Woody Allen: un film sul lockdown? Non mi ispira affatto

Cinema

Intervistato dal settimanale francese Le Point, il regista americano ha raccontato che non trova la quarantena un tema interessante per farci un film

 “Io sento che la vita è divisa in orribile e in miserrimo” Con questo aforisma Alvy Singer comunicava a Annie Hall il suo pensiero sull’esistenza. E forse una delle battute più celebri d’Io e Annie, capolavoro diretto e interpretato da Woody Allen, nonché vincitore di quattro Oscar. Così non stupisce troppo che il geniale cineasta americano, da sempre fautore di un’ironia salace e pessimista non si senta particolarmente stimolato, come artista da questa forzata clausura covuta all'emergenza coronavirus (AGGIORNAMENTI - SPECIALE - LA MAPPA). 

Infatti, in un’intervista del settimanale francese Le Point, Allen ha usato queste parole nei confronti di un eventuale opera che riguardi l’emergenza Coronavirus

Il lockodown? E' il contrario di un tema che mi ispira. Ed è anche del tutto scoraggiante. Continuo a chiedermi quali saranno le conseguenze sulla vita sociale, sul teatro, sul cinema...riapriranno mai?"

 

Woody poi ha raccontato la rivista come sta affrontando la quarantena. E anche in questo caso la vena comica si palesa a più riprese

Il mio lockdown si svolge tra quattro mura non fa una grande differenza con la mia vita precedente. Mi sveglio ogni mattina e lavoro alla sceneggiatura di un film o al copione di una pièce di teatro. La vera differenza, e, diciamolo pure, il baratro, è che per mia moglie e per me, alla fine della giornata, invece di uscire, non c'è nient'altro da fare che guardare la tv, leggere o fare il tapis roulant. Sì, il tapis roulant. Diciamo che stiamo vivendo un incubo un po' surrealista"

 

Alla domanda d’obbligo sulle accuse di molestie sessuali e alle polemiche generate dalla sua autobiografia A proposito di Niente Allen ha citato il Maccartismo e gli Stati Uniti degli inizi degli anni Cinquanta:

 "Era un'epoca in cui si poteva denunciare il proprio vicino con un'accusa fondata assolutamente sul nulla, e sulla quale non serviva proprio a niente dimostrare la falsità. Oggi non siamo a questo, ma c'è qualche elemento che lo ricorda. Me lo ricordo un po', perché quando ero bambino si veniva a sapere che un tizio aveva perso il lavoro senza potersi neppure difendere da ciò di cui lo si accusava. L'accusa equivaleva alla colpevolezza e alla sentenza.

  E' ingiusto, accade in tutte le epoche e, grazie a Dio, ripeto, non siamo ancora al maccartismo. Non sono stato buttato in prigione come tanti artisti e scienziati, ma parlo di questo perché ne sento un vago odore"

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