Black lives matter, una lettera a Hollywood: trecento artisti denunciano disuguaglianza

Cinema

Denise Negri

L'attore Kendrick Sampson e la co-fondatrice del movimento "Black Lives Matter" insieme ad altri numerosi artisti, hanno sottoscritto una lettera per chiedere uguaglianza e inclusione anche a Hollywood, dominata, dicono, dal "potere dei bianchi"

Non più solo dimostrazioni per strada. Non più solo comizi, interviste, immagini e parole. Lacrime e scontri. Quello che ora la comunità afroamericana che vive e lavora a Hollywood ha fatto è chiedere concretamente che questo cambiamento avvenga.

I circa 300 artisti, attori, produttori e registi che hanno firmato questa lettera di richiesta, pubblicata in esclusiva da Variety, sono partiti da un assioma molto semplice: se Hollywood ha il privilegio di “creare sogni” e di influenzare con le sue storie il mondo intero, allora può anche cambiarlo. In meglio. Promotore è Kendrick Sampson (da noi conosciuto soprattutto per serie tv come “CSI-Scena del crimine” e “The Vampire Diaries”) insieme alla co-fondatrice del movimento “Black Lives Matter” Patrisse Cullors. Con loro nomi come Idris Elba, Octavia Spencer, Viola Davis, Tessa Thompson, Michael B. Jordan e Chadwick Boseman

 

La lettera

 

La lettera indirizzata ai “nostri alleati a Hollywood” parte da una denuncia: il fatto che con libri, film, telefilm e narrazioni di vario genere, si siano sempre raccontate storie “bianche” in cui si giustificano e a volte persino esaltano violenze contro i neri, da parte della polizia. “Una glorificazione della corruzione e della violenza- si legge nella lettera-  che ha avuto conseguenze disastrose nella vita dei neri”.

Ma supremazia e disuguaglianza non passano solo attraverso la narrazione di storie di violenza e soprusi. Sono gli stessi artisti e lavoratori di colore, nella vita reale, a non venire trattati con adeguato valore, in base al loro talento, al loro impegno e alla loro professionalità. La lettera prosegue raccontando di come tutto sia assolutamente sbilanciato: dagli sceneggiatori afroamericani le cui storie non vengono prodotte, alle agenzie che non riescono a far lavorare i propri attori se non in piccole parti stereotipate, fino a promozioni marketing assolutamente “white” sia nella gestione che nella realizzazione. Nessun ruolo di effettivo potere, nessuna carica, è ricoperta dai neri.

“Gli studi di Hollywood e le società di produzione che sfruttano e traggono profitto dalle nostre storie- si prosegue nella lettera- raramente hanno dirigenti neri di livello senior con un potere reale”.

E se recentemente alcuni film come “Black Panther” sono stati un successo al botteghino, le campagne di promozione sono state comunque inadeguate e gli investimenti limitati rispetto ai blockbuster “bianchi”, si prosegue nella lettera.

 

 

Dagli #OscarsSoWhite a oggi

 

La riflessione non è nuova, nemmeno a Hollywood: se i “bianchi” costituiscono il più piccolo gruppo demografico al mondo, perché sono solo le loro storie ad essere raccontate? Se lo chiedono questi artisti sulla scia delle uccisioni ingiustificate di uomini e donne di colore per le strade degli Stati Uniti, ma se lo erano già chiesti Spike Lee e Jada Pinkett Smith nel 2006 con gli #OscarsSoWhite in cui, di fatto, l’accusa era la stessa.

Hollywood macina soldi e sogni, ma macina anche disillusioni e storture della realtà, storie sbilanciate e illusorie che influenzano direttamente e indirettamente politica e cultura fuori dai suo confini, scrivono gli artisti. Questo a discapito di tutti i neri nel mondo. Non a caso la lettera si conclude così: “Poiché Hollywood è stata una parte enorme del problema, chiediamo che sia una parte della soluzione. Come neri, apportiamo all'industria un valore culturale ed economico immenso e incommensurabile. Abbiamo tutto il diritto di chiedere questo cambiamento”.

spike-lee-getty

approfondimento

Spike Lee: il corto "3 brothers" in memoria di Raheem, Garner e Floyd

Spettacolo: Per te