Boris, la geniale eredità di Mattia Torre

Cinema

Simone Soranna

A un anno dalla scomparsa, Sky rende omaggio a un genio italiano che  ha scritto insieme a a Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, una serie tv più originali e dissacranti mai realizzate

Un anno fa, esattamente il 19 luglio 2019, ci lasciava prematuramente Mattia Torre. Secondo molti critici e addetti ai lavori, si trattava di uno degli sceneggiatori più arguti e interessanti del panorama italiano. Dalla sua creatività hanno preso vita libri, opere teatrali, film e serie televisive. Sicuramente però, il lavoro che più ha fatto breccia nei cuori degli spettatori e quello che, probabilmente, riesce a restituire al meglio l’arguzia, l’ironia e la capacità narrativa della penna di Mattia, resta l’avventura di Boris. Tre stagioni televisive, scritte e dirette insieme ai compari di sempre (Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo), che poco alla volta hanno riscontrato un largo consenso di pubblico e critica, riuscendo persino a trovare il buio delle sale con Boris – Il film (2011) e diventando un vero e proprio cult di cui gli appassionati non si stancheranno mai. A tal proposito, non c’è ancora una voce certa e ufficiale ma è molto probabile che a breve il cast si riunirà per una quarta serie. 

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Boris, un capolavoro in serie

Le tragicomiche avventure della produzione de Gli occhi del cuore 2, fiction melodrammatica diretta “alla cazzo di cane” dal regista René Ferretti (Francesco Pannofino), sono al centro della serie: stagisti, divi o presunti tali, macchinisti, direttori di rete e della fotografia, segretarie di edizione, aiuto regista e chi più ne ha più ne metta. Boris racconta il dietro le quinte della produzione audiovisiva e viene interpretato come una parodia di quel mondo da chi, di mestiere, non si occupa di spettacolo, mentre è percepito come una messa in scena perfettamente centrata e attendibile da chi è solito vivere quell’ambiente. In effetti, il progetto sembrava nato per dialogare soprattutto con i professionisti del settore ma poco alla volta (e inaspettatamente) ha conquistato tutti. A tal proposito, così si esprimeva Mattia Torre: «ci sembrava da sempre un progetto molto marginale, rivolto agli addetti ai lavori. Poi via via abbiamo visto che invece che la cosa si estendeva».

Questa caratteristica è probabilmente la più tipica della poetica di Mattia Torre. Boris è una sorta di biglietto da visita, di grande riassunto per chi volesse provare a cimentarsi con questo autore e il suo stile. Torre infatti è sempre stato un grande osservatore. Spia, sbircia, curiosa qua e là prendendo nota di ciò che lo circonda, delle esperienze che sta vivendo in prima persona e degli ambienti che, volente o nolente, è costretto ad abitare. Dopo di che li mette in scena cercando però di descriverli con leggerezza, con brio, con un pizzico di satira utile a stemperare i toni. Eppure, è impossibile non rivedersi all’interno delle sue storie, non riconoscere un’esperienza vissuta in prima persona o non notare un’efficace seppur velata critica al nostro Paese. In effetti, come ricordava Torre del suo modus operandi, «il tentativo, che ogni tanto riesce e ogni tanto no, è quello di utilizzare storie, tormentoni e personaggi come metafora di un sistema in cui viviamo, di un Paese e di pezzi di cultura di questo Paese».

Ecco allora che tutte le frasi più celebri e spassose di Boris, dal «dai, dai, dai» al «cagna maledetta!», passando per «apri tutto, smarmella» e l’immancabile «bucio de culo!», non sono altro che la migliore eredità che Mattia ci ha lasciato, un cinema leggero, fresco e semplice ma capace di nascondere sotto uno strato di ilarità il vuoto esistenziale che ci accomuna tutti, come individui, come italiani.

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