Il Commediante On Demand presenta Il Medico Della Mutua

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Alessio Accardo

Alessio Accardo

Nell'anno del centenario della nascita del grande attore, un viaggio alla scoperta della strepitosa commedia diretta da Luigi Zampa

In occasione del centesimo anniversario della nascita di Alberto Sordi, da lunedì 15 giugno, SKY CINEMA COLLECTION – CLASSIC propone un OMAGGIO AD ALBERTO SORDI, un ciclo di classici come Piccola posta di Steno, Il marito di Loy-Puccini, I vitelloni di Federico Fellini e Romanzo di un giovane povero di Ettore Scola, etc. Contemporaneamente su SKY ON DEMAND c’è la collezione ALBERTO SORDI 100 che aggiunge chicche del calibro de Lo sceicco bianco ancora di Fellini, Il conte Max di Giorgio Bianchi, Il vigile di Luigi Zampa, In viaggio con papà dello stesso Sordi, e molti altri ancora. Noi vi parliamo de Il medico della mutua di Luigi Zampa.

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Alberto Sordi: le foto dei suoi film

100 ANNI DI SORDI

Figlio del suonatore di tuba dell'orchestra del Teatro dell'Opera di Roma e di una maestra elementare, il 15 giugno del 1920, nel cuore Trastevere, nasce Alberto Sordi, da molti ritenuto il più importante attore italiano di tutti i tempi; dichiaratamente stimato da colleghi come Laurence Olivier e Robert De Niro, e ammirato da maestri del calibro di Billy Wilder e Martin Scorsese.

Un talento innato che, grazie a una tenace ostinazione e a una sorta di mostruoso vitalismo, è stato capace di figurare in più di 150 film (ma secondo alcuni furono ancora di più), vincendo 7 David di Donatello, 5 Nastri d'argento, e molti altri premi importanti, tra cui l’Orso d'Argento come miglior attore alla Berlinale, per Detenuto in attesa di giudizio (1972) di Nanni Loy.

Non basta: nel 1995 gli viene attribuito un meritatissimo Leone d'oro alla carriera al Festival di Venezia.

Eppure, gli inizi di carriera furono tutt’altro che facili. Dopo alcune esperienze canore nel coro delle voci bianche della Cappella Sistina, Alberto parte alla volta di Milano, per frequentare l’Accademia dei Filodrammatici, da cui verrà espulso pervia di una dizione viziata da una marcata inflessione romanesca.

Tornato a Roma non si dà per vinto, e frequenta senza risparmiarsi tutti i “mass media” dei suoi tempi: teatro d’avanspettacolo e di rivista nella compagnia Riccioli-Primavera; la radio dove dà vita a popolarissime macchiette come il Conte Claro e Mario Pio; il doppiaggio in cui diventa la voce italiana di Oliver Hardy nelle comiche di Stanlio e Ollio. E poi il cinema, naturalmente.

L’esordio davanti alla macchina da presa avviene quasi per caso, ai tempi della “Hollywood sul Tevere”, quando riesce a ritagliarsi un ruolo da comparsa nel mitologico (in tutti i sensi) Scipione l’africano (1937) di Carmine Gallone.

Poi, grazie a due colossi del neorealismo come Cesare Zavattini e Vittorio De Sica (qui rispettivamente sceneggiatore e produttore), decide di portare sul grande schermo un personaggio di derivazione radiofonica come “il compagnuccio della parrocchietta”, in Mamma mia che impressione (1951). Quindi recita da protagonista nel vero debutto da regista di Federico Fellini, Lo sceicco bianco (1952).

Nonostante questo generoso spendersi, il pubblico di allora non lo riesce proprio a digerire, forse perché in questi primi personaggi, Sordi infondeva un grado eccessivo di “macchiettismo”, quasi da avanguardia futurista, col quale gli spettatori dei tempi facevano fatica ad immedesimarsi.

Ciò è tanto vero che per inserirlo nel cast del suo film successivo, I vitelloni (1953), Fellini dovette nascondere il nome di Sordi dai manifesti pubblicitari!

Eppure, grazie a quel film, e ai coevi Un giorno in pretura (1953) e Un americano a Roma (1954), entrambi diretti da Steno, Sordi viene premiato da un successo tale che lo porta a girare nel solo 1954 ben 13 film!

È l’inizio di una carriera folgorante e impareggiabile che - anche grazie all’incontro con lo sceneggiatore Rodolfo Sonego (col quale collabora per ben 44 volte), e con i registi Risi-Scola-Comencini-Monicelli (su copioni spesso scritti dalla coppia Age-Scarpelli) - lo condurrà a interpretare alcuni dei massimi capolavori della commedia all’italiana.

