Il Commediante On Demand presenta Totò cerca casa
Dal 20 al 28 giugno, i pomeriggi di SKY CINEMA COLLECTION – CLASSIC sono dedicati ai film di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, meglio noto come Totò, il principe della risata
Totò On Demand
Nei pomeriggi degli ultimi due sabato e delle ultime due domeniche del mese di luglio, vengono riproposti ben 16 film interpretati dal comico napoletano. Questi: Il ratto delle sabine (1945), Fifa e arena (1948), Totò cerca casa (1949), 47 morto che parla (1950), Totò cerca moglie (1950), Totò sceicco (1950), Totò e le donne (1952), Il medico dei pazzi (1954), Totò nella Luna (1958), I tartassati (1959), Signori si nasce (1960), Totò di notte n. 1 (1962), Totò e Cleopatra (1963), Il comandante (1963), Totò sexy (1963) e Totò contro il pirata nero (1964).
Noi vi parliamo di Totò cerca casa, diretto da Steno (ovvero Stefano Vanzina, il papà dei celeberrimi fratelli) e da Mario Monicelli nel 1949. Un film sul quale il suo interprete ebbe a dichiarare quanto segue: “Totò cerca casa è l'unico film che mi ha fatto realmente ridere.”
UN TITOLO EPOCALE: DALLA FARSA ALLA COMMEDIA
Antonio De Curtis, in arte Totò, è stato l’attore comico italiano più importante e popolare di sempre. Dopo aver calcato le travi più o meno sconnesse dei palcoscenici dell’avanspettacolo e del teatro di varietà, Totò esordisce sul grande schermo nel 1937, con Fermo con le mani di Gero Zambuto, interpretando in tutto circa 100 film in 30 anni di carriera. Quasi tutte farse più che commedie. Per un semplice motivo: quella di Totò è una comicità anarchica e dirompente, persino eversiva, che scaturisce da una vis comica irriducibile a qualsiasi copione, per quanto ottimamente congegnato. È sintomatico rilevare come sia stato Mario Monicelli - il quale circa 10 anni, dopo con I soliti ignoti, s’inventa la commedia all’italiana - a rimuovere Totò dal suo consueto registro farsesco per calarlo nella realtà dell’epoca, che nel 1949 era quella misera e lacera che stava raccontando il movimento neorealista di De Sica, Rossellini e Visconti.
Fu il regista viareggino – certo non da solo, come vedremo tra poco - a trasferire la dinoccolata super-marionetta futurista decurtisiana contro gli scenari e dentro gli stilemi del neorealismo, proprio grazie a Totò cerca casa, che diventa perciò il capostipite di un nuovo filone. Salvo pentirsene molti anni dopo, quando sosterrà che il contesto più naturale in cui il genio comico dell’attore poteva sprigionarsi era quello folle e surreale delle farse in cui si era fatto gigantesco fino ad allora, e non quello delle sue commedie sociali. Intanto però, grazie al film di cui ci stiamo occupando, e ad altri immediatamente successivi come Guardie e ladri, Totò e i re di Roma, Totò e Carolina, La banda degli onesti, I tartassati, etc. (quasi tutti peraltro diretti o co-diretti proprio da Monicelli) abbiamo avuto una serie di opere che qualcuno definì “commedie neorealiste”.Film che hanno costituito una sorta di trait d’union tra il neorealismo vero e proprio e la futura commedia all’italiana, un ponte ideale tra i due fenomeni più rilevanti della storia del nostro cinema.
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TOTO’ NEOREALISTA
Totò cerca casa narra le tragicomiche vicende di Beniaminio Lomacchio, un impiegato dell’anagrafe sposato con prole, povero e perennemente affamato (come è noto la fame, e non solo di cibo, è stata la principale scaturigine di quasi tutte le vicende comiche di Totò); il quale, avendo perso casa per via della guerra, si ritrova a vivere in un’aula scolastica, dentro una scuola destinata a ospitare i tanti sfollati del dopoguerra. Insomma la rappresentazione agrodolce di uno dei problemi più sentiti dalla maggior parte degli italiani in quegli “anni difficili” (per citare il titolo di un film che proprio quella temperie tragica, eppure vitalistica, aveva da poco narrato): la ricerca di un alloggio dignitoso. Quando l’edificio scolastico torna alla sua funzione originaria, l’avventizio Lomacchio (“sinistrato, sfollato e riformato”, come viene definito al principio del film da un’ironica voice-over) è costretto a traslocare con tutta la famiglia prima in un cimitero, quindi nello studio di un pittore e infine persino dentro al Colosseo (location che circa 5 anni dopo servirà ancora a Steno per ambientare una delle scene cult di Un americano a Roma con Alberto Sordi).
Insomma tutti gli ingredienti che avrebbero potuto dar adito ad uno svolgimento schiettamente drammatico, se non persino tragico: un tema di grande e dolorosa attualità, l’ambientazione en plein air e ovviamente l’uso del dialetto. Ovvero: i canoni stilistici codificati proprio in quegli anni, un po’ per scelta e un po’ per necessità, dalla scuola neorealista. Invece qui gli autori (che guarda caso sono gli stessi che s’inventeranno la commedia all’italiana; ovvero i registi Steno e Monicelli, coadiuvati dalla coppia Age e Scarpelli qui al suo esordio in tandem), inseriscono l‘ironia nel dramma, gettando così, nel terreno fertile del neorealismo, il primo seme che darà i suoi frutti più rigogliosi circa dieci anni dopo.
