Annus Horribilis, Saverio Raimondo trasforma l’anno più buio in satira irresistibile
Spettacolo Il comico e autore Saverio Raimondo accanto alla copertina del suo romanzo “Annus Horribilis” (SEM – Società Editrice Milanese, 2025).
Nel suo sorprendente esordio narrativo edito da SEM, Saverio Raimondo trasforma il 536 d.C. – l’anno più buio della storia – in una satira irresistibile sull’oggi. Tra pestilenze, desideri e filosofia, Annus Horribilis è una commedia apocalittica di rara intelligenza e umanità: feroce, malinconica, divertente. Un romanzo scritto a mano e con l’anima, che ci insegna a ridere del disastro invece di cercare consolazione
In esergo, prima ancora che inizi la narrazione, Annus Horribilis mette in scena la sua doppia anima: da una parte Neil Hannon dei Divine Comedy — “Prepare your alibis / Cause there is no one else / Gonna put it right” — e dall’altra Carl Sagan, con il passo immortale del Pale Blue Dot: “ogni santo e peccatore della nostra specie ha vissuto lì, su una mota di polvere sospesa in un raggio di sole”.
Un contrasto perfetto per definire il tono del libro: l’ironia dell’uomo che continua a sbagliare e la malinconia cosmica di chi sa di essere irrilevante.
Annus Horribilis (SEM – Società Editrice Milanese) è l’esordio nella pura narrativa di Saverio Raimondo, stand-up comedian, attore e satiro lucidissimo, che trasforma il 536 d.C. — l’anno più buio della storia — in una parabola tragicomica sul presente.
Un Bosch per ridere dell’Apocalisse
Anche la copertina del volume è una dichiarazione d’intenti.
Il dettaglio scelto da Raimondo e SEM proviene dal Trittico del Giudizio di Vienna di Hieronymus Bosch: un’esplosione di anime, mostri e corpi ibridi che ballano nella dannazione.
È un’immagine che anticipa la visione del libro: un’umanità che ride dentro la catastrofe, che si specchia nell’inferno con un bicchiere in mano.
Come Bosch, Raimondo osserva il caos con un sorriso disincantato, e trasforma l’apocalisse in un tableau comico di vanità, desiderio e fallimento.
Il suo inferno, però, è il nostro feed quotidiano: pieno di urla, filtri e confessioni.
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Raimondo non scrive un romanzo storico: scrive una diagnosi morale, senza essere moralistico .
Tra pestilenze, carestie e guerre, quattro personaggi – Licia, Beozio, Prisco e Macedonia – reagiscono all’abisso come potremmo fare noi: con sarcasmo, narcisismo e una disperata voglia di farsi notare anche nel disastro.
“Licia è una proto-influencer in rovina”, ha detto l’autore alla Feltrinelli di piazza Piemonte durante la presentazione milanese del libro. “Organizza una festa nell’apocalisse solo per sentirsi guardata ancora una volta.”
Beozio è un precettore che pontifica sull’amore mentre annega nel dolore; Macedonia è un’eroina lussuriosa costretta alla castità forzata; Prisco un poeta mandato, suo malgrado, in guerra per scrivere di eroi.
“Sono quattro persone che pensano ai fatti loro mentre fuori c’è l’apocalisse”, ha aggiunto Raimondo con la sua consueta lucidità comica. “E questo, secondo me, è molto umano.”
Insomma, Saverio osserva i propri personaggi con una pietà feroce: non li assolve, ma li abbraccia.
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Un libro scritto a mano, non da un algoritmo
Ho divorato Annus Horribilis su un volo Delta da Città del Messico a New York con la stessa voracità nevrotica con cui Don Birnam, l’aspirante scrittore alcolizzato di Giorni perduti di Billy Wilder, tracannava whisky per riempire il vuoto.
Finita la lettura, avrei voluto perdermi in un sequel. Il satiro parlante fa centro, e come al film di Wilder gli darei quattro Oscar, uno per ciascun personaggio del libro: Beozio, Licia, Macedonia e Prisco.
Si sente che è stato scritto a mano, come diceva Mario Bava del suo cinema: “Faccio film come si fanno le seggiole.”
È una scrittura artigianale, tattile, che respira.
Nessuna formula, nessun algoritmo, nessun salto dello squalo: solo l’intelligenza umana, con le sue fragilità.
C’è Fantozzi in controluce — amatissimo da Raimondo — nei cataloghi di disgrazie quotidiane. Ma Annus Horribilis non è una gag “per far divertire la piccina”: diverte e ferisce chiunque non si prenda troppo sul serio.
Pagina dopo pagina ci ho rivisto l’umorismo corrosivo di Dino Risi e Mario Monicelli, la crudeltà visionari di Marco Ferreri, e la vis comica travolgente di Blake Edwards.
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La risata come sopravvivenza
Majakovskij diceva che “per l’allegria il pianeta nostro è poco attrezzato”. Raimondo sembra rispondergli con un manuale di manutenzione emotiva: Annus Horribilis è uno strumento per rendere il globo un po’ più incline all’allegria.
Non alla felicità — che, come ricorda il cardinale di 8½ di Fellini, “non è compito dell’uomo” — ma a quella lucida ironia che salva dal cinismo.
Alla Feltrinelli, Raimondo ha detto: “Non volevo scrivere un romanzo edificante. La vita non lo è. È ridicolo voler essere ricordati. Io voglio essere dimenticato.”
Una dichiarazione che somiglia a un manifesto: il rifiuto dell’autocompiacimento, la volontà di raccontare la stupidità umana come atto d’amore.
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Sipario. DC 2025 – Il futuro è già finito
Nel capitolo conclusivo, Sipario. DC 2025, Raimondo spalanca il tempo e ci catapulta nel nostro presente.
I cuori non si spezzano più per amore ma per colesterolo; la fede è stata sostituita dall’intelligenza artificiale: “Si chiede tutto ai robot, e come Dio, tutti li temono.”
La tragedia non è più la peste, ma la connessione Wi-Fi instabile.
“Stiamo facendo la Storia, ma con le stories. Dopo 24 ore si cancellano, e tutto è da rifare.”
È una frase che da sola varrebbe un premio letterario: un riassunto dell’effimero che viviamo.
Raimondo mescola George Carlin, Sagan e Fantozzi in un’Apocalisse a bassa risoluzione, dove l’umanità aggiorna il caos e chiama progresso la distrazione.
Il suo sguardo, feroce e malinconico, trasforma il disastro in commedia.
Perché se tutto brucia, almeno bruciamo ridendo.
Se fosse un cocktail sarebbe… The Stand-Up Disaster
Un drink a metà strada tra un Old Fashioned e un Gimlet, proprio come Saverio Raimondo: classico e caustico, lucido e disperatamente divertente.
Si prepara con bourbon, gin, cordiale al lime e un cucchiaino di miele bruciato — perché ogni risata, anche la più sincera, lascia sempre un retrogusto di fumo.
Si serve in bicchiere basso, con ghiaccio grande e una scorza d’arancia torchiata a profumare il bordo, come un inchino teatrale prima del buio.
È il cocktail ideale per brindare al disastro con grazia, per ridere mentre tutto brucia, per sopravvivere al peggior anno della storia con un tocco di eleganza vintage.
Come direbbe Totò, nume tutelare di ogni comico che sa sfidare la morte con un sorriso:
“State allegri, perché si muore.”