Dapprima si dedica a cesellare una serie di ritratti monografici satirici e brillanti, come Un eroe dei nostri tempi (1955), Il seduttore (1954), Il marito (1957), Il vedovo (1959), Il moralista (1959) e Il vigile (1960); nei quali quasi sempre lo svolgimento della trama si incarica di smentire l’assunto del titolo.

Quindi la cosiddetta trilogia della guerra: La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini e Una vita difficile (1961) di Dino Risi; che gli fornisce la possibilità di dimostrare di saper suonare anche le corde drammatiche del suo repertorio di interprete, trasformandolo così in un attore completo, unico e straordinario.

Partendo da un’intuizione tanto semplice quanto geniale (riprodurre i volti e i tic della gente comune, deformandoli grazie al suo indomito istrionismo), Alberto Sordi ha dato vita a un’inesauribile galleria di ritratti del cosiddetto “italiano medio”, spesso vile, indolente e opportunista; sempre ambiguamente (e forse astutamente) in bilico tra la riprovazione satirica e l’autoassoluzione che gli concedeva la simpatia straripante dell’attore e dell’uomo.

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La Festa della Repubblica raccontata nel film Una Vita Difficile

IL ’68 DI SORDI: SATIRA SOCIALE (MA IN FONDO ANCHE POLITICA)

La commedia all’italiana (e non solo quella di Sordi) ha esercitato la sua satira sempre restando un passo indietro rispetto al format del “film di denuncia”; preferendo più spesso occuparsi di vicende sociali e civili che non apertamente politiche.

Tale era il tacito patto con il suo pubblico, che accettava bensì di veder fustigare i propri vizi, sempre però entro certi limiti che era opportuno non valicare mai. Basti pensare al titolo che ha dato il nome al genere: Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi, che fu sì un sacrosanto pamphlet contro l'anacronistico articolo 587 del codice penale. che ancora tollerava il cosiddetto “delitto d'onore”, però sempre svolto sui toni in fondo più rassicuranti della commedia grottesca.

Ecco perché, anche ai tempi del fatidico ’68, questi autori e questi attori si limitano a individuare un tema di rilevanza civile, raccontandolo tra uno sberleffo e un frizzo, affinché né il pubblico né la censura si rivelassero troppo severi nei loro giudizi.

È il caso del film di cui ci occupiamo oggi: Il medico della mutua diretto da Luigi Zampa e interpretato da Alberto Sordi, anche autore del copione, assieme allo stesso regista e al comunista Sergio Amidei, già sceneggiatore di alcuni capolavori del neorealismo come Roma città aperta (1945), Sciuscià (1946), Paisà (1946) e Germania anno zero (1948).

Ispirandosi al romanzo omonimo di un autentico medico bolognese, Giuseppe D'Agata, il film di Zampa intende sferzare le derive del servizio sanitario nazionale dell’epoca, la cosiddetta “cassa mutua” (ancora meglio al plurale: “casse mutue”, ovvero enti mutualistici di assistenza sanitaria gratuita, ognuno dei quali legato a una determinata categoria di lavoratori), in cui spesso attecchivano fenomeni di clientelismo e corruzione, e prosperavano sprechi di denaro pubblico e sperequazioni tra gli assistiti.

Lo fa però attraverso l’ormai collaudata “maschera sordiana”; l’ennesimo tassello del suo personale mosaico di arrivisti pronti a tutto, per soddisfare la propria bramosia di affermazione professionale e sociale.

Successo che, grazie alla sua cocciuta ostinazione e a qualche colpo basso, non gli sfuggirà; e sarà anzi plasticamente rappresentato da uno dei più riconoscibili “status symbol” del boom (e dopo boom): l’automobile. Il dott. Tersilli comincia infatti a lavorare in Lambretta, passa quindi alla Seicento, e termina la sua scalata sociale agognando legittimamente una fuoriserie decappottabile rosa, che gli guadagnerà l’invidia livorosa dei colleghi medici. Come ci spiega Enrico Giacovelli nell’indispensabile C’era una volta la commedia all’italiana.

Il tutto narrato nei tipici canoni stilistici del cinema di Zampa.

Ripercorrendo la storia d’Italia dalle miserie della guerra (Vivere in pace, 1947), alle bellurie del boom (Frenesia dell’estate, 1963), fino al periodo della contestazione generale (Contestazione generale, 1970); il regista romano ha spesso utilizzato la sua cinepresa con lo spirito arguto di un elzevirista pungente, frenato tuttavia dal desiderio di non risultare troppo scomodo. Capace di individuare certi bubboni sociali su cui affondare il metaforico bisturi della critica, Zampa si è per lo più attestato sul piano di una satira bonaria, non priva di alcune digressioni farsesche. Caratteristiche che spinsero la critica cinematografica a lui contemporanea a considerarlo il re del “cinema bozzettista”.

