CADAVERI ECCELLENTI (1976)
E’ stato presentato fuori concorso al 29mo Festival di Cannes questo film del 1976 che nasce dal racconto intitolato Il Contesto. Poi ha vinto il premio di miglior film e miglior regia ai David di Donatello del 1976. Protagonista è Lino Ventura (che non ha voluto essere doppiato) nei panni dell’ispettore Amerigo Rogas; nel cast anche Renato Salvatori, Max Von Sydow, Paolo Graziosi e Anna Proclemer. La regia è di Francesco Rosi che ci accompagna nella complessità degli anni Settanta, tra politica, terrorismo, omertà (eccola che torna) e idee di colpo di stato. In una indefinita regione del Sud Italia vengono uccisi alcuni magistrati. L’ispettore Rogas indaga negli ambienti mafiosi poi si focalizza su tre individui che i magistrati assassinati hanno ritenuto colpevoli ma poi sono risultati innocenti: il movente potrebbe essere la vendetta. Anche a Roma si uccide e si cercano i colpevoli negli ambienti di estrema sinistra. Ma l'ispettore inizia a sospettare che dietro a queste morti ci sia un piano ben preciso che coinvolge anche il suo capo, il capo della Polizia. E’ vicino alla verità e sa che c’è un killer pronto anche per lui. In un museo si incontra con segretario del Partito Comunista Italiano, vuole informarlo dei coinvolgimenti illustri in questo piano eversivo ma li attende la morte. Intervistato dal telegiornale il capo della polizia parla di omicidio/suicidio per mano di un esaurito Rogas. I dirigenti comunisti sanno che non è così ma tacciono per evitare guai peggiori, tra cui un possibile colpo di stato.