Paolo Cantù, direttore Teatri Reggio Emilia: "Lavoriamo per una realtà al passo coi tempi"
SpettacoloTre teatri in una sola piazza per declinare cosa significa nel 2025 fare cultura, intrattenimento e spettacolo. L'INTERVISTA
Musica, Opera, Prosa, Musical: il teatro oggi è una faro acceso che deve affrontare più sfide in contemporanea ma in primis, in questa società iper semplificata, deve fare comprendere alla città che lo ospita che non è un luogo da guardare con diffidenza ma è come un fratello maggiore che ti può portare spunti di riflessione e aprire a nuovi mondi. Paolo Cantù, dall'1 gennaio 2018 direttore artistico e generale de I Teatri di Reggio Emilia, affronta questa sfida con serenità, con una apertura alla città e alle tante comunità che la vivono assolutamente identitaria. Perché il punto di partenza del suo pensiero culturale e artistico è cosa significa, in termini di contenuti, essere (e fare) teatro oggi.
Direttore siamo all'inizio di una nuova stagione per i Teatri di Reggio Emilia: si sente in credito o in debito?
Mi sento sempre in debito perché sono un inguaribile perfezionista prima con me stesso e poi con gli altri. Per questo mi ritengo sempre in debito perché si può sempre fare qualcosa di più e meglio. Qui abbiamo fatto un bellissimo percorso lavorando in due direzioni: ripartire dalla domanda rispetto a cosa è oggi il teatro, a cosa era nel 2018 quando sono arrivato e cosa è nel 2025. Poi ragioniamo sul teatro in termini di contenuti e su cosa significa essere teatro oggi.
E allora cosa è oggi il teatro?
E' cambiato il modo di viverlo e sono variate le modalità di fruirlo e ci aggiungo che non c'è neanche più memoria. Abbiamo recentemente proposto il musical Cantando sotto la pioggia, che è figlio di un famosissimo film del 1952, e ho compreso che per una parte dell'ultima generazione non c'è la memoria.
Dove sta la frattura?
C'è una cesura completa tra il sistema educativo scolastico e quello delle arti, sono due mondi che non si parlano. Nonostante questo Reggio Emila è un'isola felice. Bisogna farlo amare, il teatro, e portare le generazioni a riscoprirlo. Abbiamo abdicato all'Opera Lirica: c'è un brand nel mondo che si chiama Giuseppe Verdi ma abbiamo deciso di parlare d'altro. Se non c'è una famiglia o qualcuno che ti avvicina fisicamente al teatro resterà sempre un qualcosa di inavvicinabile.
Cosa servirebbe?
Un percorso per cercare di capire cosa deve essere, per ridefinire il nostro ruolo e la responsabilità verso la collettività. Il teatro è di tutti, non mio o di chi ci lavora o del sindaco. Io negli anni ho dialogato con tutti gli agenti del territorio, dal teatro provinciale a quello regionale fino a quello nazionale. Il teatro si confronta con le criticità del mondo: se serve ad allenare alla complessità di questo mondo che come sappiamo è iper semplificato, il teatro deve esserci.
Grande risonanza ha avuto il progetto K-Lab.
Si tratta di ragazzi con disabilità che fanno sartoria, portano avanti una linea per il teatro facendo un lavoro di grafica con Silvia Castagnoli. Insomma un teatro tradotto in parole semplici. L'idea era includere i ragazzi in questo progetto. Poi ci sono stati i campus estivi: 150 ragazzi che fanno percorsi imparando mestieri, cantando arie d'opera e che dunque si sono rapportati al territorio facendo qualcosa che torna alla comunità.
E' questa la nuova sfida?
E' avvicinare nuove generazione e nuove comunità raccontando un teatro che sia al passo col mondo.
Come vi rapportate con le comunità straniere?
Ci sono spettacoli del Festival Aperto che si aprono all'estero per avvicinare determinate comunità ma anche per superare le barriere fisiche; certe comunità faticano a entrare a teatro, non lo considerano come un qualcosa che gli appartiene. Abbiamo ospitato i live di Nneka, che è una cantante tedesco-nigeriana,
dei Tinariwen che sono sahariani e poi c'è stata la cantante maliana Oumo Sangaré che per loro è una divinità e per noi è stata una scoperta: a teatro c'erano 250 persone con abiti tradizionali del Mali e loro hanno l'abitudine di andare a toccarla sul palco e portarle dei soldi. Le comunità se sai entrare in contatto con la loro cultura reagisco positivamente.
C'è già qualche idea per il futuro?
Al prossimo Festival Aperto ci sarà un coreografo libanese: sarà uno spettacolo con colazione, una festa sul tema del Medioriente. In questo ambito saremo sempre più presenti negli spazi delle Reggiane, luogo che è il futuro ma racconta anche la storia della città: ci faremo sempre più cose.
Vive il teatro come un presidio culturale?
Presidio culturale non è battaglia di retroguardia. La piazza che ospita i Teatri Valli, Ariosto e Cavallerizza è un punto critico della città, c'è una percezione di insicurezza ma non è compito nostro la sicurezza, noi dobbiamo pensare a cosa può fare il teatro in questa piazza. Siamo un pezzo di un insieme, il presidio è un faro accesso.
Manca anche un bar, una volta c'era, ne ha parlato nei suoi racconti Silvi d'Arzo, scrittore reggiano.
E' una prospettiva all'orizzonte. Nei teatri come elemento di socialità c'è un ristoro. Dobbiamo trovare una collocazione per l'archivio, trecento metri quadrati con temperatura controllata, la storia della città in trecento metri. Per il discorso ristoro stiamo collaborando col centro sociale Catomes Tot.
Siete un faro anche per l'Opera.
La nostra produzione di Un Italiano in Algeri vanta la collaborazione di dieci teatri. Torniamo sul Rossini buffo consapevoli che se fa dieci teatri in un anno ha del miracoloso. Rimarrà l'allestimento che verrà ripreso in futuro. Il nostro Rinaldo di Pierluigi Pizzi è degli anni Novanta e tuttora viene ripreso. A livello di programmazione sull'Opera stiamo già chiudendo per le stagioni 2026/2027 e 2027/2028.
Come va l'universo musical?
Il fenomeno continua; sono felice di The Wall, una produzione molto riuscita che ci porta a immaginare produzioni tra musical e teatro. Una cosa ben fatta porta a ragionare su futuri progetti.
Quindi soddisfatto di questo inizio di stagione?
Sono molto contento, la quota abbonamenti è stato riconfermata e il Festival Aperto ci ha lasciato numeri importanti.