Eppure stavolta Il medico della mutua finì per risultare più scomodo di quanto non avrebbero forse voluto i loro autori, se è vero che la casta medica se ne risentì al punto da dar vita a una serie di proteste che costrinsero l’autore del romanzo ad abbandonare la professione medica e a cambiare persino mestiere.

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Roma, la presentazione della mostra su Alberto Sordi. FOTO

CAST E TROUPE: MOSTRI SACRI E CARATTERISTI DOC

È sempre curioso sfogliare i credits di queste commedie, perché vi si trovano molto spesso delle storie che meriterebbero di essere raccontate tutte, una per una.

Ad esempio, nel ruolo della signora Parise, la prima mutuata del dottor Tersilli, troviamo Pupella Maggio, straordinaria interprete di teatro napoletano che ebbe l’onore di sostituire Titina De Filippo dopo la sua scomparsa, in alcune delle immortali commedie del fratello Eduardo, di cui è a lungo stata la primadonna. Al cinema ha fatto alcune rare ma significative incursioni, come quella indimenticabile in Amarcord di Fellini, doppiata da Ave Ninchi; lasciando sempre il segno.

Ne Il medico della mutua è stata così brava da vincere il Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista.

La mamma del protagonista è invece interpretata da quella Nanda Primavera che, ai tempi del teatro di varietà e di rivista, aveva tenuto a battesimo il giovane Sordi, il quale la risarcirà a distanza di venti o trent’anni offrendole alcuni ruoli cinematografici da comprimaria nei suoi film (l’avevamo già vista anche nel cast de Il Vedovo)

Non mancano poi celeberrimi attori di ascendenza teatrale come Leopoldo Trieste e Bice Valori; oltre a comprimari e caratteristi che hanno fatto la storia della commedia all’italiana, come Claudio Gora, Gianfranco Barra, Tano Cimarosa, Ennio Antonelli e Jimmy il Fenomeno.

Discorso a parte merita il compositore della colonna sonora, Piero Piccioni che, a partire da Il boom (1963) diretto da Vittorio De Sica, diventa il musicista personale di Sordi, componendo una ventina di colonne sonore assai adeguate al mood dell’attore e regista romano. Quella de Il medico della mutua è di certo una delle più famose. Si chiama Samba fortuna, brano gagliardo e contagioso proprio come l’euforia ribalda degli anni ’60; incontenibile come il suo rampante protagonista.

L’anno seguente, in occasione del sequel, Piccioni la rende ancora più ritmata e scattante, trasformandola nella celeberrima Marcia di Esculapio, un motivo che, sin dalle prima note, oramai anche a distanza di anni non può che rievocare Alberto Sordi e un po’ tutto il suo cinema.

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DAVID, SEQUEL E OMAGGI

Il carisma di Sordi, ormai giunto alla sua piena maturità espressiva, e il tono da denuncia bonaria à la Zampa decretarono un successo strepitoso per Il medico della mutua che, nel 1969, vinse Il David di Donatello e il Globo d’oro, entrambi andati all’attore romano.

Ma anche il botteghino fu generoso: Il film è stato il secondo maggiore incasso nella stagione cinematografica italiana 1968-69 con più di tre milioni d’incasso delle vecchie lire, oltre che il maggior incasso di tutta la carriera di Zampa.

Non basta: Il medico della mutua è stato pure inserito nell’elenco dei 100 film italiani da salvare.

Insomma un successo così esorbitante rispetto alle attese che, nel giro di qualche mese, viene imbastito un sequel affidato alla regia di Luciano Salce, il quale di lì a non molto darà vita a uno dei fenomeni comici più importanti della nostra cinematografia, il Fantozzi (1975) di Paolo Villaggio. Sarà intitolato Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue (1969), titolo lunghissimo in stile-Wertmüller, in cui il dottor Tersilli si fa se possibile ancora più arrivista, fino a diventare il primario di una clinica di lusso.

Nel 1981 Giuliano Carnimeo gira una via di mezzo tra l’omaggio e la parodia de Il medico della mutua, Pierino medico della SAUB, con Alvaro Vitali. Un’operazione talmente spregiudicata da non peritarsi neppure di utilizzare la stessa colonna sonora dell’originale, con una disinvoltura che la dice lunga circa la serietà dell’operazione.

il traditore

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