In una recente intervista sul The Guardian, Stephen King definisce Donald Trump “una storia dell’orrore” e afferma che l’impeachment sarebbe l’unico finale auspicabile
In un'intervista apparsa oggi su The Guardian, Stephen King si lascia andare a una dichiarazione netta: Donald Trump è “una storia dell’orrore”. Alla domanda su quale potrebbero essere le possibili conclusioni per questa vicenda, lo scrittore non ha esitato: il miglior finale sarebbe l’impeachment — “vorrei vederlo ritirato, mettiamola così” — mentre l’esito peggiore sarebbe che ottenesse un terzo mandato, ottenendo il pieno controllo. E anche in quel caso, secondo King, “comunque è una storia dell’orrore”.
"Una trama che supera qualsiasi film horror"
King traccia un quadro serrato di questi sentimenti nel contesto politico americano, descrivendo l’attuale situazione come una trama che supererebbe, in intensità, qualsiasi libro horror. Il commento arriva mentre Trump è stato due volte messo sotto accusa dalla Camera dei Rappresentanti e, in entrambe le occasioni, assolto dal Senato. Inoltre, nella stessa settimana, Trump ha disposto la presenza della Guardia Nazionale nelle strade di Washington DC, scatenando nuove e accese reazioni politiche.
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Un altro lato di Stephen King
Ma l’intervista non si limita alla politica: King apre una finestra sul suo metodo creativo e sulle sue abitudini. Tra le confessioni più personali, emerge la sua preferenza per Microsoft Word, che utilizza per la flessibilità nel correggere, lasciando la scrittura a mano solo a volte. Inoltre, sottolinea l’importanza di esperienze di lavoro manuale, come il lavoro in un mulino, come fonte di ispirazione autentica — lontano dagli ambienti “puliti e ben illuminati”.
King riflette anche sul simbolismo dell’orrore, affermando che la paura può essere immaginata come un blu scuro che sfuma nel nero, una tonalità che lascia ancora intravedere ciò che si nasconde nell’ombra. Nel racconto della sua evoluzione letteraria, condivide come Holly Gibney, inizialmente un personaggio marginale, sia diventata protagonista grazie a un sempre maggiore interesse da parte sua e allo sviluppo della storia
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"Sognii bizzari che nutrono il mio immaginario"
Si parla anche di cinema: King afferma di essere entusiasta dei progetti in corso, come The Monkey, The Life of Chuck e il remake de The Running Man realizzato da Edgar Wright. Sul fronte dei libri firmati, lo scrittore ammette di trovare i firmacopie affollati troppo gravosi e preferisce firmare copie di nascosto, entrando in librerie semplicemente “quando nessuno guarda”, come ha fatto recentemente in una libreria nel Maine. Infine, King racconta come i sogni bizzarri nutrano il suo immaginario creativo. Evoca, ad esempio, un sogno che ha avuto in cui un frigorifero vuoto si apre e rivela sanguisughe volanti — visioni insolite che trasformano la sua narrativa.
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Tra musica e Stranger Things
Ma l’intervista tocca anche altri aspetti della sua vita creativa, rivelando uno Stephen King affabile, curioso e profondamente legato alla sua arte. Non è solo la politica a emergere, ma anche i suoi gusti musicali: King racconta di ascoltare Metallica, Anthrax, Nazareth e Rancid, e di affidarsi a ritmi ripetitivi come quelli del disco o della musica da club, soprattutto mentre rivede i suoi testi.
E in tema di cultura pop, interrogato se Stranger Things ricordi i suoi racconti, King risponde con gentilezza e ironia: sostiene che i fratelli Duffer meritano molto di più del credito che gli viene attribuito. È vero: da ragazzi crecero leggendo i suoi libri e tentarono di fare qualcosa di simile, ma “c’è molto più Duffer Brothers in Stranger Things che Stephen King”. Conclude: “È bello. Ho visto tutte le puntate”