Giorgio Armani e il cinema: da Hollywood ai red carpet, l’eredità di uno stile unico
Spettacolo Lauren Hutton, Richard Gere, Giorgio ArmaniDalla scena-guardaroba di American Gigolo ai power suit di The Wolf of Wall Street, Giorgio Armani ha vestito divi e personaggi, tappeti rossi e immaginari. La sua morte (4 settembre 2025) chiude un’epoca in cui Milano e Hollywood hanno dialogato con la stessa lingua: quella dell’eleganza
Giorgio Armani se n’è andato a 91 anni. Con lui non scompare solo lo stilista che ha rivoluzionato la moda, ma anche uno dei registi invisibili del cinema. Perché Armani non ha mai firmato una sceneggiatura, ma le sue giacche, i suoi cappotti, i suoi tailleur hanno inciso trame, costruito personaggi, riscritto estetiche. La sua eredità non è fatta soltanto di passerelle, ma di fotogrammi che resteranno impressi nella memoria collettiva.
Il Presidente, il Direttore generale, la Responsabile dell'Archivio Storico, il Direttore artistico del Settore Cinema, il cda e la Biennale di Venezia tutta "apprendono con profondo dolore, mentre è in pieno svolgimento l'82/a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (QUI LA DIRETTA), la scomparsa di Giorgio Armani, genio italiano dell'arte della moda e dello stile, straordinario imprenditore, e lo ricordano con enorme affetto". "Come aveva più volte dichiarato - ricorda una nota della Biennale - il cinema era stato per Giorgio Armani il suo primo amore, una passione nata fin dall'infanzia e poi mai abbandonata. Anche per questo Giorgio Armani era diventato nel tempo un grande amico e frequentatore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, nonché negli ultimi anni suo importante sostenitore.
La scena che ha cambiato la mascolinità
È il 1980. In American Gigolo Richard Gere stende sul letto una serie di giacche e cravatte, come fossero armi di seduzione. È una scena che dura pochi minuti, ma cambia tutto. Lancia Armani a Hollywood e ridefinisce l’immagine dell’uomo sullo schermo: non più solo forza o azione, ma cura di sé, fascino consapevole, eleganza come parte del carattere. Quel guardaroba non è costume, è identità. Ed è lì che comincia l’avventura di Armani al cinema.
L’eleganza come trama
Dopo American Gigolo, i film con Armani diventano una costellazione.
In The Untouchables (1987) veste gangster e agenti come se appartenessero a una stessa partitura visiva: cappotti pesanti, completi gessati, linee classiche che raccontano disciplina e autorità. In Gattaca (1997) immagina un futuro minimale, fatto di tagli puliti e atmosfere rétro: l’eugenetica della trama trova specchio in un guardaroba perfetto e senza sbavature. Con Ocean’s Eleven e i suoi seguiti, l’eleganza diventa complicità: Clooney e soci sono ladri e gentiluomini, impeccabili anche mentre tramano il colpo del secolo. In The Wolf of Wall Street (2013) gli abiti doppiopetto degli anni Novanta tornano per Leonardo DiCaprio: spalle larghe, righe gessate, giacche imponenti che parlano di arroganza e denaro facile. Più di 200 film portano la sua firma: da Miami Vice a Batman, da Shaft a Elysium. Sempre con la stessa forza silenziosa: il vestito che non illustra, ma definisce.
Gli attori, le muse, gli amici
Il primo “uomo Armani” resta Richard Gere: l’attore che più di ogni altro ha incarnato la sua idea di maschile. Poi Martin Scorsese, amico e complice. Con lui Armani realizza Made in Milan (1990), corto-documentario che mostra lo stilista come artista del suo tempo. Più tardi sarà Scorsese a chiedergli i completi per DiCaprio in The Wolf of Wall Street. Sul fronte femminile, i legami diventano complicità estetica. Jodie Foster porta Armani sul palco degli Oscar, Michelle Pfeiffer lo sceglie per segnare il passaggio dal glamour urlato degli anni ’80 a un minimalismo sofisticato. E Cate Blanchett diventa la musa assoluta di Armani Privé, regina di un’eleganza architettonica che resta negli occhi molto più di una scollatura.
Il red carpet che cresce
C’è una data simbolica: 26 marzo 1990, la notte degli Oscar. Michelle Pfeiffer, Julia Roberts, Jodie Foster e Jessica Tandy sfilano tutte in Armani. È un colpo d’occhio nuovo: niente volumi esagerati, niente colori acidi. Solo misura, essenzialità, contemporaneità. Da quella sera nasce il red carpet come lo conosciamo oggi: non più passerella casuale, ma racconto orchestrato, immagine studiata, linguaggio condiviso. Armani ha aperto la strada, trasformando il tappeto rosso in una scena di cinema. E non era solo questione di vestiti. Per lui, scegliere un’attrice o un attore significava un dialogo. “Non faccio provini”, diceva. E non lo faceva: non prestava abiti a chiunque, ma costruiva relazioni basate su fiducia e stima. Per questo tante star lo hanno seguito per decenni, ritrovandosi nei suoi tagli come in uno specchio fedele. L’impatto di Armani sul cinema non è estetico soltanto, è narrativo. Ha dimostrato che un abito contemporaneo può avere la stessa forza drammatica di un costume d’epoca. Negli anni Ottanta ha dato forma a figure nuove: il manager, il broker, il detective urbano. Negli anni Novanta ha reso il minimalismo sinonimo di potere e autorevolezza. Un cappotto ben tagliato diceva più di un monologo. Una giacca destrutturata raccontava il cambiamento di un’epoca.
Quando la cultura pop ti chiama per nome
“È un Armani”. Bastava questa frase, in un film come Shaft, per evocare un intero mondo di status e prestigio. Il suo nome è entrato nei copioni, nel linguaggio comune, come accade solo ai marchi che diventano icona. Al tempo stesso, Armani guardava il cinema: lo ha sostenuto producendo documentari, celebrato nei festival, accompagnato nei momenti chiave. Perché per lui la vita era davvero un film, e ogni abito un costume. Cosa resta adesso che Giorgio Armani non c’è più? Resta l’idea che l’eleganza sia una forma di racconto. Che la sobrietà possa diventare potere. Che un attore può entrare in scena e farsi ricordare per la caduta perfetta di una giacca. Armani ha insegnato che non serve urlare per lasciare un segno: basta un dettaglio calibrato, un taglio preciso, un bottone slacciato al momento giusto. Oggi i titoli di coda scorrono. Ma resta un film infinito, fatto di immagini che continueremo a vedere: Richard Gere davanti allo specchio, Cate Blanchett su un red carpet, DiCaprio dietro una scrivania. E in tutte, silenzioso e inconfondibile, c’è Giorgio Armani.