40 anni fa decollava L'Aereo più pazzo del mondo: segreti e curiosità di un film-cult

Cinema

Giuseppe Pastore

Il 30 ottobre 1980 usciva nei cinema italiani una delle pietre miliari della comicità demenziale: una cascata di gag e giochi di parole che lanciò Leslie Nielsen 

Il panico, l'incertezza, la paura sono purtroppo diventati nostri fedeli compagni di viaggio. Ma c'è sempre bisogno di riderne e allora niente di meglio di uno dei grandi classici della comicità demenziale americana, che sbarcava in Italia proprio 40 anni fa: il 30 ottobre 1980 usciva nei nostri cinema Airplane!, da noi più conosciuto come L'aereo più pazzo del mondo

Fu il primo film da registi del trio comunemente abbreviato in ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker) e composto da Jim Abrahams e dai fratelli David e Jerry Zucker. Tre anni prima avevano firmato la sceneggiatura di Ridere per ridere di John Landis e per il loro debutto dietro la cinepresa decisero di ispirarsi al floridissimo filone dei disaster movie ambientati sugli aerei, dilagato nel 1970 con Airport con Burt Lancaster e Dean Martin ma già inaugurato negli anni Cinquanta da Ora zero (la cui sceneggiatura questo film segue pedissequamente, chiaramente modificandola a fini comici).

La trama è quella classica di questo tipo di film: un aereo in avaria, passeggeri in pericolo, finché arriva l'eroe che fa atterrare e riporta tutti a casa sani e salvi. La carta vincente è il tono demenziale e dissacratorio, in maniera clamorosa per il cinema americano dell'epoca: i film del trio Zucker-Abrahams-Zucker (doveroso citare quantomeno il successivo Una pallottola spuntata), il ritmo infallibile e la costruzione sapiente di ogni minima gag, sono stati oggetto di studio per decine di registi comici in tutto il mondo. Per non parlare del casting, svolto dal trio cercando appositamente attori drammatici a cominciare dalla grande rivelazione, Leslie Nielsen, attore già 43enne impiegato fin lì con molta parsimonia soprattutto in ruoli minori. Zucker-Abrahams-Zucker intuirono un devastante potenziale comico dietro quel viso rassicurante e ordinario, da attore di telefilm per la famiglia, che dentro di sé sentiva di essere portato per la commedia. La parte del protagonista andò invece a Robert Hays, attore televisivo di medio livello che fu preferito addirittura a David Letterman, che si era sottoposto a provino. Un'altra delle proposte del trio, girare in bianco e nero come omaggio ai film anni Cinquanta a cominciare dal suddetto Ora zero, fu respinta dalla Paramount.

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Nella versione italiana il film mantiene quasi tutto il potenziale comico originale, anche se qua e là sorgono insormontabili problemi di traduzione e doppiaggio. Prendete per esempio la scena qui sotto: nell'originale i due attori di colore parlano tra di loro in jive, uno strano slang tipico degli afro-americani e pressoché incomprensibile al di fuori della loro comunità: così l'effetto comico della scena è dato dall'intervento dell'attrice Barbara Billingsley, simbolo elegante e rispettabile dell'America wasp, da cui certamente non ci si aspetta che conosca quello slang. Una scena pressoché irriproducibile, parzialmente risolta con l'idea, comunque divertente, di farli parlare in dialetto napoletano.

A proposito di doppiaggio: intraducibile in italiano, da quarant'anni questo breve dialogo tra il dottor Rumack (Leslie Nielsen) e Ted Striker (Robert Hays) entra regolarmente a far parte delle cento battute più belle della storia del cinema americano e spiega bene la comicità dei Zucker, spesso basata su giochi di parole piuttosto stupidi infilati in situazioni altamente drammatiche (in questo caso il bisticcio surely/Shirley). “Riuscirebbe a far atterrare l'aereo?”. “Surely, you can't be serious!”. “I am serious”, conclude il dottore, “and don't call me Shirley”. In italiano non si seppe far di meglio che una gag poco riuscita attorno ai due significati della parola “grado”.

Sketch fulminanti e nonsense come questo rappresentano la cifra comica del film, ancora più esilaranti perché piombano tra capo e collo dello spettatore in una situazione di grande stress per tutti i personaggi della storia. In questo caso la battuta è affidata al comico Stephen Stucker, fedelissimo dei Zucker e atteso da un triste destino: morirà di AIDS nel 1986, dopo essere stato uno dei primi attori ad annunciare di essere sieropositivo.

L'aereo più pazzo del mondo inaugurò anche la moda di avere partecipazioni straordinarie provenienti anche dal mondo dello sport (ricorderete anche OJ Simpson ne Una pallottola spuntata, prima che finisse nei pasticci). Quasi vent'anni prima di Michael Jordan in Space Jam, un'altra stella del basket si era fatta convincere da Hollywood: il grande Kareem Abdul-Jabbar, stella dei Los Angeles Lakers e sei volte miglior giocatore NBA, nei panni del copilota che un bambino pedante scambia, naturalmente, proprio per Kareem Abdul-Jabbar...

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E poi ancora una sfilza incredibile di gag divenute proverbiali (come quel “pallone gonfiato” del pilota automatico, un bambolotto gonfiabile accreditato come “Otto” anche nei titoli di coda) e citazioni, da La Febbre del Sabato Sera a Taxi Driver, che si rincorrono a velocità folle “sfidando” lo spettatore a riconoscerle tutte. Guardato inizialmente con scetticismo dai produttori della Paramount, L'aereo più pazzo del mondo incassò 158 milioni di dollari in tutto il mondo a fronte di un budget di soli tre milioni e mezzo. Ancora oggi, quando lo si trova per caso già iniziato in tv, è molto difficile cambiare canale.

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