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Parodie, travasi e prestiti
Un insigne critico cinematografico, come Morando Morandini, definì Totò cerca casa “un’irresistibile parodia del neorealismo” E forse, senza rendersene del tutto conto, così scrivendo Morandini individuò uno dei tratti più peculiari della cifra comica del Totò cinematografico: l’inclinazione alla parodia.
Il film-parodia era nato durante il fascismo quando gli autori erano costretti a ricorrere a questo espediente per trattare argomenti proibiti, aggirando in tal modo la mannaia della censura. Il filone poi prosperò nel cinema comico durante il lungo dopoguerra, praticato grosso modo da tutti i comici del momento, principalmente da Totò che ne divenne un autentico campione se è vero che una lunga teoria di pellicole girate allora (basti citare, ad esempio, alcuni titoli come I due orfanelli, Totò le Mokò, Totò terzo uomo, etc.) sono state delle parodie di libri, pièce, operette e film di successo. Tutte modulate sulla sua maschera burattinesca e sulla sua innata capacità di improvvisazione. In questo caso la sceneggiatura prende le mosse dalla commedia teatrale Il custode di Alfredo Moscariello, che viene ibridata con La famiglia Sfollatini una vignetta umoristica scritta da Vittorio Metz e illustrata da Gioacchino Colizzi, in arte Attalo, disegnatore attivo sulle più importanti riviste umoristiche dell’epoca, a cui si è ispirato anche Federico Fellini (come racconta Ettore Scola nel suo ultimo, toccante, film Che strano chiamarsi Federico) E tuttavia, nella seconda parte del film, quando la verve surreale di Totò prende il sopravvento sul copione con digressioni che virano persino verso il black humour di stampo gotico, si notano dei riferimenti molto precisi al cinema dei vari Ridolini e Cretinetti e alla slapstick comedy di Mack Sennett: paradigmatica in questo senso è la scena finale in cui il protagonista si va a schiantare a tutta velocità contro un fantomatico monumento alla “Ricostruzione”. Non basta: Le scene iniziali del film sembra siano state ispirate da un film uscito negli Stati Uniti giusto l'anno precedente: La casa dei nostri sogni di Henry C. Potter con Cary Grant e Myrna Loy. In un gioco di travasi e prestiti tanto innocenti quanto spregiudicati, utilizzati con gran disinvoltura. Se ciò accade è perché tutti gli autori che abbiamo sin qui nominato, registi compresi, provenivano dalla palestra delle già citate riviste umoristiche, come “Marc'Aurelio” e “Bertoldo”; in cui il frizzo satirico e lo sberleffo indiscriminato erano il pane quotidiano che nutriva la creatività di scrittori e bozzettisti, i quali a fine guerra si trasferiranno quasi tutti a lavorare nel cinematografo.
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L’AVVENTUROSA STORIA DEL CINEMA ITALIANO
Ed è proprio in questo clima di euforica faciloneria, che si inserisce e si giustifica la genesi del film. Carlo Ponti - che insieme a Dino De Laurentiis era allora uno dei giovani produttori esecutivi della potente “Lux Film” del torinese Riccardo Gualino - aveva sotto contratto per sette settimane Totò, col quale un altro giovane dal futuro radioso, Luigi Comencini, stava girando L'imperatore di Capri. Poiché le riprese erano finite in anticipo, Ponti propone a Totò di girare nel tempo residuo un altro film, stavolta non più con la Lux ma con una nuova società chiamata A.T.A.
Si tratta di un classico caso di “film di recupero”, esattamente come lo sarà dieci anni dopo, ancora I soliti ignoti, nato per sfruttare le scenografie del film Le notti bianche, di Luchino Visconti. Come un vero capitano coraggioso e con una buona dose di improntitudine (virtù o difetti che in seguito gli frutteranno una folgorante carriera da produttore internazionale), Ponti che fa? Prende una misconosciuta commedia teatrale (il citato Il custode), si rivolge ai rodati sceneggiatori Steno e Monicelli perché ne ricavino in fretta e in furia l’idea per un film con Totò, e poi mancando un regista disposto a dirigere il film decide con eroica nonchalance che a dirigerlo siano proprio loro: Steno-Monicelli, i quali così, in questo clima un po’ caotico e piratesco, incominciano una carriera che sarà per entrambi strepitosa.
Una storia da non credersi, eppure, se il cinema italiano è diventato grande, è anche grazie a certi atti di incosciente intraprendenza. Grazie al palpito collettivistico del dopoguerra italiano in cui tutti - produttori, attori, sceneggiatori e registi - si buttarono a capofitto in un misto di allegra sguaiataggine e di slancio solidaristico.
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UN SUCCESSO MILIONARIO
Sebbene la critica accolse il film tra luci e ombre, incluse le consuete feroci stroncature di quei tempi (se è vero che ci fu persino chi giunse a definire il film “scabroso e pornografico”), si tratta in realtà del maggior successo di botteghino di Totò. Nel periodo di sfruttamento nelle sale, gli spettatori sono stati quasi 5 milioni e mezzo. Un enorme consenso di pubblico che gli vale persino un’ancora anomala esportazione in Portogallo. Totò cerca casa si piazza al secondo posto nella classifica degli incassi di quell’anno, alle spalle del melodramma Catene di Raffaello Matarazzo, incassando circa 515.000.000 di vecchie lire, che equivalgono approssimativamente alla bellezza di 70 milioni di euro (cifre oggi inimmaginabili), di cui 10 finirono nelle tasche di Totò. Per girare due film in circa due mesi.